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Strage di Orlando: quelle vittime sono lgbti ed è importante dirlo

Strage di Orlando: quelle vittime sono lgbti ed è importante dirlo

Cinquanta persone morte, 53 ferite. Chissà quante traumatizzate per il resto della loro vita. Questo il bilancio della strage di Orlando, in Florida, quando Omar Mateen ha aperto il fuoco dentro al Pulse, uno dei ritrovi della comunità lgbti locale. Si tratta della più grande strage per arma da fuoco degli Stati Uniti, la più grande carneficina a colpire la comunità lgbti americana e internazionale.

È qualcosa che fa male a chiunque provi empatia. Che fa male ancora di più, se possibile, a chi appartiene a quella comunità. Perché questo omicidio di massa ci ricorda che l’essere diversi dalla norma per orientamento sessuale o per identità di genere – anche nei paesi che riteniamo più sicuri, dove esistono alcune leggi che formalizzano le nostre famiglie o riconoscono la nostra esistenza – è ancora fonte di pericolo per le nostre vite. Di omotransfobia si muore, anche nell’Occidente che riteniamo lume della civiltà.

Per questo fa ancora più male vedere che questi morti sono trattati in certi casi come morti di secondo ordine: meno cordoglio che per le stragi di Parigi e Bruxelles, ma soprattutto il tentativo di sopprimere o mettere in dubbio la vera causa di questa strage, cioè l’omotransfobia.

In tanti sui social, infatti, hanno criticato la scelta di specificare che l’attentato fosse avvenuto all’interno di un “locale gay” o che l’obiettivo del killer fossero le persone lgbti, dicendo che sottolinearlo le avrebbe addirittura discriminate.

Orlando: quelle vittime sono lgbti ed è importante dirlo

Orlando: quelle vittime sono lgbti ed è importante dirlo

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Che l’assassino fosse o meno affiliato all’Isis, poco importa. Quando i combattenti di Boko Haram rapiscono le studentesse in Nigeria o quelli di Daesh bruciano le donne yazide colpiscono un obiettivo preciso: le donne che non si conformano alla norma imposta, che non si sottomettono al loro imperio. Per lo stesso motivo queste persone sono diventate a Orlando oggetto di feroce violenza: perché non si conformavano alla norma eterosessuale.

Strappare questa loro identità, dimenticarsela gridando allo scontro di civiltà o al “folle gesto” di uno squilibrato serve solo a uccidere le vittime una seconda volta. Serve solo a mostrare che l’omotransfobia è un male davvero diffuso se ancora si ha vergogna o ritrosia di chiamare le persone col loro nome.

L’integralismo religioso islamico e la facilità con cui negli Stati Uniti chiunque può comprare un’arma, sono certamente parte dell’azione, ma non ne sono il motivo principale. L’azione è stata diretta a eliminare quelle anime e quei corpi in quanto incarnano chi non rientra nel rigido binarismo tra uomo e donna, chi non è eterosessuale.

È questo che va sottolineato.

Noi siamo transessuali, intersessuali, gay, lesbiche, bisessuali, queer. Negare la nostra identità ai nostri corpi ci seppeliisce, ci fa ripiombare nel buio, legittima chi ci considera la feccia del mondo.
I benintenzionati, quelli che pensano di combattere per l’uguaglianza dicendo “è solo violenza su delle persone” ci offendono.

Certo che siamo persone, ma annullare una parte importante della nostra vita non serve all’uguaglianza o alla lotta per i diritti: vogliamo avere gli stessi diritti proprio perché i nostri modi di esistere hanno lo stesso valore di quelli della maggioranza. Chiediamo uguaglianza (di trattamento) nella differenza. Perché è la differenza che arricchisce il mondo.

Alle femministe e ai femministi, a chi si occupa di questioni di genere, questo ragionamento non dovrebbe tornare tanto nuovo: chi oggi nega il movente omofobo alla strage di Orlando, chi volutamente dimentica che le persone uccise sono state uccise perché lgbti (poco importa che lo fossero tutte o meno: Mateen le ha uccise perché si trovavano in un locale dedicato alle persone lgbti), sono le stesse persone secondo cui “femminicidio” è una parola inutile. Quelle per cui le 58 donne uccise in Italia nel 2016 sono semplici vittime di omicidio, di un raptus, di una fatalità, non di una cultura che alimenta la violenza di genere.

Infine un pensiero a chi vuole usare la strage per silenziare l’Onda Pride e tentare di far trionfare chi vorrebbe le nostre manifestazioni composte e tristi. Proprio per rispetto a quelle 49 vite spezzate, proprio per riappropriarci del diritto al nostre essere anche corpi oltre che anime, le nostre sfilate dovranno essere più colorate, più animate, più gioiose che mai.

Perché è con il colore che si sconfigge l’omotransfobia oscurantista.