Lo scorso 22 aprile è stata istituita dal governo la prima Giornata Nazionale della Salute della Donna, perché troppo spesso le donne sottovalutano i propri disturbi e trascurano la propria salute a vantaggio della cura di chi sta loro accanto. Ma anche quando se ne preoccupano, non sempre le cose vanno come dovrebbero.
Premessa: credo che il nostro sistema sanitario nazionale, pur con tutti i difetti, sia una ricchezza da difendere. Credo, però, che sia migliorabile.
Per questo vi racconto la mia storia.
Quante volte vi siete sentite dire che i vostri sintomi e le vostre malattie dipendevano da voi?
Emicranie? Isteria! Dolori lancinanti alla pancia durante il ciclo? Ovvio, state facendo una tragedia per nulla, dovreste imparare a sopportare! Gastrite? Tutta colpa dell’ansia… e via dicendo.
Quanto il sessismo influisce sulla qualità delle cure e la velocità della diagnosi?
Sette anni fa cominciai ad accusare sintomi piuttosto debilitanti: mal di pancia, nausea, spossatezza. E soprattutto diarrea molto forte. Nera. Mi feci visitare da uno specialista, sottoponendomi a una colonscopia di urgenza.
Già durante l’esame subii i rimproveri di medico e infermiere perché ero spaventata a morte e perché… mi faceva malissimo (il mio intestino si piega avvitandosi per due volte su se stesso rendendo difficoltoso il passaggio del sondino). Mi lamentavo troppo. Non riuscivo a sopportare abbastanza il dolore. Facevo la “bimbetta”. Nessuno pensò di offrirmi l’anestesia locale.
Diagnosi: colite ulcerosa cronica. Non si tratta di una comune colite spastica, ma di una malattia cronica infiammatoria, che porta le pareti di alcuni tratti dell’intestino a ulcerarsi ciclicamente con emorragie, diarrea, malassorbimento alimentare, spasmi, gonfiore e meteorismo etc. Gli attacchi in media compaiono due o tre volte all’anno e durano da venti giorni a un mese e mezzo. Non si guarisce. L’unico modo per tenerla sotto controllo è assumere una terapia quotidiana di farmaci orali e locali.

Lo ammetto, mi stupii io stessa della mia reazione: mentre mia madre si disperava, io chiesi soltanto cosa ci fosse da fare e quale fosse la causa. Volevo capire.
“Lei è un tipo ansioso e nervoso, si vede”: il succo del discorso dello specialista fu questo. Insomma, quella malattia me l’ero un po’ andata a cercare per colpa del mio carattere (in quel periodo della mia vita, per vari problemi, soffrivo di attacchi di panico).
Era colpa mia e della mia fragilità emotiva. Figurarsi, avevo anche un passato di anoressia, me l’ero proprio andata a cercare! Certo, si vedeva da come avevo reagito alla colonscopia, che ero proprio una persona fragile, che si comportava proprio da “donnicciola”.
“D’altronde voi donne siete così”.
Sono rimasta per tanto tempo con la convinzione che il mio stupido corpo mi avesse giocato un brutto scherzo, psicosomatizzando una situazione di stress. In casa, tutti assentivano: “devi stressarti di meno”, “prendi la vita con più filosofia”, “devi imparare a essere meno emotiva”.
Certo, effettivamente uno non sa che fare e dice: “Sai che faccio? Oggi mi stresso”.
Sono anche andata da una psicologa. Giovamento per la mia malattia? Meno di zero. Anzi, il secondo attacco arrivò durante le vacanze, quando in teoria sarei dovuta essere meno stressata. “Perché tu accumuli, reprimi la rabbia, interiorizzi e ti fai del male. Voi donne siete così”.
Sono andata a vivere all’estero per qualche tempo, ho cambiato specialista. Una donna, italiana. Che la prima volta che mi vede per segnarmi le mie medicine salvavita, mi chiede la storia. E fa una cosa che nessuno aveva fatto prima. Mi chiede se se ho mai avuto problemi al sistema immunitario.
Sì. I miei anticorpi sono anarchici e rissosi (Schönlein-Henoch, asma, allergie varie).
Storie di malattie gastrointestinali in famiglia? Si metta comoda, dottoressa, l’elenco è lungo.
Perché le domande? Perché la colite ulcerosa cronica, anche se il meccanismo non è chiaro del tutto, è causata da un’alterazione del sistema immunitario. C’è, probabilmente, una predisposizione se non addirittura una causa, di tipo genetico. L’essere uomo o donna non c’entra, se ne frega dei cromosomi xx o xy.
L’ansia? Certo, se ti preoccupi eccessivamente mentre c’è un attacco in corso, non ti fa bene. O se ti controlli sempre in attesa di un nuovo attacco. Ma lo stato psicologico, e ancor meno il modo di essere di una persona, non hanno responsabilità nella malattia.
“Non dipende da te“.
Per me questo è stato rinascere.
Da allora sono stata in grado di informarmi. Soprattutto ho smesso di vergognarmi, di sentirmi in colpa tutte le volte che sto male. La mia qualità della vita è migliorata.
Certo, la battaglia non è finita qui. Adesso sono tornata in Italia, ho un nuovo specialista, che non mi ha più fatto questi discorsi. Ma spesso tornano, nelle voci degli amici, dei parenti, dei conoscenti (perché la salute è uno di quegli argomenti su cui tutti si sentono in diritto di dire la loro).
Quando parlo della mia malattia, ogni volta esce fuori lo stesso discorso. “Sei emotiva, ti stressi troppo”. E ogni volta, con più o meno pazienza, rispondo lo stesso. Che non c’entrano le mie emozioni. Che non c’entra la mia femminilità.
E mi chiedo anche come questo approccio, che addossa prima di tutto la colpa all’emotività femminile (come se gli uomini non potessero essere ugualmente emotivi, stressati, ansiosi!), impedisca un corretto approccio alle cure. Magari, a volte (penso a chi soffre di endometriosi, per esempio), è anche foriero di un ritardo nella diagnosi e nella cura.