fbpx

Unioni civili: brindisi coi bicchieri colmi d’acqua

lostessosì
Foto di Silvia Lupo

Approvate le unioni civili. Stasera io e mia moglie brindiamo con un bicchiere d’acqua. Forse di cola sgasata.

Sono contenta che sia passata la legge?

, perché ovviamente meglio un qualche riconoscimento che niente, finalmente (con una ventina e passa di anni di ritardo) anche lo Stato Italiano si è accorto che le coppie di sole donne e soli uomini esistono. Che sono stabili o instabili, proprio come le coppie eterosessuali, che pagano le tasse e che in cambio pretendono gli stessi diritti.

Riformulo. Sono contenta che sia passata la legge?

No, perché è una legge che andava bene all’inizio degli anni Novanta, non quando ormai in quasi tutti i paesi europei si ha una legge o si parla di matrimonio egualitario.

No, perché questa legge non riconosce la mia famiglia come una famiglia, ma come un “qualcosa” (formazione sociale specifica). È la solita vecchia storia: gli animali sono tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri. Il requisito? L’eterosessualità.

Questa legge è problematica perché, a furia di fare compromessi con chi, tra i cattolici e la destra, voleva una netta differenziazione tra unioni civili e matrimonio, ha creato una legge-mostro che ci riconosce ufficialmente come “cittadini di seconda categoria”. Una legge che discrimina. È problematica perché non riconosce l’esistenza delle nostre figlie e dei nostri figli che già ci sono, né di quelli che verranno. Perché chi di noi vuole che del proprio progetto di famiglia faccia parte anche una figlia o un figlio, o più di uno, continuerà a farlo.

Permettetemi infine due considerazioni più strettamente politiche.

Smettiamo di farci strumentalizzare: questa legge non è una vittoria. Smettiamola con le gioie e i trionfalismi. Dobbiamo gridare a gran voce che questa legge non ci basta e non ci tutela, perché si stanno tessendo trame politiche sulla nostra pelle.

Questa legge è solo un microscopico passo in avanti, un trampolino di dieci centimetri, piccolissimo, da cui ricominciare la lotta. Che non sarà facile, perché adesso politici e anche comuni cittadini avranno buon gioco a dire “adesso avete la legge, smettetela di protestare. Adesso avete la vostra legge, parliamo di altro.”

Non possiamo permetterci di aspettare altri venti o trenta anni. Lo dobbiamo ai nostri figli, lo dobbiamo a ogni adolescente che si scopre non eterosessuale e che deve ancora lottare per affermare la propria identità, che subiscono bulllismo ed emarginazione.

Dopo aver bevuto, quindi, torniamo alla lotta, con la testa lucida e con più determinazione.