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Cos’è il reddito di autodeterminazione, strumento contro la violenza di genere

All’ultima assemblea nazionale di Non una di meno, lo scorso aprile, è emerso come uno degli obiettivi principali della lotta femminista della rete sia il reddito di autodeterminazione.

Dopo la straordinaria giornata dello sciopero globale dell’8 marzo, che ha portato in piazza centinaia di migliaia di donne in 59 paesi in tutto il mondo, Non una di meno si è rimessa in marcia, continuando a elaborare il Piano antiviolenza femminista, di cui il reddito di autodeterminazione è caposaldo.

In diversi tavoli di lavoro (come Educazione, Femminismo Migrante e Lavoro e accesso al welfare, di cui faccio parte), il reddito di autodeterminazione è stato individuato come risposta ai principi di autonomia, prevenzione della violenza, redistribuzione della ricchezza, risarcimento del lavoro di cura e universalità.

Di cosa si tratta?

Il reddito di autodeterminazione è una forma di introito minimo garantito, che differisce da quello che oggi esiste in vari Paesi europei o che in Italia è oggetto del disegno di legge “ddl povertà”.

Perché è necessario.

Il reddito di autodeterminazione è una misura a tutela dell’indipendenza e dell’autodeterminazione delle donne. In Italia, infatti, in un mercato del lavoro sempre più contratto e precario, le donne continuano non solo a essere pagate meno per lavori produttivi (hanno in media salari più bassi dei colleghi uomini a parità di mansioni), ma a essere caricare per i lavori riproduttivi e di cura che spesso ricadono in gran parte o completamente su di loro (e che non sono retribuiti).

Nel nostro paese, anche per questi motivi, le donne e i bambini sono i soggetti più a rischio di vivere in condizioni di povertà. E proprio l’indigenza è la minaccia più feroce all’indipendenza delle donne. Risulta fondamentale, dunque, creare condizioni di indipendenza anche per le donne che decidono di dedicarsi a lavori domestici o di cura della famiglia.

La maternità è oggi un fattore di esclusione e di controllo sociale. In questo contesto diventa fondamentale pensare a un diritto universale alla maternità che vada a colpire il paradigma capitalista per cui l’individuo ha diritto alla retribuzione solo se produce beni o servizi;
– la violenza perpetrata dagli uomini sulle donne si accompagna spesso a situazioni di assoggettamento economico, pertanto la stessa può essere efficacemente contrastata con misure preventive che consentano alle donne di allontanarsi dal nucleo famigliare senza che questo rappresenti l’inizio di una vita di stenti.

Ma che cos’è il reddito di autodeterminazione?

Il reddito di autodeterminazione è una forma di introito minimo garantito, incondizionato, concesso a tutti su base individuale, molto simile al Basic Income (BI), proposto dall’organizzazione internazionale BIEN (Basic Income Earth Network).
Per essere definito come tale, il reddito di autodeterminazione deve rispettare le seguenti caratteristiche:

1) essere erogato alle persone piuttosto che alle famiglie. Vige un criterio di individualità all’interno di una comunità politica. Esso infatti deve essere pagato a livello individuale e non filtrato attraverso i membri della famiglia. Uno dei nodi da sciogliere è se  minori di anni 18 possano accedervi: garantirlo anche a persone minorenni potrebbe essere una grande risorse per le ragazze madri.

Inoltre, il salario minimo deve essere pagato a tutti gli individui che fanno parte di una comunità politica, siano essi residenti in un determinato territorio o che partecipano alla produzione e alla cooperazione sociale indipendentemente dal loro stato civile, sesso, etnia, credo religioso, etc.

2) essere pagato indipendentemente da qualsiasi entrata da altre fonti. Il salario minimo è pagato nella sua fase iniziale di sperimentazione a tutti gli individui al di sotto di una certa soglia di reddito.

Tale soglia può, tuttavia, essere maggiore della soglia di povertà relativa e convergere verso il livello medio di retribuzione della comunità di riferimento. Inoltre, questo suo livello deve essere espresso in termini relativi, non assoluti, in modo che all’aumento della soglia minima la gamma di beneficiari aumenti progressivamente fino a raggiungere l’universalità.

3) essere pagato senza richiedere l’esecuzione di qualsiasi opera o la disponibilità ad accettare un lavoro se offerto, ciò al fine di ridurre al minimo qualsiasi forma di compensazione e di obbligo, massimizzando la libera scelta individuale.

Come si potrebbe finanziare?

Le modalità di finanziamento del reddito di autodeterminazione andrebberosviluppate sulla base di studi di fattibilità economica, calcolando le risorse necessarie e i benefici attesi in termini di benessere del cittadino, salute, sicurezza, eliminazione della povertà.

Queste risorse, infatti, dovrebbero attingere alla fiscalità generale, per esempio pensando al rafforzamento della progressività dei prelievi, a una tassa sulle transazioni finanziarie etc., e non andare a intaccare fondi necessari per altre misure di wellfare, come i contributi previdenziali, né tantomeno comportare nuove politiche liberiste (come la vendita di beni pubblici o l’aumento delle privatizzazioni).