Mentre le donne americane rilanciano la campagna contro le molestie sessuali con l’hashtag #metoo, noi continuiamo a raccogliere le vostre storie proseguendo la campagna #QuellaVoltaChe (qui potete leggerne la storia). Siamo veramente tantissime a dar vita a questa narrazione collettiva, grazie (e se ancora non vi abbiamo risposto, pazientate ancora un po’).
#QuellaVoltaChe
Anonima: #quellavoltache a 16 anni sei al parco su una panchina che aspetti un’amica, arriva un uomo sui 50, ti chiede una sigaretta e si siede a fumare di fianco a te. Inizia a raccontarti che ha una figlia della tua età, finisce col chiederti di mostrargli il seno e quando lo squadri sconvolta ti dice: “Ad occhio direi che hai una seconda, sembri scarsa di seno ma hai un corpo da paura, le gambe e le cosce poi mamma mia! Fammi controllare che taglia porti” e allunga le mani toccandomi il seno.
Luana: #quellavoltache era l’estate dei miei 13 anni, e avevo un fidanzato molto più grande e bellissimo. In quel complesso sul mare si viveva in costume fino a sera, e in costume ero andata a casa sua. Conoscevo i baci, ma quello che mi ha fatto dopo i soliti baci l’ho realizzato mesi dopo, ascoltando le discussioni sul sesso dei miei compagni di liceo. Non c’è stata violenza, non c’è stato dolore, e forse è stato peggio. Se fosse stato violento avrei saputo ribellarmi, se avessi sentito dolore mentre mi entrava dentro non mi sarei sentita tradita dal mio stesso corpo, defraudata di quel dolore che mi avrebbe fatta sottrarre. Ho perso la verginità a 13 anni, con una violenza che è stata una violenza ma non lo è stata, non agli occhi di chi allora ha saputo. Ero in costume a casa di un ragazzo, non l’ho mai fermato, l’ho lasciato fare. Me la sono cercata. Dicevano. Sono entrata in depressione a 13 anni. Autolesionismo, tentativi di suicidio, allucinazioni visive e uditive, violenza sugli altri, bulimia, sesso, tanto sesso, con chiunque e senza protezioni, tanto loro volevano solo quello e io volevo solo annullarmi e morire. E psicologa, terapista psicanalitica, psichiatra e farmaci. Ne sono uscita a 24 anni, ho perso 11 anni della mia vita. Avrei potuto perdere molto di più, avrei potuto restare incinta, potrei essere malata. E invece sono viva, e sono forte, e sono invincibile, nessuno potrà mai più farmi del male più di quanto me ne ha fatto lui, me ne sono fatta io.
Anonima: #quellavoltache hai quattordici anni, sei in metropolitana a Milano con un gruppetto di amici, e improvvisamente ti senti una mano sul sedere che ti palpa dappertutto. Ti giri e il tizio (sopra i 30) guarda fisso davanti a sé come se non stesse facendo assolutamente nulla e tu non esistessi. Non dici nulla e non riesci neanche a spostarti finché non devi scendere. A distanza di dieci anni ci stai ancora male a ripensarci e non riesci a spiegarti cosa ti abbia bloccato in quel modo.
Anonima: #quellavoltache dormi da chi credevi fosse un amico sincero, specifichi (rispondendo alla sua domanda a riguardo) di voler dormire da sola nella stanza singola divisa dalla sua (matrimoniale), e la mattina ti svegli che lui si è intrufolato nel letto e ha le mani sotto al tuo intimo e ti sta palpando.
Anonima: #quellavoltache avevo 12 anni e invitai un amico di scuola a giocare da me. Ma lui ha chiuso la porta e ha iniziato a toccarmi. Mi sono pietrificata. Mi vergognavo così tanto che non l’ho detto a nessuno. Così lui ha continuato. Ogni volta che restavamo soli mi faceva sedere sulle sue ginocchia e poi mi baciava e mi infilava le mani dentro le mutande. Diceva che non dovevo vergognarmi di quello che sentivo perché era una cosa naturale, di stare ferma e rilassarmi che mi sarebbe piaciuto. Si eccitava così tanto che mentre mi stringeva gli tremavano le gambe poi mi prendeva la mano per farmi sentire e farmi rimediare a quello che avevo provocato. Ho iniziato a bere e fumare: qualsiasi cosa per anestetizzare la mente. Poi c’è stata #quellavoltache a 14 anni in vacanza d’estate in Calabria una sera avevo bevuto troppo e mi sono risvegliata in spiaggia con le mutande sporche di sangue. Così ho perso la verginità. Il giorno dopo al bar al tavolo dietro di me un gruppo di ragazzi rideva e simulava i versi di un orgasmo. Uno di loro mi chiese se mi fossi un divertita ieri sera. Per tutto il paese ero diventata puttana. Insulti, telefonate notturne e messaggi con richieste raccapriccianti. Me lo ripetevano così tante volte che ho finito per crederci. Credevo di essermi meritata tutto questo e di non valere di più di una botta e via. Ho continuato a bere, iniziato a fare uso di droghe e a fare sesso con diversi ragazzi.Fino a #quellavoltache dovevo uscire con un ragazzo che mi piaceva. Mi venne a prendere in macchina verso mezzanotte in un bar dove stavo bevendo le mie amiche. Pensavo che ci saremo appartati noi due. Invece lui ha guidato fino a una villetta. Quando siamo entrati c’erano altri 4 suoi amici che ci stavano aspettando. Mi hanno trascinato in camera e hanno abusato di me a turno. In un secondo sono tornata la bambina di 12 anni che non era riuscita a ribellarsi. Sono riuscita a singhiozzare “no” mentre piangevo ma il mio corpo era paralizzato. E loro non facevano che ridere mentre li pregavo di smettere. Non mi perdonerò mai per non aver urlato di più o scalciato di più.
Anonima: #quellavoltache a 15 anni, il tuo primo ragazzo di obbliga a farlo la prima volta chiudendoti in casa e nascondendo le chiavi: “Finché non ci stai non esci di qui”.
Anonima: #quellavoltache vieni inseguita da un uomo per 30 minuti che ti urla “ti vorrei sborrare su quelle gambe!”
Anonima: #quellavoltache avevo 17 anni sono stata molestata dal mio maestro di arti marziali, anche in modo abbastanza pesante (non me lo voglio ricordare). Mi fidavo di lui perché era un amico di famiglia. Non ho potuto denunciare perché il mio avvocato ha detto che non solo non avevo prove, ma sarebbe stato controproducente per me e per la mia reputazione. Questo è il motivo per cui le donne non denunciano, c’è più da perdere a parlare che a stare zitte. Chi dice “bisogna denunciare” non è mai stato nella situazione e non si è mai sentito dire dai suoi amici “non è possibile che sia successa questa cosa” oppure “e tu non hai fatto niente?”, come se l’adulta nella situazione fossi io e la responsabilità fosse stata la mia. Tutt’oggi devo stare attenta a parlarne perché lui è innocente e io bugiarda fino a prova contraria. È stato uno dei periodi più difficili della mia vita e solo poche persone mi sono state vicine. Non voglio generalizzare, ma gli uomini (a parte una netta minoranza che ha subito la stessa cosa) non capiscono e non possono capire, persino quelli più comprensivi, visto che le risposte sono sempre contro di me. Chi dice di denunciare, in quella situazione, non c’è mai stato. Il punto è che non ci accorgiamo che l’85% delle donne subisce molestie nell’arco della sua vita, ma visto questo clima di ostilità chi ne parla? Io cosa avrei potuto fare? Tutto ciò che ho potuto fare è stato parlare coi i miei genitori e allontanarmi da quell’ambiente, denunciare, come ha detto il mio avvocato, avrebbe distrutto me, non lui.
Chiara:#quellavoltache a 12 anni il fisioterapista mi ha massaggiato 5 minuti le tette senza alcun motivo. #quellavoltache a 13 anni un vecchio amico di famiglia ha aspettato che mia madre si allontanasse per farmi sedere sulle sue ginocchia e indagare sugli sviluppi della mia vita sessuale per strapparmi la promessa di raccontargli tutto. #quellavoltache entrando al lavoro un collega mi ha detto: “la prossima volta arriva mezz’ora prima così scopiamo”. #quellavoltache un collega mi ha telefonato nel cuore della notte masturbandosi. #quellavoltache avevo indossato un vestitino rosso e un ciclista passando mi ha urlato: “Bionda, vieni qua che ti sfondo!”.
Anonima: #quellavoltache stavo male, avevo le grandi e piccole labbra piagate per il troppo spinning, e non volevo fare sesso con il mio ex perché mi faceva male. Lui era convinto che non volessi farlo perché lo tradivo e iniziò a dirmene tante che alla fine sopportai il dolore e gli feci fare quello che voleva. Non dissi nulla a nessuno, mi vergognavo di essere stata debole e stavamo insieme, chi mi avrebbe creduta, avevo paura che mi venisse risposto: cosa vuoi, in fondo alla fine glielo hai fatto fare. Anche se ho provato solo dolore.
Anonima: #quellavoltache c’era una volta una ragazza laureata di fresco in cose di comunicazione. Primo lavoro con speranza di retribuzione: ufficio stampa di grande mostra antologica su corpo di polizia. Capoufficio stampa è un ex giornalista, zio di ex compagne di ginnasio. Simpatico, brillante, tante cose da insegnare. Della stessa età del padre della ragazza. Alla fine della conferenza stampa la ragazza e il suo capo rimangono da soli nell’aula magna. Il capo ha un’erezione. Decide che è il caso di mettere la ragazza a conoscenza del fenomeno. La ragazza è schifata. Scappa. Per due giorni non mangia. Non dice nulla. Né a lui, né ai colleghi. Vuole denunciare, lo dice a suo padre. Il padre urla. Il cliente, uno del corpo di polizia, le consiglia di non farlo. Perché sarebbe lei quella a finire sui giornali. Suo padre vorrebbe sputare al coetaneo capo di sua figlia. La ragazza lascia il lavoro, decide che la sua parola contro quella del capo è tutto troppo complicato. Si chiede infinite volte: ma quando l’ho provocato? Si sente in colpa per non aver denunciato. Si sente sporca senza motivo. Ripensa alle compagne di scuola che “Mio zio è un galantuomo”. Lui chiama a casa sua. Il padre lo insulta. Lui dice che è lei che ha capito male. La ragazza vomita. Questa storia è accaduta 19 anni fa. Oggi, mi dice di dirvi la ragazza, se incontrasse un capo così, prima di denunciarlo gli darebbe una ginocchiata negli zebedei.
Lucia: #quellavoltache, a 17 anni, ad una festa di Capodanno incontrai un ragazzo con un sorriso bellissimo. Mi bastò poco per conoscere il suo lato oscuro. Tutte le sue frustrazioni ed insicurezze si riversavano come una valanga su di me e si trasformavano in calci, pugni, sputi, schiaffi ed insulti che mi laceravano l’anima. Qualche tempo dopo scoprii di essere incinta. Non potevo accettare che una creatura innocente subisse le mie stesse sofferenze e non volevo un vincolo che mi legasse a lui per la vita. L’interruzione di gravidanza fu per me un atto d’amore, nessuno doveva subire le conseguenze delle mie scelte sbagliate. Andai in ospedale, mi sentivo terribilmente sola, piena di paure e di vergogna. 7 anni ancora ho resistito accanto a lui, rinnegando me stessa, nel silenzio più assoluto. Ho trascorso la mia adolescenza ad ingannare me stessa e gli altri raccontando di essere felice. Non potevo parlarne ai miei amici perché me ne vergognavo, e non potevo dirlo alla mia famiglia che ne avrebbe sofferto troppo. Non mi sono confidata nemmeno con colui che dopo 7 anni mi ha tirato fuori da questo inferno restituendomi la bellezza, la grazia, la voglia di vivere e di amare, per paura di instillare in lui un malsano desiderio di vendetta. Io ho perdonato, ma ora come allora avrei bisogno di parlarne e non ci riesco. Grazie per avermi dato questa possibilità.
Anonima: #quellavoltache che presi un treno per scappare dalla violenza e ne trovai altra. Per anni avevo sentito un’urgenza della cui natura non mi curavo. L’urgenza di scappare dal luogo dove ero nata. Dove, ancora non lo avevo capito, si era consumata su di me per lungo tempo una violenza continuata. Provi a rimuovere, a nasconderti, a non pensarci. E ci riesci. Per un po’. Ero bambina. Avevo pochi anni, avevo sei anni. L’ ultima violenza che ricordo di quei lunghi anni ne avevo nove. Avvenivano d’estate, in un quartiere periferico di un piccolo centro. Un branco di ragazzini e di adulti lo chiamavano gioco. Ho solo delle immagini rarefatte, alcune forse fin troppo lucide. Ricordo bene come mi sentivo quando tornavo a casa. Sporca. Sporchissima. Sentivo dolore e bruciore. Sentivo la vergogna. Mi lavavo e cancellavo. Crescendo ho cominciato a sentire un grave, gravissimo senso di colpa. Mi sentivo addosso agli occhi di quegli uomini che durante la mia adolescenza raccontavano, schernendomi, di avere avuto rapporti sessuali con me. Me lo riferì un fidanzatino. Ricordo ancora l’imbarazzo per la mia colpevolezza. Dissi solo che non era vero. Quella storia mi stava perseguitando. Raccontavano che ero una puttana a chiunque mi si avvicinasse. Loro non potevano avermi più e nessuno mi si doveva avvicinare. Ma volevo di più per la mia vita. Ero una bella ragazza, andavo molto bene a scuola. Avevo un fidanzato col quale non avevo rapporti sessuali. Come avrei potuto averne? Ma la mia vita così non mi bastava. Cercavo il riscatto. Così partecipai ad un provino. Feci qualcosa che mi portava in una città lontana da tutto e da tutti. Per quel provino non ho subito ricatti sessuali e questo mi sembrava un miracolo. Ma intorno avevo persone che non erano migliori di quel branco. Una sera un vecchio mi mise con violenza la mano tra le gambe. Tremavo. Poi mi sono sentita come anestetizzata. Mantenni una lucidità strana e gli dissi che preferivo “continuare” a casa. Una volta a casa lo chiusi fuori dal portone. Il giorno dopo feci i bagagli lasciando dietro di me ogni cosa. Iniziarono gli attacchi di panico e andai da una psicologa. Le mie lacrime e la mia rabbia avevano trovato la strada. Durante quelle sedute ho compreso che non ero complice né del branco né delle molestie subite. Ero una vittima, sebbene questo termine, lo riconosco, ancora oggi non riesco a mandarlo giù. Non ho mai denunciato nessuno. Non sono mai riuscita a stare in una storia d’amore perché ho scelto sempre aguzzini. Dove non c’era violenza fisica ma psicologica. Dove non ero mai abbastanza. Non meritavo amore viste le colpe che mi ascrivevo. Io per non sbagliare più le scelte sentimentali ho scelto la solitudine. Mi sono negata l’amore. A tutte le donne che invece di far condannare gli altri hanno condannato se stesse. Alle donne come me. Un abbraccio.
Anonima: #quellavoltache io e una mia amica in un caldo pomeriggio di quasi estate,decidiamo di andarci a fare un giro lungo il fiume,e dei ragazzi palesemente ubriachi erano stesti a prendere il sole,poi hanno iniziato a lanciarci sassi e gridare:”belle venitevi a prendere il sole con noi!”,siamo state fortunate che non avevano preso bene la mira e quindi i sassi ci hanno solo sfiorate. Così io e V. Siamo scappate palesemente sconvolte.