In questi ultimi giorni sta circolando una serie di articoli dai titoli sensazionalistici: pare infatti che la British Medical Association starebbe intimando di non chiamare più le donne incinte “mamme” per non offendere le persone transgender.
Come spesso accade, nell’ansia di gridare al gender si è stravolto interamente il concetto da cui si è partiti.
Leggiamo infatti cosa dicono le linee guida tanto contestate, nella parte che riguarda le gravidanze: «A large majority of people that have been pregnant or have given birth identify as women. We can include intersex men and transmen who may get pregnant by saying ‘pregnant people’ instead of ‘expectant mothers’». Ossia:
La maggior parte delle persone che sono state incinte o hanno partorito si identificano come donne. Possiamo includere uomini intersessuali e uomini trans che possono rimanere incinti dicendo “persone incinte” invece che “madri in attesa“.
Nessuno, dunque, vuole impedire di chiamare madri le donne: la questione originale era in realtà molto più semplice. La British Medical Association ha sottolineato l’importanza del formare i medici nell’utilizzo di un linguaggio che non discrimina in base a genere, orientamento sessuale, disabilità, razza, religione e via dicendo.
Eppure, anche tra le femministe italiane c’è chi critica la proposta. In questo articolo, ad esempio, si considera la questione come una specie di complotto della non meglio identificata “pseudo-queerpolitics patriarcale” e si aggiunge anche “come se vi fosse anche la minima possibilità di un essere umano incinta che non sia una donna e che non sia la madre”.
L’articolo sostiene anche che le persone transgender sono una minoranza della popolazione, e adattare il linguaggio alle loro esigenze sarebbe “trasformare il mondo in uno shaker di identità liquide o addirittura di stigmatizzare e aggredire le cosiddette ciswomen – ovvero le donne il cui genere è conforme al sesso di nascita: praticamente tutte- brandendo la correctness linguistica come una clava”.
Viene spontaneo fare un paragone con il benaltrismo maschilista che si lamenta di coloro che non accettano il maschile neutro, perché ” sindaca suona proprio male e comunque le donne hanno già pari opportunità, cosa vogliono ancora?”.
Le persone trans hanno ottenuto diversi diritti a livello legale—come il poter modificare il proprio genere nei documenti d’identità—e questo significa anche che possono occuparsi di altre lotte, tra cui anche quella per un linguaggio più inclusivo.
Formare il personale medico in modo che sia in grado di usare le cure e il linguaggio appropriati alla situazione de* pazienti trans e intersessuali non è certamente un capriccio, ma un’esigenza.
Non sappiamo quali siano le fonti americane che vengono citate nell’articolo. Il termine “front hole” a cui si accenna, è un’espressione utilizzata al posto del termine “vagina” nello specifico in riferimento alle persone transgender (come in questa guida al sesso sicuro).
Sembra evidente quindi che non si sta cercando di eliminare le parole vagina o seno dal globo, bensì si offre un’alternativa per le situazioni in cui potrebbero causare disagio a pazienti con disforia di genere.
Inoltre, nonostante la fobia dell’eliminazione del femminile che verrebbe appiattito ad un maschile camuffato da neutro, la British Medical Association parla chiaro anche di sessismo. Si legge infatti: «Gender neutral language avoids stereotyping people according to their sex. Although stereotyping can affect men adversely, women are more often affected because former convention was to assume that an individual of unknown gender was male, or to use male gendered language to cover both sexes». Tradotto:
Un linguaggio neutro evita di stereotipare le persone in base al loro sesso. Anche se gli STEREOTIPI possono influire negativamente sugli uomini, le donne sono più colpite perché la convenzione dava per scontato che un individuo di genere sconosciuto fosse un uomo o di usare un linguaggio maschile per entrambi i sessi.
Insistere nel voler negare l’esistenza e i bisogni delle persone transgender è un atto di transfobia e avere amic* trans o aver sostenuto cause della comunità trans non può diventare una giustificazione di fronte alle discriminazioni. Perché, come abbiamo già scritto, essere davvero alleat* della causa lgbti significa anche informarsi prima di parlare e non farsi portavoce di una comunità di cui non si fa parte.
Ci auguriamo in futuro di vedere un femminismo più intersezionale e rispettoso delle esperienze di tutte e tutti.