Approvate le unioni civili. Stasera io e mia moglie brindiamo con un bicchiere d’acqua. Forse di cola sgasata.
Sono contenta che sia passata la legge?
Sì, perché ovviamente meglio un qualche riconoscimento che niente, finalmente (con una ventina e passa di anni di ritardo) anche lo Stato Italiano si è accorto che le coppie di sole donne e soli uomini esistono. Che sono stabili o instabili, proprio come le coppie eterosessuali, che pagano le tasse e che in cambio pretendono gli stessi diritti.
Riformulo. Sono contenta che sia passata la legge?
No, perché è una legge che andava bene all’inizio degli anni Novanta, non quando ormai in quasi tutti i paesi europei si ha una legge o si parla di matrimonio egualitario.
No, perché questa legge non riconosce la mia famiglia come una famiglia, ma come un “qualcosa” (formazione sociale specifica). È la solita vecchia storia: gli animali sono tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri. Il requisito? L’eterosessualità.
Questa legge è problematica perché, a furia di fare compromessi con chi, tra i cattolici e la destra, voleva una netta differenziazione tra unioni civili e matrimonio, ha creato una legge-mostro che ci riconosce ufficialmente come “cittadini di seconda categoria”. Una legge che discrimina. È problematica perché non riconosce l’esistenza delle nostre figlie e dei nostri figli che già ci sono, né di quelli che verranno. Perché chi di noi vuole che del proprio progetto di famiglia faccia parte anche una figlia o un figlio, o più di uno, continuerà a farlo.
Permettetemi infine due considerazioni più strettamente politiche.
Smettiamo di farci strumentalizzare: questa legge non è una vittoria. Smettiamola con le gioie e i trionfalismi. Dobbiamo gridare a gran voce che questa legge non ci basta e non ci tutela, perché si stanno tessendo trame politiche sulla nostra pelle.
Questa legge è solo un microscopico passo in avanti, un trampolino di dieci centimetri, piccolissimo, da cui ricominciare la lotta. Che non sarà facile, perché adesso politici e anche comuni cittadini avranno buon gioco a dire “adesso avete la legge, smettetela di protestare. Adesso avete la vostra legge, parliamo di altro.”
Non possiamo permetterci di aspettare altri venti o trenta anni. Lo dobbiamo ai nostri figli, lo dobbiamo a ogni adolescente che si scopre non eterosessuale e che deve ancora lottare per affermare la propria identità, che subiscono bulllismo ed emarginazione.