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Transfemminismo: tutte le risposte alle tue domande

Transfemminismo: il simbolo transfemminista inserito in un triangolo rosa

Che cos’è il transfemminismo? Quali sono gli aspetti che lo contraddistinguono e perché spesso è rifiutato da un femminismo più tradizionale?

Una volta al mese con la nostra rubrica “Femminismo intersezionale: domande e risposte”, affrontiamo alcune delle questioni più controverse e meno indagate nell’ambito del femminismo intersezionale, dando la possibilità a lettrici e lettor* di fare direttamente le proprie domande a un* attivista che le vive in prima persona.

Questa volta ha partecipato la donna trans e attivista transfemminista Antonia Caruso, che ha risposto a tutte le domande che le avete lasciato su Facebook e sul sito, che abbiamo raccolto in questo articolo.

Perché il transfemminismo è importante per il movimento femminista? Quali sono al momento le rivendicazioni politiche più importanti del transfemminismo?

Premessa: scriverò transfemminismo per comodità e brevità ma il transfemminismo come entità politica omogenea e compatta non esiste, esistono un approccio e delle pratiche transfemministe / transfemministe queer diverse per ognuno dei vari gruppi diffusi in giro per l’universo conosciuto e non. L’elaborazione teorica da un lato è inserita in un contesto internazionale e dall’altra è sempre molto localizzata sul territorio. Il modo cui il Maschile agisce in Italia, per dire, è diverso da quello islandese.

Il transfemminismo racchiude ed espande alcune delle istanze femministe sul controllo del corpo (che si estende oltre il diritto all’aborto sicuro, alla chirurgia genitale, all’uso di ormoni, prescritti da un medico o autosomministrati ) e sulla violenza di genere, che colpisce donne cisgender, donne trans, uomini trans, gay, lesbiche. Insomma praticamente tutto ciò che non è maschio-etero-cis.

Si occupa anche della psichiatrizzazione, che storicamente va dall’isteria ai protocolli psichiatrici internazionali a cui si devono attenere le persone trans per accedere alle terapie ormonali, passando per la patologizzazione dell’omosessualità, che ufficialmente non è più una malattia dal 1990 (quando c’erano i mondiali in Italia), e forme di sessualità non riproduttive, e ne ho dette solo alcune.

Ma si potrebbe parlare anche di nuove forme di genitorialità che includano soggettività frocie e trans (stiamo parlando anche di gestazione per altri, sì), di pinkwashing, di relazioni di cura così come di lavoro di cura non retribuito.

Secondo te perché certe femministe si sentono minacciate dall’inclusione delle istanze trans? Cosa ne pensi del pregiudizio per cui le donne trans non potrebbero essere del tutto coinvolte nelle istanze femministe per via dei loro presunti “privilegi maschili”, come hanno sostenuto di recente anche Chimamanda Adichie e Arcilesbica?

Chi si focalizza sui passati privilegi maschili non tiene conto dei processi che una persona transfemminile sta compiendo. Lo trovo un atteggiamento piuttosto cattolicheggiante, un passato maschile diventa il peccato originale che una donna trans non può redimere.

Una donna trans potrebbe avere un passato da uomo brillante che ha sfruttato al massimo i proprio privilegi maschili: si può soffrire per la propria condizione ed essere allo stesso tempo altamente funzionali. Le persone trans sono maestre della dissimulazione del disagio. Ma relegare una categoria di persone in una zona di segregazione senza possibilità di miglioramento o di inclusione per cause biologiche e morfologiche è la stessa matrice del razzismo.

Non puoi entrare nella nostra società perché sei nera/perché hai il cazzo.

Il principio di esclusione è molto simile, ma è anche riduttivo riportare tutto ad una dimensione di questo tipo. In effetti è più la posizione di Arcilesbica (che si è voluta mettere nella posizione di parlare per tutte le donne) piuttosto che di Chimamanda Adichie. Ha un nome ben specifico: Trans Exclusionary Radical Feminism o per le nemiche, Terf. Sono semplicemente delle transfobiche.

Ho l’impressione che riportare la faccenda su un piano teorico contenga ampie dosi di transfobia. Riportare tutto a una faccenda teorica elimina le persone, non le si vuole guardare. Su un piano politico ignorano totalmente l’autodeterminazione delle persone trans. Allo stesso modo noi potremmo ignorare la loro autodeterminazione di donne / lesbiche / femminste radicali / altro. Specchioriflesso.

Ci sono mille motivi per cui le Terf sono transfobiche. Uno di questi è il fatto inconcepibile che ci siano individui di genere femminili senza vagina o con una vagina ricostruita.
Per non parlare di quei pozzi di ignoranza e presunzione dei “no gender”.

Transfemminismo: una donna trans con un cartello contro la transmisoginia
La transmisoginia è sempre misoginia

Come possono gruppi femministi composti per la maggior parte da donne cisgender essere transfemministi e buoni alleati con gruppi per i diritti delle persone transgender?

Non esiste un manuale di condotta transfemminista, ma sicuramente creare un ambiente inclusivo è la prima cosa da fare, e con creare un ambiente inclusivo intendo rendere esplicita l’inclusività, andare fuori, creare reti con collettivi e associazioni diverse, in modo tale da portare le varie soggettività a parlare per sé e a non farsi parlare da altre. Ecco, un buon modo per essere transfemministe, per me, è prendere in considerazione la pluralità senza però parlare in nome loro.

Ci si può definire transfemministe pur essendo cis, perché non ci si riconosce in un femminismo trans-esclusivo?

La differenza Cis/Trans non è differenza qualitativa e non è nemmeno una divisione così netta come può sembrare. Insomma, non vi vergognate a essere cis! Cisgender è un termine coniato all’inizio degli anni ‘90 per indicare semplicemente chi non è trans ed evitare che ci fosse una divisione normalità/transità.

Credo che sia necessario evitare quel tipo tassonomia politica che snocciola le varie sfaccettature identitarie, tipo transvegan-antispecist-nuclearpunk-fifthwavefeminist-rainbowbutch-emersonlake&palmer. Immagino che transfemminista sia sufficiente.

Cosa dovrebbero tener sempre presente le attiviste cisgender per coniugare battaglie tradizionali del movimento femminista legate al corpo delle donne con la necessità di non scadere in un linguaggio e un atteggiamento binarista e transescludente?

Se parliamo di linguaggio, la parte più sensibile sono sicuramente i pronomi e il genere degli aggettivi. Sarebbe buona prassi sempre chiedere il pronome scelto quando si conosce una persona, pure se al momento sembra strano, ma non dovrebbe essere meno strano di chiedere l’ascendente. (Poi comunque ogni tanto qualche pronome sbagliato ci scappa. Ogni tanto).

Per quanto riguarda il genere non binario, in italiano ancora non c’è un modo per parlare in maniera non binaria senza fare lunghi giri di parole. Certo, poi c’è anche l’arcaico e semplice metodo dello sfumare le finali.

L’utilizzo di una simbologia che richiami al biologico (“vagine” e “pussy”, molto presenti come termini e immagini nell’azione femminista) ci allontana dal transfemminismo? Contribuisce a creare esclusione?

Il discorso femminista è un discorso oggettivamente, e anche giustamente, vaginocentrico, per ragioni storiche e politiche.

Non per prendere sempre l’estero come esempio di mondo nuovo, ma fuori dall’Italia si fanno discorsi sulle vagine delle persone transmascoline (uso questo termine perché riesce a includere meglio le diverse soggettività trans maschili), mentre ancora non ho mai trovato un discorso politico decente sui peni delle persone transfemminili. Così come è completamente assente un discorso sulla genitalità e sulla sessualità delle persone intersex, ma perché è il discorso intersex che è praticamente invisibile.

La novità simbolica è notevole, poiché si dà un nuovo significato a una specifica genitalità. Il pene per esempio perde la sua carica simbolica fallica e diventa altro, un altro che varia da persona a persona. E la clitoride mascolinizzata può essere mille nomi e identità.

Si crea però il dilemma della pluralità che viene fuori anche nel linguaggio. Il femminile plurale ha un po’ la stessa valenza simbolica della rappresentazione della vagina. Che fare? Elencare e rappresentare sempre tutte le soggettività? Dire tutti + tutte + tutt*/tuttu e rappresentare vagine femminili + vagine maschili + peni femminili per la massima inclusione?

Considerando quanto siano diverse le vagine di ogni singola donna sulla terra anche una rappresentazione seppur stilizzata di una escluderebbe tutte le altre.

Detto questo io personalmente di certo non mi sento offesa o esclusa per questo vaginocentrismo ma di certo non mi sento rappresentata al 100%. E comunque la vagina è ancora simbolicamente piuttosto potente.

Transfemminismo
Vagina: forse è nata con quella, forse non sono affari tuoi.

Fermo restando che l’identità transgender è in sé non binaria, quale è la posizione elaborata fino alla “comparsa” delle identità non binarie?Quali fonti trattano il non binarismo e in che termini?

Non credo che l’identità transgender sia intrinsecamente non binaria. Lo è dal momento in cui la persona si autodetermina in quanto non binaria. Ci sono persone trans che non vogliono assolutamente essere non binarie. Le risorse maggiori al momento si trovano online, ovviamente su Facebook e in piccoli gruppi di autocoscienza. Come libro posso consigliare Gender Outlaw di Kate Bornstein, non tradotto in italiano, oppure alcuni saggi di Marie Helene/Sam Bourcier che si possono trovare su Academia.edu (in generale un’ottima risorsa).

Ma l’identità non binaria esisteva anche prima che si strutturasse in questo modo. Per esempio Antologaia di Porpora Marcasciano e Stone Butch Blues di Leslie Feinberg raccontano movimenti che ora potrebbero venir letti come (anche) non binari. L’evoluzione dei concetti e delle identità è molto affascinante ma il rischio di effettuare letture retroattiva è controproducente.

Come si può essere donne e uomini trans e allo stesso tempo non binari?

Come il transfemminismo non ha un’unica definizione, non esiste un modo univoco e corretto di essere non binari, è un’esperienza soggettiva che si può declinare in infiniti modi. Si possono prendere ormoni o meno, si può fare una transizione sociale – cioè senza intervenire chimicamente e chirurgicamente -, si può scegliere un nome neutro, si può sentire propria una maschilità frocia così come una femminilità butch, si può nascondere il seno o oppure no, e ogni pratica è legittima.

Personalmente essere non binaria significa anzitutto non cancellare il mio lungo passato in genere maschile. Certo, lo ricordo con sofferenza e insofferenza. Paradossalmente (forse non così paradossalmente) certi atteggiamenti “maschili” che ho, vengono letti come parte della mia identità lesbica. Ho conservato questi atteggiamenti perché sono lesbica (e quindi oltretutto socialmente legittimati) o perché fanno parte del mio passato? Non so rispondere nemmeno io.

Ci sono battaglie che il femminismo dovrebbe condividere con le persone transgender per rendere le università più accessibili, fruibili e friendly per tutt*?

Ci sono barriere economiche e culturali che limitano l’accesso alle persone trans.

Quasi mai abbiamo i documenti d’identità rettificati quando ci iscriviamo all’università.
In alcuni atenei in Italia si sta adottando il sistema della carriera alias. In pratica su tutti i documenti non ufficiali, come ad esempio il badge, la mail d’ateneo e le prenotazioni degli esami si può usare il nome prescelto. In questo modo si creano le condizioni per cui la privacy della persona viene protetta e il fatto di avere un nome non conforme non va invalidare, per esempio, il voto. Purtroppo i titoli di studio ufficiali, come la laurea, devono contenere il nome anagrafico.

Altra cosa: non è infrequente che le famiglie interrompano i rapporti con la prole trans. Nessuna famiglia che ti aiuta a pagare le tasse significa studiare e lavorare, e trovare lavoro per una persona trans è molto difficile. Quindi ciao università.

Questi sono due esempi molto pratici per dire quanto le istanze trans siano spesso di ordine pratico e molto poco teorico.