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#quellavoltache: le vostre storie / 1

Continua la campagna #quellavoltache, lanciata per sensibilizzare contro la cultura dello stupro che giustifica e minimizza le violenze e colpevolizza le vittime, soprattutto quando decidono di non denunciare, per paura e vergogna, come è capitato ad Asia Argento.

In un solo giorno sui social sono arrivate tantissime testimonianze. Ecco le storie di ordinarie molestie quotidiane che ci avete affidato per essere pubblicate sulle nostre pagine. Grazie della vostra fiducia e soprattutto del vostro coraggio.

#QuellaVoltaChe

Anonima: #quellavoltache avevo circa 12/13 anni. La mia famiglia teneva molto alla religione, ora io sono agnostica e aconfessionale. Era domenica, ero in Chiesa e, durante la messa mi appresto alla confessione. Il prete mi fa delle domande e a un certo punto si sporge verso di me appoggiando entrambe le mani sul mio seno e mi chiede se “faccio la brava con i ragazzi”. Rimango impietrita, non rispondo, finisco la confessione, mi alzo e torno al posto. Non dissi nulla per un po’, provai a parlarne tempo dopo con un famigliare che minimizzò la cosa e ci rise su. Fu l’ultima volta che mi confessai, l’ultima volta che andai a messa. Non ho denunciato, non ho detto nulla, il fatto che fosse stata reputata “una cosa da poco” , come a dire “in fin dei conti con quelle tette giganti che ti ritrovi che pretendi?” mi ha fatto desistere ma provo tutt’ora molto disagio se qualcuno mi guarda il seno, come se fosse un po’ colpa mia e questo è molto sbagliato.

Anonima: #quellavoltache c’è stato un momento in cui ho voluto fosse fatta giustizia, c’è stato un momento in cui il mio avvocato ha mandato la famosa raccomandata ed ero molto più che determinata ad andare avanti. Poi dopo 3 mesi la raccomandata è tornata indietro senza essere stata ritirata e in quel momento sono solo riuscita a pensare che ero viva, stavo rinascendo e che la vita senza di lui era di nuovo Vita. Non me la sono sentita di proseguire con la certezza di dover avere ancora a che fare con lui: me ne ero liberata finalmente ed era bene così. Ora me ne pento? Si e no. Ho fatto quello che mi sentivo per stare bene ma purtroppo non sono riuscita ad evitare che altre donne fragili finissero nella sua rete, ecco di questo mi pento ogni giorno, ogni istante.

Giulia#quellavoltache ti addormenti e ti svegli con un amico che ti palpa il seno credendoti ancora addormentata.

Anonima#quellavoltache chi non rispetta i tuoi “no” è un compagno con cui dividi ideali, battaglie e discussioni politiche, con cui c’è intesa intellettuale, ma quando ti opponi al sesso ti tratta come una bambina che ha paura ed è stata condizionata da altri. E a te non rimane che scappare e chiuderti in lacrime in una stanza. Poi lui continua a darti il tormento e a cercarti e a te non resta che abbandonare l’ambiente che ti faceva sentire a casa e per molti anni lascerai da parte i tuoi ideali e le tue passioni per paura e perché in fondo ti senti sporca e inadeguata.

Sara: #quellavoltache ero in quinta elementare e stavo guardando le Barbie al negozio di giocattoli sotto casa mia. Un signore coi baffi ha iniziato a chiacchierare e mi ha convinta a seguirlo dietro l’isolato. Lì mi ha offerto dei soldi per potermi toccare. Non capivo davvero, ma sono scappata a casa a perdifiato mentre lui mi inseguiva. Sono riuscita a chiudermi in casa, ma non ho mai raccontato nulla ai miei genitori. Per anni ho tremato di fronte a qualsiasi uomo con i baffi.

Anonima#quellavoltache facevo l’università e le mie compagne di appartamento mi chiesero di andare pagare l’affitto al nostro padrone di casa, un ragazzo poco più vecchio di me che però lavorava in una galleria d’arte comunale. Io con lui avevo avuto una notte di quasi sesso tempo prima che però era finita lì. Arrivo nel suo ufficio e lui quasi immediatamente mi incantona, si tira giù i pantaloni e mi chiede una fellatio. Io non volevo ma ho dovuto lottare abbastanza (ma non ho gridato mai), perché lui mi implorava dicendomi che altrimenti sarebbe stato male e contemporaneamente tentava di piegarmi la testa verso il suo pene. Una situazione orribile dalla quale sono riuscita ad uscire quasi indenne, ma ricordo un sottile senso di colpa per il fatto che una volta con lui a letto c’ero andata, e poi un grande disagio quando il mio fidanzato lo chiamò e lo minacciò. Non mi sentivo in diritto di farlo minacciare in fondo “non era successo niente ” e una volta c’ero pur andata a letto.

Anonima: #quellavoltache ancora minorenne sono stata molestata da un uomo adulto, riuscendo per poco a sfuggire dallo stupro. Allora non sapevo bene cosa fossero le molestie sessuali e che avevo diritto a denunciare. Con gli anni l’ho detto ovunque. Nei miei racconti, nelle lettere spedite a ragazze vittime di abusi e soprattutto a me stessa.

Alba: #quellavoltache in prima media uscivo da scuola, un signore accosta la macchina e mi chiede di avvicinarmi con la scusa di volermi chiedere un’informazione. Mi avvicino e vedo che si sta masturbando. Non mi chiede nulla, non capisco ma me ne scappo via correndo. Non ci penso più. La stessa cosa però si ripete negli anni. Vicino al liceo (due volte), sull’autobus, e una volta vengo anche inseguita, io in bicicletta e lui in macchina. Succede così tante volte che finisci per pensare sia una cosa normale e che non valga nemmeno la pena parlarne, tanto meno denunciarne i fatti.

Anonima#quellavoltache il mio primo fidanzato, dopo tre mesi di attesa per la mia prima volta, invece di deflorarmi romanticamente (come io volevo e sognavo) mi infilò a tradimento il suo membro in culo. Di quello, di quel momento che avevo sognato per tanto tempo, di quelle grandi aspettative, ho il ricordo di un dolore sordo, di un inganno, di un disagio che non dimenticherò mai a distanza di decenni. Anche questa è violenza ed è stato, da me, taciuto per accatastarlo a tanti altri momenti brutti. Si tace per vergogna, e non per debolezza, si tace per paura, per schifo, per riserbo e difesa, perché queste storie che noi ci sentiamo addosso come macchie luride e sporche, lasciate in balia degli altri diventano divertenti, talvolta esagerate, sminuite, e ci vengono rimandate indietro cariche d’insignificanza. Per questo il silenzio e l’anonimato sono l’unica cosa che realmente ci preservano dal giudizio del mondo esterno.

Elena#quellavoltache avevo quindici anni, tornavo da scuola in un pullman affollatissimo e mi si siede accanto un tizio che si mette a masturbarsi coperto dall’impermeabile ripiegato sulle gambe, ma la cosa era evidente. Non riuscivo ad uscire da quanto era affollato il pullman. Io schifata ed imbarazzata e tutti che facevano finta di nulla.

Anonima: #quellavoltache alle superiori un numero privato mi chiamava sul cellulare. Accadeva ogni qualche mese ed è durato per un paio di anni. Rispondevo e dall’altra parte qualcuno ansimava. Il mio vicino carabiniere: “Io fossi in te non farei niente, potrebbe essere una ragazzata e se fai partire una denuncia non finisce più”.

Irene#quellavoltache stavo tornando a casa dall’università in autobus, era l’ora di pranzo. Un tizio si siede vicino a me, pantaloni sbottonati. Ad un certo punto tira fuori il pene e mi dice: “mi fai un pompino?”. Io non ho nemmeno avuto il tempo di rendermene conto, ma non so come son riuscita a dirgli: “vai via subito altrimenti mi metto ad urlare”. Nell’autobus c’era parecchia gente, lui è sceso alla prima fermata, ma nessuno ha fatto nulla. Io non son più riuscita a muovere un muscolo, mi veniva solo da piangere. Comunque la cosa che più mi ha fatto male è stata quando, raccontandolo al telefono al mio ragazzo di allora, lui si è messo a ridere, sminuendo l’accaduto e dicendomi frasi tipo: “eh sai, avrà visto i tuoi occhioni da Cappuccetto Rosso e allora…”

Anonima: #quellavoltache ero nel parcheggio del discount vicino casa. C’era un indiano che vendeva oggetti vari, molto alto, spalle larghe e pancia sporgente, di mezza età. Ero in fila alla cassa e avevo il carrello pieno, vedo che dietro di me c’è lui che deve pagare solo un detersivo, così lo faccio passare avanti. È una cosa che faccio sempre, con chiunque. Lui si stupisce un po’ e mi ringrazia. La settimana dopo è nel parcheggio quando esco con due buste pesanti, mi saluta e insiste per portarmi le buste alla macchina, mi fa capire a gesti che si vuole sdebitare, cerco di rifiutare ma non c’è verso: ringrazio, saluto e vado via. Questa storia si ripete altre volte e io sono sempre più a disagio ma non so che fare, una volta gli lascio addirittura i soldi del carrello per chiudere la questione. Una sera ci ritroviamo soli nel parcheggio semivuoto e male illuminato e lui di nuovo mi accompagna alla macchina solo che stavolta non mi lascia chiudere il portabagagli, attacca bottone in un italiano stentato. Mi chiede come va la famiglia, come sta mio marito e io (cogliona) nella confusione rispondo che non sono sposata. Lui mi dice che sua moglie è in India e si sente solo, poi aggiunge “Scopare?”.
Mi si gela il sangue ma provo la via del dialogo: gli dico che non è un mio problema e che deve chiedere a sua moglie, sembra capire ma non mi molla, pesa il doppio di me e mi sovrasta. Io insisto a spiegare che non mi interessa e alla fine sembra rassegnarsi, si scusa e mi porge la mano, io (cogliona) gliela stringo e lui mi attira a sé per baciarmi. Riesco non so come a dirottarlo sulla guancia e a liberarmi, saluto con finta nonchalance e mi rifugio in auto. Da allora non ho più usato il parcheggio del discount, mi fermo sempre a lato del negozio in divieto di sosta e vado solo di giorno. Avevo addirittura pensato di non andarci mai più ma è il mio negozio preferito… Per molti mesi non ho più salutato nessun venditore ambulante o mendicante per strada, ero arrabbiata con loro e con me stessa, per la mia stupidità. In fin dei conti è stato solo un approccio maldestro di una persona che non conosce bene l’italiano, giusto? Se lo racconto mi rideranno dietro, ne sto facendo un dramma senza motivo. O forse no?

Anonima: #quellavoltache sono andata a fare il mio turno in guardia medica e il collega medico mi ha molestata. Dopo i primi discorsi ha chiuso la porta e ha iniziato a venirmi sempre più vicino. Ero spaventata nel palazzo non c’era nessuno essendo il turno notturno. Mi sono fatta sempre più piccola e nel frattempo mi allontanavo da lui, finché dietro di me non ho trovato altro che il muro. Lui mi si è parato davanti e ha iniziato a toccarmi i fianchi, poi mi ha baciata. Se ripenso ho ancora i brividi e provo una grande rabbia per non essere riuscita a reagire in modo più deciso.Ho detto di smetterla subito, non lo ha fatto. Ha continuato a toccarmi, finché non mi sono divincolata, sono corsa alla porta e uscita in strada. Ero impietrita e mi sentivo in colpa. Ho pianto tutta la notte, avevo paura potesse tornare. Dopo qualche tempo mi sono convinta a chiamare la Asl perché volevo denunciare il fatto, per sapere come fare, mi fu risposto di non perdere tempo perché tanto era solo la mia parola contro la sua e nessuno avrebbe fatto nulla.

Anonima: #quellavoltache ero piccola, non ricordo l’età. Ero a giocare in camera con mio cugino più grande di me di un anno e, non so se perché stavamo giocando o altro, mi ha quasi toccato l’inguine. Io mi sono sposata subito e me ne sono andata turbata. Non ho mai capito se fosse un fatto intenzionale o se mentre giocavamo è caduta la mano, anche a me un paio di volte nella vita è capitato per sbaglio, facendo movimenti bruschi, di sfiorare parti del corpo altrui che non volevo intenzionalmente sfiorare. Fatto sta che ho ancora quel ricordo impresso nella mente, mi ha fatto sentire sporca, sbagliata, strana.

Anonima: #quellavoltache avevo si e no 6 anni, il fratello più grande (al tempo 11/12 anni) di una mia amica, ci fece vedere colpo grosso e (per gioco) ci faceva spogliare, il giorno dopo avevo un body e mi infilò la mano lì e lo apri, io pur essendo molto piccola mi ricordo che provai un senso di schifo misto a vergogna che non sapevo spiegarmi, si divertiva a richiudermi quel body… io scappai via, lo dissi a mia madre senza sapere quanto fosse grave, ma avevo paura, e mi sembrava tutto molto confuso. Di quel ragazzo, adesso uomo, ho poi sempre avuto timore.

Anonima#quellavoltache sono stata molestata all’età di 17 anni, ad opera di mio zio, ex marito della sorella di mia madre. Ricordo che il tutto accadde molto velocemente, quasi a non rendermi conto di cosa mi stava succedendo. Ricordo che stavo con lui a parlare in sala, cosa che facevamo di frequente e serenamente essendo lui una persona di cui mi fidavo. Ad un tratto lui mi chiede di mettermi più vicina a lui perché voleva mostrarmi una cosa su internet che dovevo tenere segreta. Io mi alzai con naturalezza e quando fui abbastanza vicina a lui, lui mi afferrò i polsi e mi mise forzatamente sulle sue gambe. Mi mostrò foto di una donna nuda, in pose esplicite, dicendomi che con lei stava tradendo mia zia. Io iniziai a non capire più nulla, fu in quell’istante che mi mise le sua mani giganti sul mio seno iniziando a toccarmi. Non riuscivo a muovermi, non sapevo cosa fare.
Rimasi a subire la molestia per qualche minuto, poi non so cosa mi sia accaduto dentro, ma mi alzai togliendogli le mani di dosso e andai nell’angolo della sala a sedermi, lontana da lui. Stavo male, non sapevo cosa pensare o fare. Paralizzata. Dopo qualche minuto arrivarono mia zia e mia madre, io non dissi nulla a loro. Finsi che tutto era a posto. Ma dentro stavo morendo. Lui mi chiese poi di accompagnarlo giù in cantina a scegliere il vino per il pranzo, ma rifiutai e dissi che non sarei rimasta con loro. Uscii di casa e chiamai subito mia sorella, che è anche la mia migliore amica. Le raccontai tutto e lei era pronta a venire lì e massacrarlo di botte. Le dissi che non volevo, volevo il silenzio e che ora andavo dai miei cugini, lontano da lui, e  che poi ne avremo parlato. Quando rivelai anche ai miei genitori l’accaduto, quando ebbero modo di comunicare con lui lo minacciarono di non avvicinarsi mai più a me ma lui li minacciò di diffamazione, non potendo nessuno dimostrare quanto fosse accaduto, se non le mie parole e un foglio che mio padre mi chiese di scrivere sull’accaduto.
Fatto sta che qualche mese dopo l’accaduto, iniziai ad andare da una psicologa perché mi sentivo colpevole, stavo male, piangevo sempre, ero depressa. Mi colpevolizzavo e non capivo perché non avevo urlato o fatto concretamente nulla. Mi sentivo come se avessi sbagliato io tutto. Anni e anni dopo, capii che ero stata brava a reagire e a non subire altro, scegliendo di muovermi e di non scendere in cantina con lui. A mio modo avevo reagito.
Sono oramai dieci anni fa che accadde la mia molestia, è e sarà sempre parte di me, una delle mie cicatrici che mi rappresentano. Ora a parlarne fa un po meno male, perché sono andata avanti anche grazie alla psicologa ma anche alla mia forza di volontà, ma una reazione quando ne parlo me la suscita sempre. Spesso la molestia viene sottovalutata perché non considerata “al pari della violenza fisica”; ovviamente non è paragonabile come danni ed effetti, ma allo stesso modo è una imposizione che qualcun* esercita sul nostro corpo, anche a parole, anche per immagini, è variegata e ferisce comunque molto una persona.
La verità, per ciò che penso io, è che se una persona subisce molestia, a meno che non ci sia un testimone, è difficile farsi valere con la giustizia. Per questo non ho mai detto ne fatto nulla, pensavo che non avrei potuto ottenere una vera giustizia.

#quellavoltache: le vostre storie / 2

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