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Tina Lagostena Bassi, l’avvocata delle vittime di stupro

Foto dall'archivio de L'Unità
Foto dall’archivio de L’Unità

Chi è: Tina Lagostena Bassi, nata Augusta Bassi, avvocata italiana, nata a Milano il 2 Marzo 1926.

Cosa ha fatto: nei primi anni Settanta iniziò una collaborazione con il ministero di Grazia e Giustizia e divenne nota per la sua agguerrita difesa dei diritti delle donne nelle aule dei tribunali: rappresentò Donatella Colasanti, vittima del massacro del Circeo. Nel 1978 rappresentò la 18enne Fiorella nel processo che fu poi raccontato nel celeberrimo documentario “Processo per stupro”, realizzato dalla regista Loredana Rotondo per mostrare all’opinione pubblica cosa poteva accadere a una donna che denunciava abusi sessuali, trattata da colpevole nelle aule giudiziarie. Il documentario, mandato in onda due volte, fu seguito da oltre 10 milioni di spettatori.

Perché è “pasionaria”: difendendo Fiorella, Tina Lagostena Bassi insistette nell’introdurre la parola “stupro“, per imporla alle coscienze al posto della terminologia più generica di “violenza sessuale”, che in quegli anni (e fino al 1996) era ancora un reato solo contro la morale e non contro la persona. L’idea di documentare un processo per stupro fu di una programmista della Rai, dopo il “Convegno internazionale sulla violenza contro le donne”, organizzato dal movimento femminista a Roma quello stesso anno, in cui emerse che ovunque nel mondo, quando aveva luogo un processo per stupro, la vittima si trasformava in imputata. La giovane Fiorella non fece eccezione. In numerose occasioni, mentre veniva interrogata dai difensori dei suoi aggressori (“quattro bravi ragazzi, sposati e con prole”), la ragazza subì degli intollerabili attacchi che miravano a dipingerla come una persona dalla moralità non irreprensibile. Molti interventi degli avvocati miravano unicamente a sottolineare che, se non c’era una dimostrazione di avvenuta violenza fisica o di ribellione, Fiorella doveva essere certamente stata consenziente. Tina Lagostena Bassi dovette ricordare che lei in quell’aula non aveva il ruolo di difendere la parte lesa, ma quello di accusatrice degli imputati. La condanna fu lieve: poco più di un anno, con scarceramento immediato grazie alla libertà provvisoria e una multa di 2 milioni di lire, ma con quel processo non si chiedeva giustizia solo per Fiorella, ma per tutte le donne violentate, costrette a patire in tribunale un prolungamento della violenza già subita.

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Avv. Angelo Palmieri, arringa:

“Lei non dice che le hanno fatto violenza e non può dirlo, perché non ci sono i segni.”

Avv. Giorgio Zeppieri, arringa:

“La violenza c’è sempre stata […] Non la subiamo noi uomini? Non la subiamo noi anche da parte delle nostre mogli? E come non le subiamo? Io oggi per andare fuori ho dovuto portare due testi con me! L’avvocato Mazzucca e l’avvocato Sarandrea, testimoni che andavo a pranzo con loro, sennò non uscivo di casa. Non è una violenza questa? Eppure mia moglie mica mi mena. È vero che siete testimoni? Siete testi? E allora, Signor Presidente, che cosa abbiamo voluto? Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l’uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato con il dire «Abbiamo parità di diritto, perché io alle 9 di sera debbo stare a casa, mentre mio marito il mio fidanzato mio cugino mio fratello mio nonno mio bisnonno vanno in giro?» Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente.”

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Avv. Tina Lagostena Bassi, arringa:

 

“Presidente, Giudici, credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo. Per donne intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula, ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. […] Vi assicuro, questo è l’ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento: vi diranno gli imputati, svolgeranno quella difesa che a grandi linee già abbiamo capito. Io mi auguro di avere la forza di sentirli, non sempre ce l’ho, lo confesso, la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo. Perché la difesa è sacra, ed inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi avvocati—e qui parlo come avvocato—si sognerebbe d’impostare una difesa per rapina come s’imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali da difendere, ebbene nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori «Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!» Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. […] Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d’oro, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare venire qui a dire «non è una puttana». Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza.”