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Essere queer a Tokyo, tra diritti e invisibilità: intervista a Fumino Sugiyama

Tokyo Pride: corteo con striscione con su scritto "Tokyo Rainbow Pride"
Tokyo Pride, un’immagine del 2016: il secondo da sinistra è Fumino Sugiyama

Tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate in tutto il mondo si celebra la stagione dei Pride, l’orgoglio della comunità Lgbtqi.

Sappiamo cosa accade in Italia e in Europa, dove i Pride sono ormai un appuntamento “consueto”, mentre a New York l’evento verrà per la prima volta trasmesso in diretta tv e web. Ma cosa succede, invece, in un luogo distante dall’attenzione mediatica occidentale come il Giappone?

Quando mi son trovata a Tokyo ho riflettuto su come il pudore reverenziale delle relazioni accidentali fra sconosciuti (in metro, per strada, nei negozi) conviva con una rappresentazione del sesso estremamente accessibile e fantasiosa. Tradizione e modernità​: questa è l’immagine vaga e romanzata che abbiamo del Giappone, in “occidente”, in Europa.

Fra tutte le contraddizioni possiamo inserire la percezione dell’omosessualità o, in termini più inclusivi, della ​ queerness: accettata, ma in qualche modo taciuta.

Nel corso della storia giapponese l’omosessualità (soprattutto maschile!) è stata spesso rappresentata, dalla letteratura classica fino ai manga dei giorni nostri. Eppure l’argomento non ha trovato, fino a poco tempo fa, spazio nel dibattito pubblico: il problema principale è l’assenza di una reale consapevolezza e presa di coscienza intorno a diritti e privilegi.

Per saperne di più, ho intervistato Fumino Sugiyama, una personalità importante per la scena e la comunità Lgbtqi dell’intero Giappone: trans FtM​, attivista​, gestore di diversi locali (dal delizioso bar Suzu, nel cuore del Golden Gai di Shinjuku, all’elegante ma confortevole Irodori​), autore del libro ​Double Happiness (purtroppo non ancora tradotto in inglese). E, non ultimo, co-presidente del Tokyo Rainbow Pride, che quest’anno si è svolto a maggio.

Gli ho rubato un’ora del suo tempo, ora durante la quale ha soddisfatto le mie pressanti curiosità sull’essere queer in un posto come il Giappone in cui, secondo un sondaggio condotto dalla compagnia Dentsu, una persona su 13 si identifica come facente parte della comunità Lgbtqi.

Qual è la storia del Tokyo Pride?

Il primo Pride in Giappone si è tenuto nel 1994, ma è stato a lungo un evento saltuario, per problemi legati al budget o all’organizzazione. Negli ultimi cinque anni però siamo riusciti a mantenere una cadenza annuale, e questo da quando è nato il Tokyo Rainbow Pride​, che è un’organizzazione no profit​. In questi anni il Pride è cresciuto: se nel 2012 i partecipanti erano circa 4.500 (in una città come Tokyo che conta circa 15 milioni di abitanti), nel 2016 sono stati più di 70mila!

Al momento, io sono il co-presidente dell’organizzazione, insieme a Shinya Yamagata​. Lui ha più esperienza di me e un background diverso (io sono un uomo trans di 35 anni, lui è un uomo, gay, di 15 anni più grande). Sono diversità che si traducono in qualcosa di interessante per il movimento.

Come nasce il movimento?

Ho frequentato per anni, fin dai tempi dell’università, un gruppo di attivisti ambientalisti denominato Green Bird, organizzato dall’attuale sindaco del distretto di Shibuya​, uno dei miei migliori amici di vecchia data. Accadde poi che, in seguito alla pubblicazione del mio libro in cui parlavo della mia transizione e della mia vita personale, sono stato contattato da molte persone che vivevano le mie stesse esperienze e che mi chiedevano aiuto. E io, in risposta, le invitavo a unirsi al gruppo ecologista: venite a ripulire le strade con noi, dicevo loro, così potremo incontrarci!

Ed è accaduto che molte persone Lgbtqi abbiano effettivamente iniziato a frequentare il gruppo, conoscendo non solo me ma anche il mio amico Toshitake Kuwahara​, grazie al quale Shibuya è diventato nel 2015 il primo distretto in Giappone a legalizzare le unioni tra coppie dello stesso sesso. Si può dire che il suo interesse per i diritti Lgbtqi sia nato così!

Un’immagine del Tokyo Pride 2016

In Giappone si parla di diritti per le persone Lgbtqi? Esiste un dibattito pubblico?

Negli ultimi anni, soprattutto dopo che il sindaco di Shibuya ha sollevato la questione, c’è sicuramente un interesse maggiore intorno all’argomento. La differenza con un Paese come l’Italia, o tanti altri Paesi, è che in Giappone non c’è una forte presenza religiosa che ostacoli esplicitamente il cammino verso i diritti, e apparentemente questo dovrebbe rendere le cose più semplici. Il fatto, però, è che laddove c’è un “grande nemico” è più facile combatterlo…

In Giappone non abbiamo un nemico riconoscibile, qualcuno o qualcosa che si opponga con forza ai diritti Lgbtqi, e la nostra cultura tende a rifiutare il conflitto aperto. Il problema, dunque, è legato più all’invisibilità​: bisogna creare consapevolezza. In una città come Tokyo inizia a esserci, ma c’è tanto lavoro da fare nelle zone più marginali.

Come si muove la politica a livello nazionale?

Fino a qualche anno fa il dibattito politico nazionale non comprendeva i temi cari alla comunità Lgbtqi: si parlava solo di “gender identity disorder” [la disforia di genere, ndr] a proposito delle persone transgender, per cui nei termini di un problema, di qualcosa da curare. Ancora la legge in Giappone è troppo restrittiva per le persone che decidono di compiere la transizione completa: solo la chirurgia dà il diritto alla riassegnazione ufficiale.

Insomma, si parlava solo di transgender e transessuali in questi termini, mai di gay o tantomeno lesbiche. Ma ora, dopo la via per i diritti aperta dal sindaco di Shibuya, il Partito Liberal-Democratico ha introdotto questi argomenti con maggiore forza, anche a livello nazionale. Con il nostro lavoro di attivisti, stiamo provando a far approvare una legge contro le discriminazioni verso le persone Lgbtqi, incontrando non pochi ostacoli. La politica si muove lentamente e, stando alla loro visione, sembra che i tempi non siano mai “maturi”. Secondo noi, invece, è passato fin troppo tempo!

Parliamo di Shinjuku Ni-chōme: l’area Lgbtqi di Tokyo. Come viene percepita dai cittadini?

In quest’area del distretto di Shinjuku si è sviluppata una bella cultura: club, bar, ristoranti e locali notturni Lgbtqi friendly. Il rischio, però, è che tale cultura rimanga solo lì. Per questo motivo abbiamo scelto di aprire il ristorante Irodori​ in una zona più
marginale del distretto di Harajuku. Vogliamo provare a vedere che succede se cambiamo zona e ci espandiamo un po’ nella città.

Bisogna far comprendere ai cittadini che le persone Lgbtqi sono intorno a noi [ride], non si tratta di personaggi “folkloristici” o di star che fanno parte del mondo dello spettacolo o della tv!