Chi è: Stefania Noce, nata nel 1987 e morta il 27 Dicembre 2011 a Licodia Eubea (CT).
Cosa ha fatto: era una studentessa di Lettere e Filosofia all’Università di Catania. Stefania era molto conosciuta nell’ambiente universitario, poiché era una vivace attivista. Femminista convinta, militava nel Movimento Studentesco Catanese ed aveva organizzato una colletta a Licodia Eubea in solidarietà ai terremotati dell’Abruzzo, dopo il sisma del 2009. Dal suo paese d’origine, organizzò e coordinò una piccola missione con l’aiuto di alcuni amici che partirono per consegnare tutto ciò che fu raccolto.
Fra le sue passioni c’era quella della difesa dei diritti delle donne: è diventata molto famosa una fotografia che le fu scattata durante la manifestazione “Se non ora, quando”, il 13 Febbraio 2011. La studentessa mostrava orgogliosamente un cartello che illustrava il suo pensiero:
Poco dopo, pubblicò un articolo su un giornale di Licodia Eubea, La Bussola, (che aveva contribuito a fondare), intitolato: “Ha ancora senso essere femministe?”, nel quale esprimeva che “Nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, né, tanto meno, di una religione”.
Il fidanzato, suo coetaneo, Loris Gagliano, studiava Psicologia a Roma: quando la uccise i due si erano già lasciati da qualche tempo.
La mattina del 27 dicembre 2011, la madre di Stefania si era recata dai carabinieri per denunciare la manomissione dei freni di una delle vetture della famiglia. Il mezzo si trovava nel loro garage, del quale Loris Gagliano aveva rubato le chiavi. Mentre stava depositando la sua denuncia, la donna ricevette la telefonata di sua madre (la nonna di Stefania) che annunciava l’arrivo di Gagliano, armato con un coltello. L’uomo stava compiendo la strage nella quale persero la vita la ragazza e suo nonno. I due furono ripetutamente accoltellati e anche la nonna fu ferita gravemente.
Poco dopo, l’assassino confessò i delitti, e confidò al suo avvocato di “non conoscere le motivazioni del suo gesto”, perché “amava Stefania più della sua vita”.
Perché è “pasionaria”: è diventata un simbolo della lotta contro la violenza sulle donne. Stefania è morta per mano di un ex fidanzato che non sopportava la fine della loro relazione e aveva premeditato la sua morte: lei, che tanto si è battuta per rivendicare i diritti delle donne di portare avanti le proprie scelte, è morta di femminicidio.
Ad aprile 2013 la ex consulente della famiglia di Stefania Noce, Pina Ferraro, è riuscita a far inserire questo termine nella sentenza di primo grado del processo contro Gagliano, la cui condanna all’ergastolo è stata poi confermata dalla Corte d’Appello di Catania nel 2014.
In occasione del processo di secondo grado, invece, si assiste ad un passo indietro, in quanto il procuratore Giulio Toscano ha definito il femminicidio come “un brutto neologismo dal sapore sociologico”.
Noi condividiamo le parole di Pina Ferraro: “La battaglia per il termine femminicidio serve a specificare che ci sono contesti in cui la donna viene annientata in quanto tale. Non è femminicidio quando una donna viene uccisa in una strage, nel corso di una rapina o da un pirata della strada: è femminicidio quando un uomo la ammazza perché lei è sua, perché lei non lo accontenta. E vale anche se lei è una prostituta e lui un cliente”.
Ringraziamo Serena Maiorana, giornalista e autrice del libro “Quello che resta”, per la preziosa consulenza, e ricordiamo Stefania Noce con le sue stesse parole:
“Abbiamo denunciato qualsiasi forma di “patriarcato”, le sue leggi, le sue immagini. Pensavamo di aver finito. Ma non è finita qui.”