Più si avvicina la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, più lo ripetiamo: non ha senso combattere la violenza di genere se non si parte dalla cultura della violenza. E per farlo bisogna fare leva sull’educazione.
Ecco, l’iniziativa di cui vi parlo oggi è una di quelle che il problema lo affronta di petto. Senza retorica, fronzoli, giri di parole. Le istituzioni non coinvolgono abbastanza i più giovani? Allora, nelle scuole ci vanno loro. E ci vanno in camper, on the road.
Maria Andaloro – l’ideatrice del progetto Posto Occupato – e Serena Maiorana –giornalista e autrice del libro “Quello che resta”, dedicato al femminicidio di Stefania Erminia Noce – dal 18 al 28 ottobre hanno girato le periferie siciliane nel tour Franca e le altre, che ha coinvolto nove istituti scolastici, uno per ogni provincia dell’isola.
Hanno raccontato ai ragazzi e alle ragazze di un’eroina della loro terra, Franca Viola, la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore dopo uno stupro. E di tutte quelle normali storie che sembrano d’amore e a poco a poco diventano abusanti.
Ma non si sono fermate alla violenza fisica: hanno riflettuto anche sulla violenza verbale, lo slut shaming, i micromachismi, lo stalking.
Il loro progetto mi ha colpito molto e ho chiesto a Serena, impegnata da tempo con il suo lavoro nell’educazione contro la violenza di genere, di raccontarmi meglio come è andato questo viaggio.

Come è nata l’idea di “Franca e le altre”?
“Ci piaceva l’idea di girare in camper, come cantastorie, per suscitare una riflessione portando in giro una narrazione. Abbiamo scelto due storie. Come esempio positivo quella di Franca Viola, donna siciliana che ha cambiato la vita e le opportunità di tutte le donne italiane. Poi una storia di femminicidio, intitolata “L’altra potrei essere io”, che ha come protagonista una ragazza senza nome e smonta alcuni stereotipi sulle storie di violenza”.
A quali stereotipi ti riferisci?
“In qualità di autrice, ci ho tenuto a mettere in evidenza che la protagonista è una donna particolarmente emancipata, talmente libera da non riconoscere la violenza perché convinta che una cosa del genere non possa mai succederle.
Dalle narrazioni più sterotipate, infatti, siamo portate a credere che le donne che subiscono abusi siano fragili e indifese. Oppure che gli uomini violenti siano brutali e fisicamente corpulenti. Per questo l’omicida della storia che abbiamo portato nelle scuole ho voluto descriverlo come timido, remissivo, silenzioso.
A lei, invece, piaceva fare l’amore: anche questa è una descrizione che rompe un tabù, quello della vittima angelicata. E serve per riflettere con i ragazzi sulla disparità di giudizio nei confronti delle donne e degli uomini su determinati comportamenti, in particolare in relazione alla sfera sessuale”.
Questa narrazione ha permesso di più l’immedesimazione nella storia da parte delle ragazze giovani, che non si riconoscono nella donna debole, che ha bisogno di essere protetta. E’ importante proporre storie fuori dalla retorica.
Cosa rappresenta ancora oggi il coraggio di Franca Viola?
“Per le donne di oggi rimane un esempio positivo di coraggio e rivendicazione. Quello che ci tenevamo a sottolineare della sua storia è la possibilità di dire no e di cambiare, in questo modo, le possibilità di tutte, anche portando avanti una rivendicazione per noi stesse, per una discriminazione che viviamo personalmente. Lottando per i diritti dei singoli si possono fare grandi passi avanti a livello sociale.
Ci ha colpito che tantissimi ragazzi non conoscessero la sua storia, neanche in Sicilia. Abbiamo riflettuto con loro sul fatto che Franca Viola ribellandosi si è trovata tutta la società contro: oggi tutti siamo d’accordo sul fatto che avesse ragione lei, ma all’epoca era vista come una svergognata, lei e la sua famiglia si sono dovuti opporre a tutto il contesto sociale.
Raccontarla è servito a veicolare il messaggio della responsabilità sociale rispetto al tema della violenza e agli stereotipi che ingabbiano la vita delle donne: c’è voluto tempo, ma alla fine la ribellione di Franca Viola ha permesso alla società di maturare. Così è per il femminicidio attualmente: è importante riconoscere che la violenza contro le donne è una responsabilità di tutta la società”.
Che accoglienza avete avuto nelle scuole? Quale episodio ti è rimasto più impresso?
“L’accoglienza è stata bellissima, mi sorprende sempre. Un giorno siamo state in un istituto tecnico dove era presente ad ascoltarci una sola studentessa. A un certo punto abbiamo parlato del caso di Tiziana Cantone (la donna che si è suicidata dopo la diffusione di un suo video hard in rete, ndr) e un professore ha contestato che se ne parlasse come esempio di maltrattamento sulle donne. La studentessa ha avuto il coraggio di alzarsi per dire che si sbagliava, rivendicando la libertà di autodeterminazione per se stessa, per Tiziana Cantone e per tutte le donne. Tutti i suoi compagni maschi l’hanno applaudita”.
Quindi gli insegnanti sono stati più difficili degli alunni?
“Spesso gli insegnanti erano quelli più colpiti dallo smontaggio degli stereotipi. All’inizio alcuni erano un po’ smarriti di fronte al modo in cui ponevamo la questione, rompendo molti tabù. Alcuni hanno fatto resistenza, altri si sono distinti in positivo con i loro interventi. E’ stato un momento di crescita anche per loro e un’occasione per legare maggiormente con gli studenti.
Noi abbiamo cercato di lasciare un seme, di dubbio e di possibilità di mettersi in discussione rispetto ad alcuni modelli discriminanti che magari abbiamo fatto nostri senza neanche rendercene conto. Da quel seme si può cogliere la possibilità di sviluppare poi dei percorsi virtuosi, continuare un percorso di consapevolezza”.
Cosa ha da insegnare il successo di questo progetto?
“Lavorare sul linguaggio dovrebbe essere una priorità: è necessario eliminare il più possibile la retorica, svecchiare le modalità in cui comunichiamo su questi temi. Il nostro era un progetto serio, ma anche scanzonato. Arrivavamo in camper a raccontare storie: è stata la chiave giusta per rapportarsi coi ragazzi e farsi ascoltare, ha fatto la differenza.
E’ stato importante fargli notare che la battaglia contro la violenza è una battaglia per la felicità di tutti e tutte. Per la parità, la possibilità di autodeterminarsi indipendentemente da tutta una serie di stereotipi e vincoli sociali. Gli piaceva l’idea che nella prossima cattiva ragazza che incontravano avrebbero potuto riconoscere Franca Viola”.
