Theresa May è la donna del momento, dopo la sua nomina a prima ministra della Gran Bretagna. Molti giornali, sia nel Regno Unito che nel resto del mondo, hanno cominciato a interrogarsi sul significato della sua nomina in chiave di genere: è un successo per le donne?
Molti hanno celebrato il fatto che vedere una donna ai vertici può essere un segnale positivo per le giovani e può essere considerato un successo per le femministe. Perché le donne, secondo tanti osservatori, solo per via del loro genere farebbero una politica differente e talvolta migliore.
Ma davvero qualsiasi donna al potere può essere visto come un segnale positivo per le altre donne e per l’uguaglianza? Non secondo noi.
Non dobbiamo dimenticare che non tutte le donne sono femministe. Senza dubbio il fatto che la nuova prima ministra britannica sia di genere femminile è un successo per la rappresentatività, ma guardando le politiche e le azioni della May durante la sua carriera in politica e come ministra degli Interni, sicuramente non possiamo parlare di una vittoria per l’uguaglianza e la giustizia sociale.
May è la seconda prima ministra della storia della Gran Bretagna, segue infatti all’iconica Margaret Thatcher, la “lady di ferro” (alla guida del Paese dal 1979 al 1990), famosa per tante cose, ma certamente non per il supporto nei confronti delle altre donne, anche solo considerando che non più di una era entrata a far parte del suo gabinetto.
Come la “lady di ferro”, May appartiene al partito conservatore e ancora una volta i segnali dal punto di vista femminista non sono buoni.
May, durante il suo mandato, sotto la guida di David Cameron, ha tagliato fondi ai servizi per le donne che hanno subìto violenza sessuale. Ha anche fatto in modo che persino le donne incinte fossero detenute nel centro di espulsione per immigrati di Yarl’s Wood, dove le accuse di violenze sessuali da parte di alcune guardie sono rimaste senza giustizia. E’ stata promotrice di numerose misure in nome dell’austerità, che hanno colpito maggiormente le categorie deboli della società.
Inoltre, nonostante la nuova inquilina del numero 10 di Downing Street sia stata una delle prime ministre ad appoggiare la proposta di legge conservatrice per introdurre il matrimonio egualitario, in passato aveva votato contro le unioni civili e contro la cancellazione della section 28, la legge che vietava la promozione dell’omosessualità o la pubblicazione di materiale che ne parlasse, sia da parte delle autorità legali che nelle scuole.
Queste e tante altre azioni dimostrano che avere una prima ministra, non è abbastanza per cantare la vittoria del femminismo, anche se in passato si è fatta fotografare con una maglietta della Fawcett Society con su scritto “this is what a feminist looks like” (“questo è l’aspetto di una femminista”).
Essere donna (o indossare la maglietta di una campagna) non basta certo per definirsi femministe o per assicurare attenzione contro le discriminazioni di genere e a favore delle donne in difficoltà. Abbiamo bisogno di politiche e decisioni che siano fatte in nome dell’uguaglianza e della giustizia sociale: quello che conta non è solo il genere, ma la sostanza.