Il 10 ottobre ricorre la Giornata mondiale della Salute mentale. Perché questo tema coinvolge il femminismo intersezionale e dovrebbe far parte delle nostre lotte?
La salute mentale ci riguarda come femministe
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizi del Novecento in Italia, tante donne sono state marginalizzate, recluse e torturate perché si sono ribellate alle imposizioni sociali e patriarcali. In particolare negli anni del Fascismo, come racconta Annacarla Valeriano nel libro “Malacarne”, che ripercorre la storia dell’utilizzo dei manicomi come repressione dei comportamenti femminili ritenuti trasgressivi.
Venivano infatti consegnate «quelle donne che si rifiutavano di conformare il proprio stile di vita agli ideali proposti dal fascismo e che, proprio per questa ragione, avevano bisogno di essere rieducate attraverso la disciplina manicomiale per riportare le loro condotte entro i recinti di una normalità biologicamente e socialmente costruita», spiega l’autrice. Quest’ultima ha anche curato una mostra, in collaborazione con Costantino Di Sante, alla Casa della memoria e della storia di Roma, chiamata “I fiori del male – donne in manicomio nel regime fascista”.
Altri libri come quello di Lieta Harrison, Le svergognate, o quello di Pier Maria Furlan, “Sbatti il matto in prima pagina. I giornali italiani e la questione psichiatrica prima della legge Basaglia“, documentano perché le donne «sane trattate come pazze solo per punizione» venissero recluse in manicomio.
Le motivazioni scritte nei documenti e nelle cartelle ufficiali mostravano agghiaccianti dichiarazioni come: «temperamento ostinato e ribelle», «fughe frequenti e immotivate da casa», essere in compagnia di «uomini di qualunque ceto e condizione», «vita irregolare con spiccate tendenze erotiche e rifiuto di qualsiasi ordine o minima regola di vita», tralasciare «le preoccupazioni per la famiglia» o aver speso «sconsideratamente il denaro che il marito le affidava».
La salute mentale ci riguarda come transfemministe
Tante persone transgender sono state ospedalizzate e psichiatrizzate in quanto tali. Sempre tra la fine dell’Ottocento e i primi venti anni del Novecento le persone trans venivano sottoposte a tentativi di “guarigione”, e quindi di rimozione del “disturbo”, con mezzi come la psicoterapia o la somministrazione di ormoni del genere assegnato loro alla nascita.
Inutile dire che le persone trans che subivano tali trattamenti sceglievano spesso il suicidio, come dimostrano le cartelle cliniche dell’epoca.
Ricordiamo che solo nel 2018 l’Oms ha depatologizzato la “transessualità” come disturbo mentale con la conseguente rimozione dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.
La salute mentale ci riguarda come identità queer
Innumerevoli soggettività con orientamenti sessuali diversi dall’eterosessualità, sono state considerate “malate”. Tristemente, ancora oggi, si parla di sedicenti “professionisti” che sostengono le “terapie riparative”, per far rientrare le persone non etero nella “normalità”, ovvero nell’eteronormatività.
Molte persone, purtroppo, pensano ancora che il non essere etero sia una “devianza” e per questo ci sia la necessità di ricorrere a ripari psichiatrici (come ha dichiarato Papa Francesco durante il ritorno dal suo viaggio in Irlanda) o peggio ancora a “cure” costituite da preghiere, o in cui si induce il vomito alla persona “deviata” alla vista di immagini omoerotiche, per esempio.
La salute mentale riguarda noi tutte persone attiviste
Tantissime volte ci sentiamo sopraffatte e incomprese dal mondo che ci circonda. Chi si occupa di diritti civili e umani deve confrontarsi sempre con commenti irrisori di persone ignoranti, o peggio, di leoni e leonesse da tastiera. Spesso ci sentiamo sole, incomprese o di non riuscire a staccare un attimo il cervello dalla nostra causa, che ci coinvolge anima e corpo. Per questo è bene prendere delle cautele nei confronti di noi stess* come pause dall’attivismo o nel frequentare non solo persone che si occupano della nostra causa.
Gli attacchi ai pazienti psichiatrici
Le agghiaccianti uscite da parte di chi ha ruoli istituzionali non aiutano. Una delle prime dichiarazioni dell’attuale ministro degli Interni, Matteo Salvini, durante il raduno della Lega a Pontida e in trasmissione nazionale su La7, nel programma In Onda, è stata sulla “esplosione di aggressioni” da parte di “pazienti psichiatrici”.
Una dichiarazione gravissima, non solo smentita dai numeri (solo il 5% dei reati violenti commessi nel nostro paese è compiuto da persone con disturbi psichiatrici), ma dalla stessa Società Italiana di Psichiatria, che sottolinea come queste parole non facciano altro che aumentare lo stigma e la discriminazione che le persone con disturbi mentali devono subire ogni giorno sulla loro pelle. Ecco il link al post.
Per rincarare la dose, Salvini ha anche aggiunto nel nuovo decreto legge sulla sicurezza, la presenza del Daspo nei presidi sanitari: fatto che ha lasciato perplessa per prima la Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo).
Vogliamo sostenere con forza la legge Basaglia, legge promulgata nel 1978 e che ha chiuso quegli inferni chiamati manicomi e aiutato le persone con disturbi mentali e le loro famiglie. La legge n. 180, in tema di “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori“, prende il nome da Franco Basaglia, psichiatra e promotore della riforma psichiatrica in Italia.
I tre principali punti innovativi furono:
- l’intervento pubblico non finalizzato al controllo di chi soffre di disturbi mentali ma alla prevenzione e alla promozione della salute mentale;
- il passaggio dal ricovero ospedaliero dei pazienti all’utilizzo dei servizi territoriali regolamentando il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), che permette in caso di necessità e urgenza, di intervenire con procedure sanitarie normate e con specifiche tutele nei confronti di chi soffre di disturbi mentali, e l’istituzione dei Centri di Salute Mentale (CSM);
ma soprattutto:
- l’umanizzazione delle persone con disturbi mentali con progetti terapeutici, socializzazione e coinvolgimento familiare del paziente.
Questa legge rivoluzionò il mondo della psichiatria, della salute, delle persone in cura e delle loro famiglie. Fece dell’Italia il primo ed unico paese al mondo ad abolire i manicomi.
Oggi, invece, in Italia ci ritroviamo un governo che con sempre maggiore forza, si scaglia sulle minoranze, sui più deboli, su con chi da sempre è stato stigmatizzato e discriminato o è stato usato come capro espiatorio per fomentare la paura su cui questo tipo di regime si fonda.
Nessuno può definire noi, persone con disturbi mentali, qualcuno da nascondere, da recludere, di cui avere paura.
Perché soffriamo ogni volta che dobbiamo nascondere il disturbo per essere accettat*. Soffriamo già abbastanza quando sentiamo la vicina di casa parlare di “malati mentali” o quando in treno ascoltiamo un passeggero dire con non curanza “quella persona sarebbe da rinchiudere!”. Soffriamo quando la nostra amica come suggerimento ci incalza: “Tirati su, non essere depress*!”. Questo è il linguaggio abilista che siamo costrett* a sentire, purtroppo, anche in contesti in cui ci credevamo al sicuro.
E per favore, smettetela di vittimizzarci, perché non siamo persone fragili, insicure o in cerca di rassicurazioni. Anzi spesso siamo più forti di una persona che non ha disturbi, per le lotte e il coraggio con cui dobbiamo affrontare il mondo.
Il disturbo mentale non è un capriccio, non è un momento, non è una cosa da niente: il disturbo mentale è una patologia. La salute mentale va curata come la salute fisica.
Nessuno può definirci anormali, tanto meno questo governo che non ci rappresenta, perché la normalità non esiste: esiste la nostra unicità di essere umani e il diritto di riconoscerci in quanto tali.