In questi ultimi giorni si sta tornando a parlare di Pas, acronimo che sta per sindrome di alienazione parentale, che a volte viene chiamata anche alienazione genitoriale. Dopo alcune interrogazioni parlamentari, da poco c’è stata in merito una conferenza alla Camera dei Deputati e in giro per l’Italia si stanno tenendo convegni che trattano questo tema.
Ma di cosa si tratta esattamente? La questione è complessa, proviamo a fare chiarezza.
Perché se ne parla
In Italia non si sapeva molto di Pas prima dell’avvento di Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno. La showgirl e l’avvocata, nell’ambito delle iniziative promosse dalla loro associazione Doppia Difesa (nata per dare assistenza alle donne che subiscono violenza), hanno cominciato prima ad attirare l’attenzione sul tema (anche attraverso discutibili video con volti noti del cinema italiano) e, successivamente, a raccogliere firme per una proposta di legge in materia, con cui si propone di mandare addirittura in carcere il genitore che causerebbe la sindrome di alienazione parentale.
Che cos’è la Pas
La Pas è stata ideata nel 1985 da uno psichiatra forense americano, Richard Gardner, che nella sua teorizzazione l’ha definita una sindrome, presentandola quindi come una categoria psichiatrica obiettiva.
Gardner muove dall’assunto secondo il quale nei casi di separazione conflittuale tra moglie e marito, ci sono spesso da parte delle madri denunce di abusi sessuali o maltrattamenti ai danni dei figli da parte dei partner. Secondo il teorico, spesso queste accuse non sarebbero autentiche ma solo un modo per tentare di intralciare il rapporto tra padri e figli.
Perciò secondo Gardner – scrivono Crisma e Romito su un articolo apparso sulla Rivista di sessuologia scaricabile qua – “quando, dopo una separazione, un bambino rifiuta di incontrare il genitore non affidatario – solitamente il padre – spesso dicendo che ne ha paura, e viene sostenuto in questo dalla madre, viene evocata la Sindrome da Alienazione Parentale. Il bambino rifiuterebbe di incontrare il padre non perché, per vari motivi, lo teme, ma perché la madre lo avrebbe manipolato in tal senso”.
Per i sostenitori della Pas questa presunta sindrome, infatti, sarebbe dovuta al modo in cui un genitore può rivalersi sull’altro utilizzando la “carta” dei figli: a causa di una sottile campagna denigratoria nei confronti del partner si farebbe una sorta di “lavaggio del cervello” ai bambini al fine di indebolire, sfaldare e infine interrompere il loro legame con l’altro genitore, inducendo nei figli sentimenti di avversione, rabbia, odio che in realtà apparterrebbero esclusivamente all’adulto.
Quale soluzione propone Gardner per arginare il fenomeno? La mediazione familiare in un contesto coatto, preferibilmente realizzata da terapeuti uomini. Secondo lo psichiatra, infatti, le donne tenderebbero a scegliere terapeute donne ostili alla controparte maschile e pronte a credere alle presunte accuse infondate.
Cosa ne pensa la comunità scientifica?
La Pas è una teoria priva di riconoscimenti ufficiali, poiché non vi sono prove scientifiche a suo sostegno e non è codificata dai principali sistemi classificativi delle malattie.
Per questo anche il nostro ministero della Salute, nel 2012, si è espresso a riguardo, dichiarandola priva di fondamenti scientifici. Ma non solo: anche la Federazione nazionale degli ordini dei medici, la Società italiana di psichiatria e la Società italiana di pediatria si sono espresse in tal senso, prendendo una netta posizione di rifiuto riguardo la sua scientificità.
Pas e violenza di genere
Come è facile immaginare, tutte le elucubrazioni di Gardner (a proposito delle donne, ma anche della pedofilia e di varie parafilie) obbligano a considerare la sua “teoria” alla luce di un altro tema: quello delle violenze domestiche.
Sappiamo che in Italia il fenomeno della violenza di genere ha dati allarmanti: oltre 6 milioni e 700mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale e, secondo l’ultima indagine Istat del 2015, è in aumento la percentuale dei figli che hanno assistito ad episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3% del 2006 al 65,2% del 2014).
La violenza intra-familiare e quella assistita sono quindi fenomeni che non possiamo più rifiutare di riconoscere. Per questo ritengo che chi sostiene – in maniera più o meno diretta – la Pas, addirittura con convegni e dibattiti su questo tema (come se fosse una argomento credibile e scientifico) arreca un danno enorme a tutti e tutte coloro che si occupano di violenza di genere.
Utilizzare, avvalorare o appellarsi a questa fantomatica teoria in sede processuale, dopo una separazione, genera danni enormi per chi subisce violenza e i loro bambini.
L’allarme lanciato dai centri antiviolenza
Lavoro da diversi anni nei centri antiviolenza (prima in Liguria, ora in Toscana) e credo che far parte di un contesto simile metta gli operatori e le operatrici nella condizione di comprendere subito i rischi potenziali che questa fantomatica Pas è in grado di generare. Perché i casi di “separazione conflittuale” dove questa teoria viene spesso tirata in ballo, avvengono quasi sempre per motivi legati alla violenza domestica.
Definire false in via pregiudiziale le accuse di maltrattamento che le donne presentano in sede processuale significa giudicare le donne sulla base dello stereotipo (sessista) secondo cui agirebbero contro l’ex partner per vendicarsi (o per soldi, come è capitato recentemente dopo le accuse di violenza domestica da parte della moglie di Johnny Depp).
Il processo diventa, in questi casi, tautologico: donne che hanno subito maltrattamenti diventano oggetto di un’indagine che cerca di mostrarli come soggetti maltrattanti. Uno dei modi per farlo è citare in sede processuale la Pas.
L’altro grave rischio che si corre parlando di Pas riguarda in maniera ancor più diretta le bambine e i bambini coinvolti. Infatti, se si stabilisce che il minore sarebbe affetto da questa presunta sindrome da alienazione parentale la sua voce non potrà essere ascoltata in sede processuale. Il “lavaggio del cervello” che gli sarebbe stato fatto renderebbe la sua posizione manipolata e contaminata dalle idee del genitore con cui ha vissuto.
I minori, dunque, impossibilitati ad esprimere il loro dissenso, sono costretti a incontri protetti o a sedute di mediazione familiare proprio con quel genitore che avrebbero voluto non vedere (emblematico il caso di Federico Barakat, bambino ucciso dal padre, già denunciato per violenza domestica, nell’ambito di un incontro protetto).
Sul lungo periodo poi, i danni sono pervasivi: se per una donna e per i figli che hanno subito maltrattamento la fine della relazione con il maltrattante dovrebbe essere la priorità, nei fatti, si vorrebbe impedire di staccare questo cordone e si presterebbe il fianco al mantenimento o all’estensione di un controllo e di un’autorità sulle vittime anche dopo la fine del legame matrimoniale.
Citando ancora Romito e Crisma: “Benché la SAP non abbia alcun valore scientifico, il suo potere, nel sostenere le decisioni di giudici o di operatori dei servizi sociosanitari, in caso di affido di figli nel contesto di separazioni conflittuali, sembra essere forte. Anzi, sembra quasi che il potere sociale della SAP sia inversamente proporzionale al suo valore scientifico, alla sua affidabilità come strumento diagnostico. Una spiegazione di questo paradosso sta nel fatto che essa risponde perfettamente ai bisogni, in termini di legittimazione scientifica, o almeno pseudo scientifica, di quella corrente “negazionista” che nega la frequenza, la gravità e le responsabilità dell’abuso sessuale sui minori, soprattutto se l’abuso è compiuto da uomini appartenenti alla cerchia familiare o sociale della bambina o del bambino”.
Fare appello alla Pas in casi di maltrattamenti e violenze, quindi, è un rischio tutto appannaggio delle parti più deboli.