La recente proposta del sindaco di Roma di creare nella capitale un “quartiere a luci rosse” dove far lavorare le prostitute, ha scatenato un putiferio. Tra lodi e polemiche, di sicuro un merito l’ha avuto: quello di aver riaperto un dibattito mirato sulla prostituzione, di cui da queste parti non si discuteva seriamente da qualche decina d’anni.
Non c’è giornale, sito di informazione e opinionista che in questi giorni non ne abbia parlato. Noi, lo confessiamo, ci siamo sentite un po’ isolate, perché – facciamo coming out – non siamo abolizioniste. Che significa? Che a differenza di gran parte del mondo femminista italiano e non solo (con le dovute eccezioni, s’intende) non siamo contrarie alla prostituzione (e già lo avevamo accennato qui).
Partiamo da un principio: essere per l’autodeterminazione significa rispettare le scelte degli altri anche quando queste non ci piacciono, anche quando queste feriscono il nostro sistema etico o ci sembrano pericolose. È così anche per il tema difficilissimo della prostituzione. Nel nostro mondo ideale una persona che voglia vendere il proprio corpo, stabilendone il prezzo, è libera di farlo.
Dovremmo poi essere tutti d’accordo che parlare di prostituzione come un fenomeno monolitico sia un’astrazione che genera soltanto slogan pro/contro e alimenta l’ignoranza. Si tratta di un mondo complesso ed eterogeneo: da una parte ci sono piaghe come la tratta delle donne e lo sfruttamento di minorenni, dall’altra sex workers (cioè chi si prostituisce per scelta, che è comunque una minoranza) di entrambi i sessi e non solo. C’è chi batte sui marciapiedi, chi fa la escort o il gigolò, chi si prostituisce on line, ci sono i night. Insomma, parlare di prostituzione pensando esclusivamente alla donna in minigonna che batte agli angoli delle strade in stile Pretty Woman è tanto riduttivo quanto ingenuo.
Il problema principale sta nel fatto che la prostituzione più visibile, quella che “offende il pubblico decoro” non è prostituzione volontaria, ma prostituzione da tratta. Parliamo di “decoro” perché proprio una questione di “dignità” dell’agglomerato urbano ha spinto il IX municipio di Roma a fare la tanto discussa proposta di dedicare alcune strade alla prostituzione, legalizzando l’attività e facendola “sorvegliare” da assistenti socio sanitari anti-sfruttamento.
Ci sono molte cose che non ci convincono di questa proposta (comunque già dichiarata illegale dal Prefetto). In primis, la maggiore preoccupazione non sembra essere l’incolumità e la salute delle prostitute, ma una mera questione di degrado urbano. Insomma, la solita ipocrisia borghese che preferisce relegare in un ghetto ciò di cui si serve, ma di cui si vergogna. I ghetti, la storia insegna, difficilmente sono una buona idea: disumanizzano chi è costretto a rinchiudervisi, aumentando il rischio di alienazione, disagio e dunque crimine.
“Eh, ma il modello Amsterdam“. Forse i nostri amministratori dovrebbero sapere che da anni il modello deWallen è in crisi e che il mito delle “splendide ragazze in vetrina” è, appunto, un mito (basta farci un giro per rendersene conto).
Un altro punto interrogativo è per gli operatori “anti-sfruttamento”: di che metodi disporranno per prevenire e arginare le infiltrazioni della malavita? Si è detto anche che dovrebbero distribuire preservativi e controllare lo stato di salute delle donne. Non so a voi, ma a noi sembra l’immagine di un allevamento in batteria. Il diritto alla salute si garantisce non soltanto con la presenza di personale (con che qualifiche?), quanto con il libero accesso alle cure mediche.
Se qualcosa di buono da questa iniziativa può venire è aprire la strada a una discussione seria sulla legge Merlin. Che è stata una buona legge, necessaria nel contesto in cui fu approvata (che forse dovrebbero studiare meglio quelli che hanno un’idea romantica dei bordelli), ma che ha lasciato un vuoto legislativo per quanto riguarda lo stato giuridico delle prostitute e che non poteva tener conto del fenomeno della tratta delle immigrate, che è diventato fenomeno di massa soltanto dagli anni Novanta.
Una discussione sulla legge dovrebbe partire, però, da una comprensione vera del fenomeno, che vada al di là dei soliti schieramenti “moralisti” contro “anticonformisti”, dando voce sì alle sex-workers, ma cercando di raccogliere le storie e le esigenze anche delle vittime, che, come lo scandalo dei Parioli ci ricorda, non sono soltanto le immigrate clandestine.
E’ dovere di una società responsabile offrire delle alternative. Se ti prostituisci non perché ti piace, ma per bisogno, la tua non è una scelta di autodeterminazione: è la società, che, mettendoti ai margini, negandoti i mezzi di sussistenza, ti costringe a una scelta che magari non faresti.
Insomma, servirebbe una discussione senza dogmatismi.
Bisognerebbe allargare il discorso a tutta la prostituzione: se c’è una pecca dei femminismi che si occupano di questo argomento, è che si prende in considerazione quasi sempre e soltanto la prostituzione femminile, poco quella di transessuali o di travestiti, meno ancora di prostituzione maschile, che di certo sono minoritarie, ma ben presenti e radicate sul nostro territorio: al compratore si offre “merce” divisa per corsie.
Bisognerebbe smettere di raccontarsi favole sessiste (oh, ma come rassicuranti!) sull’uomo cacciatore che non riesce – proprio non può – tenerselo dentro ai pantaloni, e sulla donna che anche se non è sempre casta e pura, almeno non è una deviata. Smettiamo di pensare che i clienti siano esclusivamente persone sole, frustrate, represse o maniache. Il sesso mercenario è una delle declinazioni della sessualità umana e non solo una devianza sociale: ci sono persone a cui piace usufruirne perché lo ritengono un modo di esprimere la propria sessualità. Anche donne, seppur in modo meno visibile e meno socialmente accettato.
Dunque, ogni proposta di abolizione completa, che passi per leggi più severe o per un fumoso “rinnovamento culturale”, non sarà mai attualizzabile. Un cambiamento, che sia prima di tutto a tutela delle donne e delle ragazzine sfruttate, è necessario, ma bisognerebbe affrontare l’argomento in modo più consapevole, aperto e maturo.