Con l’approvazione della leggina sulle unioni civili puntualmente sono arrivati, con tutta la loro violenza, i colpi (di coda, si spera) della reazione, incarnata dai fascisti di CasaPound (e compagnia).
Quattro azioni in meno di una settimana, a Gaeta, a Roma e a Siena. Il copione si ripete sempre uguale: un gruppo di militanti esibisce striscioni e violenti slogan contro le unioni civili, contro i “froci”, contro la presunta confusione tra “maschio e femmina” in generale. A quanto pare alla “teoria del gender”, che ora pare esser stata soppiantata come argomento strumentale dal ben più caldo tema della gestazione per conto di altri, paiono crederci solo loro e pochi altri cattolici oltranzisti.
Non stupisce che abbiano rialzato la testa proprio ora, quando possono ottenere massima visibilità col minimo sforzo: spalleggiati dalla parte più oltranzista delle istituzioni ecclesiastiche e dalla destra parlamentare -spesso sempre più simile a loro nei toni quando si parla di diritti delle persone lgbti e delle famiglie arcobaleno, in piena campagna elettorale per le amministrative – dopo l’approvazione di una legge che – per quanto imperfetta e discriminante – per la prima volta obbliga lo Stato a riconoscere che le persone lgbti esistono e si innamorano, come tutte.
La mia prima reazione nei loro confronti, di pancia, sarebbe violenta quanto la loro. Ma violenza chiama solo violenza e in questo, forti di lunghe esperienze e spesso di simpatie da parte di pezzi dello Stato, i fascisti sono più bravi. Uno scontro diretto, muscolare e acritico, è quello che farebbe loro più piacere, li farebbe combattere sul loro stesso terreno.
E allora bisogna muoversi in altra direzione, colpendo il loro humus sociale, la zona grigia che li vede con simpatia, i fascisti in doppiopetto col sorriso e tutti quelli che li guardano con leggerezza, perché in fondo, forse, un po’ di ragione ce l’hanno.
Insomma, inutile a mio avviso tentare di dialogare con un militante fascista, dobbiamo agire su chi potrebbe essere attratto da quelle idee, per ignoranza (nel senso proprio di “non conoscere”) o perché alla ricerca di risposte facili e immediate al proprio disagio, perché immerso in una cultura violenta e machista sin da piccolo.
Ne conosco tanti di ragazzi che si dicono fascisti o nazisti, ma quando vai a chiedere loro cosa significhi non lo sanno. Che ripetono slogan vuoti: “le vere donne badano al loro uomo e ai figli”, “maschio e femmina Iddio li creò”, “a morte i froci e gli immigrati”. Che del fascismo e del nazismo, quelli storici, non sanno nulla, ma che “era meglio quando c’era lui”.
Su questi giovani possiamo agire, cominciando dalle scuole, dalle associazioni. Per far capire loro che oltre alla violenza ci sono altri modi di comunicare, che la diversità, comunque sia declinata, è sempre una ricchezza. Che i motivi per cui spesso questi ragazzi e queste ragazze si sentono respinti ai margini della società non sono provocati da chi è più debole di loro.
È questa la vera battaglia da fare, sul piano culturale, sociale e politico.
Crisi della cultura, crisi economica, crisi della rappresentenza: è tutto collegato e niente di questo di risolve con una bacchetta magica. Abbiamo però la forza dei nostri ideali e della nostra creatività per dare battaglia, almeno sul piano culturale (ma, io credo, poiché i tre piani non sono separati, che si possa agire anche sugli altri, se pur in maniera meno diretta).
Quella contro l’oscurantismo, è la guerra più dura, proprio perché quella zona grigia di consenso a chi, in modo più o meno manifesto, è fascista è ampia. E perché anche da parte di chi dovrebbe far rispettare le leggi, c’è spesso un tacito consenso o quanto meno un uso strumentale di questi estremisti (fa buon gioco dire “non si può fare di più per allargare i diritti, il paese non è pronto” additando a prova le reazioni violente e scomposte degli estremisti cattolici e dei fascisti).
Dobbiamo sforzarci di dialogare con quella zona grigia, spiegare, ma soprattutto farci capire. Perché a volte, noi femministe, noi attiviste e attivisti lgbti, noi antifasciste e antifascisti non siamo bravi a comunicare. Perché parlare in modo chiaro e semplice senza rinunciare alla complessità è forse la sfida più difficile. Abbiamo dalla nostra, però, le nostre vite, le nostre esperienze, bagagli tangibili di carne e sangue, che valgono più di qualsiasi costruzione teorica.
Facciamoci avanti, tutte e tutti. Facciamo il vuoto attorno ai nostalgici del duce e del Reich.