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La transfobia non è un’opinione: lettera all’agenzia di stampa Dire

Un gruppo di giornaliste femministe scrivono a Dire dopo la pubblicazione di un articolo discriminatorio e scorretto nei confronti delle persone trans

Non riconoscere l’identità, l’autodeterminazione e l’esistenza stessa di una persona è un’opinione? No, è violenza. Questo vale, ovviamente, anche se la persona di cui si sta parlando è una persona trans.

Il fatto che un essere umano non si riconosca nel genere che gli è stato assegnato alla nascita non ci dà il diritto di sovradeterminarlo, deriderlo, mettere in dubbio le sue scelte riguardo alla propria identità di genere.

Un atteggiamento transfobico ancora più grave quando viene legittimato da una testata giornalistica.

Per questo un gruppo di giornaliste femministe – tra cui la fondatrice di Pasionaria.it Benedetta Pintus – hanno firmato una lettera dopo la pubblicazione da parte dell’agenzia di stampa Dire di un articolo intitolato «La mastectomia del queer Elliot, come muore una donna», in cui con la scusa della “libera espressione” si porta avanti una narrazione discriminatoria e tossica nei confronti delle persone trans, senza alcun rispetto della deontologia professionale.

A seguire, la risposta dell’agenzia di stampa Dire e la nostra replica.

 

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Immagine realizzata da Elisa ManiciLe parole sono pietre, lo sappiamo bene. Perché le usiamo tutti i giorni per fare bene il nostro mestiere. Come giornaliste, attiviste ed esperte di diritti delle donne, questioni di genere e femminismi non possiamo rimanere mute dinanzi all’articolo “La mastectomia del queer Elliot, come muore una donna”.

Un articolo che viola le regole deontologiche nei temi e nei toni, di una violenza inaudita, dai passaggi irrispettosi nei confronti dei percorsi di transizione e da una non celata transfobia.

Il processo di transizione non è un gioco, riguarda la vita di persone che hanno diritto ad essere riconosciute per quello che sono, senza essere giudicate né discriminate, anche quando decidono di intervenire sul loro corpo. Il diritto a rappresentarsi di ognun* è un diritto inalienabile: Elliot Page parla di sé come persona trans e queer, definirla ‘binaria’ significa riportare il falso.

Non solo, come è possibile paragonare l’esperienza di Page a quella di donne malate di cancro, e a partire da questo errato presupposto attribuirle una mancanza di rispetto per il dolore delle altre? Come è possibile pensare e scrivere che una donna o un uomo trans siano responsabili della “morte delle donne. Senza spargere sangue ma non con meno violenza”?

Siamo sconcertate dal fatto che a scriverlo sia la responsabile di Dire Donne che ci aspetteremmo esperta dei temi che affronta e nel caso – grave – che non lo fosse, che almeno si rivolgesse alle tante esperte e colleghe che da anni lavorano su questi temi.

Consapevoli del ruolo importante e del lavoro prezioso che ogni giorno svolgono colleghe e colleghi dell’Agenzia Dire, auspichiamo una presa di parola della direzione dell’Agenzia e l’apertura di una discussione in cui dare spazio ad altre opinioni e punti di vista.

Anarkikka, Federica Bianchi, Giulia Blasi, Barbara Bonomi Romagnoli, Isabella Borrelli, Marta Maria Casetti, Michela Cicculli, Caterina Coppola, Marina Cuollo, Tiziana Dal Pra, Corinna De Cesare, Eleonora De Nardis, Maura Gancitano, Angela Gennaro, Vera Gheno, Jennifer Guerra, Viola Kanka Malaspina, Benedetta La Penna, Elisa Manici, Benedetta Pintus, Giulia Siviero, Rita Rapisardi, Luisa Rizzitelli, Claudia Torrisi, Marina Turi

*  *  *

Sul sito dell’agenzia di stampa Dire ci ha risposto il direttore responsabile Nicola Perrone, che dichiara di voler redigere delle linee guida e aprire un tavolo di confronto:

«Ci saranno due gruppi di lavoro che studieranno e in breve tempo presenteranno una proposta di Linee guida sul modo di trattare (giornalisticamente) temi e argomenti sensibili. Su queste linee guida ci sarà poi un confronto con tutti i giornalisti e giornaliste dell’agenzia Dire, per valutarle e se necessario integrarle.

Subito dopo organizzeremo un ampio confronto pubblico, se possibile anche in presenza, al quale inviteremo le associazioni maggiormente rappresentative per discutere, confrontarci in modo costruttivo, anche questo per arrivare alla migliore formulazione. Quelle linee guida poi saranno adottate e fatte rispettare».

 

Questa la nostra replica:

Gentile direzione,

venerdì abbiamo appreso dai social della vostra decisione di lavorare a delle linee guida e ad un tavolo di confronto.
Non dubitiamo che sarà aperto a tutte le realtà coinvolte, in primo luogo alle persone trans. Restiamo convinte che prima di ogni cosa è necessario il rispetto e il riconoscimento di chi subisce violenze e discriminazioni e che la transfobia non sia una opinione.

Disponibili alla discussione, restiamo in attesa del vostro invito al confronto.