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Parlare di “manspreading” limita la libertà? Il dibattito

Di recente abbiamo pubblicato un articolo che ha sollevato molte polemiche: parlava di come gli uomini occupano lo spazio pubblico con il proprio corpo, citando anche il manspreading, cioè l’abitudine maschile di sedersi a gambe divaricate limitando spesso lo spazio altrui. Non tutti sono d’accordo: ecco la lettera di un lettore e la risposta dell’autore dell’articolo, che aprono un dibattito sul tema 

Immagine da Wikimedia Commons

(Il testo originale di questa lettera è in lingua sarda: lo trovate qui)

L’articolo del 14 gennaio di Paolo Stella Casu – Per noi uomini essere femministi non è naturale affronta temi molto importanti, sui quali può essere utile trattenersi perché possono essere una buona occasione di riflessione e di maturazione per tutte e tutti.

Iniziamo dalla fotografia dell’articolo: un ragazzo che regge il cartello “Real men are feminists” (i veri uomini sono femministi). Un cartello in una manifestazione è necessariamente un’espressione veloce, uno stimolo per far pensare, per fare emergere una questione che successivamente va ripresa con calma, con tutto il tempo per analizzarla finemente come si deve.

Che significa uomini veri?

Paolo svolge il suo ragionamento per cercare di capire se gli uomini veri siano o meno femministi e per cercare di capire cosa voglia dire per un uomo essere femminista, ma ha lasciato da parte una questione rilevante: ha senso parlare di veri uomini? Che significa veri? Perché se parliamo di veri uomini dobbiamo pensare che esistano anche falsi uomini… E quali sarebbero? Allora altrettanto vere donne e false donne

Il femminismo avanzato, non compromesso col potere, neanche con quello occupato da alcune donne, ci ha insegnato a rifiutare i modelli. Piuttosto ognuna e ognuno è come vuole essere e va bene così, non deve replicare alcun modello per potersi definire o per poter essere definita/o vera o vero.

Quasi sempre quando qualcuna o qualcuno descrive modelli di veri uomini o di vere donne lo fa per un proprio interesse, affinché diventiamo ciò che serve a lei o a lui e non ciò che ciò che serve a noi. Non si tratta di trovare altri significati – fossero pure civilmente avanzati – per essere apprezzati come veri uomini, si tratta di rifiutare a monte, dall’inizio, l’idea che possano esistere veri o falsi uomini, altrimenti ci stiamo rinchiudendo da soli nella prigione dei modelli.

Lo esprime bene Stefano Ciccone, attivista dell’associazione Maschile Plurale:

È interessante la scelta comunicativa della campagna del fiocco bianco, indirizzata alle scuole italiane nel 2007, perché indice di una strategia di contrasto della violenza molto diffusa e al tempo stesso carica di ambiguità: il messaggio fa infatti appello al fatto che i veri uomini non picchiano le donne. La scelta comunicativa ha una sua efficacia proprio nel riferirsi a un modello condiviso per invertirne il senso. Ma quanto rischia di confermare ai ragazzi l’idea di essere portatori di una potenziale violenza da dominare virilmente anziché proporre loro di mettere in discussione la rappresentazione che hanno della sessualità maschile e delle relazioni tra donne e uomini? … Non mi interessa una prospettiva tesa a ridefinire un ordine che interdica “il naturale istinto predatorio maschile” o ne regoli l’espressione ma esplorare, reinventare e rivivere le forme del desiderio maschile … Abbiamo dunque scelto di superare la facile condanna o il richiamo degli uomini a uno sforzo di dominio su se stessi … considerando invece necessario ricercare una diversa qualità della nostra sessualità e della nostra emotività. Su questo nodo è necessaria una parola di verità che non fugga nell’astrazione politica o sociologica ma che parta da ognuno di noi … È innanzitutto ricerca di libertà e di senso per la mia vita.

(Stefano Ciccone, Essere maschi. Tra potere e libertà, Rosenberg & Sellier, Torino, 2009, pp. 25-30).

Che significa femminismo?

Proseguendo la lettura dell’articolo di Paolo concordiamo sul fatto che essere femministe o femministi non significa partecipare a un movimento dall’esterno, ma al contrario vivere comportandosi in un modo anziché in un altro, e questo vale per ogni questione della vita.

A questo punto servirebbe chiarire cosa significhi essere femministe o femministi e di quale femminismo si stia parlando, perché questa parola, presa da sola, ormai significa tutto e niente, ha troppi significati. Ci si identificano donne borghesi capitaliste e donne proletarie comuniste, donne di potere che bombardano altri popoli e donne di altri popoli che muoiono sotto le bombe di quelle altre donne.

Quando una parola include così tanti significati – vale per tutte le parole – significa che sta esaurendo il suo ruolo originario, vale a dire che – per dirla con la semiotica, la scienza dei segni e dei significati – il significante sta perdendo il significato. Affinché significhi nuovamente qualcosa, a questa parola – femminismo – è necessario aggiungere almeno un aggettivo. Si arriva così, per esempio, all’espressione femminismo intersezionale e in questo modo ci si capisce nuovamente.

In linguistica, da un punto di vista formale, l’aggettivo è accessorio, il nucleo del significato dovrebbe stare nel sostantivo, non certo nell’aggettivo, ma nella realtà concreta della nostra comunicazione, per via del fatto che il sostantivo ha esaurito il suo ruolo, la gran parte del significato dell’espressione invece risiede proprio nell’aggettivo.

Il corpo: spargiamoci tutte e tutti!

Arriviamo al corpo, altro tema importantissimo che Paolo sintetizza in modo efficace sostenendo che la politica passa attraverso i corpi.

È un fatto che occorrerebbe studiare a scuola sin dall’infanzia, ma chiaramente lo Stato italiano non ha alcun interesse a farlo fare, anzi. Ne consegue che dobbiamo impararlo dalla vita ma in questo modo c’è chi lo capisce presto, chi tardi e chi mai, con tutte le tragedie che ne conseguono.

Per ragionarci su servirebbe non un altro articolo, ma direttamente una biblioteca, come infatti ne esistono, ragion per cui non mi trattengo oltre. Però un paragrafo ci sta bene, giusto per un assaggio, quindi leggiamoci qualche riga di Diana Torres, una signora che parla in modo piuttosto chiaro:

Quando una inizia a conoscere meglio il suo corpo e la quantità di cose che ci si possono fare, si spaventa per la quantità di cose che sono proibite, emarginate … Scoprire la propria sessualità significa anche scoprire fino a che punto ciò che chiamiamo il nostro sesso non ci appartenga affatto. Appartiene alla norma etero, alla società dei consumi, alla società dello spettacolo, allo Stato, alla chiesa, al patriarcato, alla pornografia mainstream, alla medicina, alle case farmaceutiche, alla moda, a una lunga lista in cui il tuo nome non è incluso. Per questo ho deciso che il mio corpo e il mio sesso dovevano essere miei, visto che sono io ad alimentarli, a vivere con loro, a godere dei loro piaceri e a soffrire dei loro dolori … Solo così si può dire: almeno in casa mia comando io … Per quale motivo qualcuno dovrebbe venire a dare ordini nelle mie mutande?

(Diana J. Torres, Pornoterrorismo, Malatempora -Associazione Culturale Golena, Roma, 2014, p. 33)

Allo stesso modo, finché non tolgo spazio a nessuna e a nessuno, perché dovrebbe venire qualcuna o qualcuno a comandare sul modo in cui devo sedermi? Con questa domanda arriviamo a un altro tema trattato da Paolo, il manspreading, al quale secondo me riconosce più importanza di quanto meriti.

È un termine che è stato composto per identificare l’abitudine di alcuni uomini di occupare lo spazio sedendosi con le gambe divaricate. Va male se si invade lo spazio altrui, ma hanno simili abitudini negative anche alcune donne, per le quali è stata composta un’altra parola, lo shebagging, per indicare l’abitudine di poggiare la borsa nello spazio altrui, occupandolo.

È dunque evidente che non sono questioni di genere, è piuttosto una mancanza di attenzione e rispetto sociale, tanto che gli uomini praticano il manspreading anche contro altri uomini e ugualmente le donne praticano lo shebagging anche contro altre donne. Continuiamo a coniare neologismi soltanto per cercare riferimenti sessuali? Servirebbe a qualcosa?

L’ecologia ci spiega che il mondo è sovrappopolato, non ci vuol molto a capirlo, ma alcune nazioni sono sotto-popolate, come per esempio la Sardegna, che perciò risulta grande, ci si sta larghi e larghe. La libertà è quella dell’anima ma anche quella del corpo, dove c’è spazio assumiamo tutti e tutte – uomini e donne – la posizione più salutare o comunque più comoda per noi.

Lottiamo da sempre affinché le donne possano sedersi come pare e piace a loro, se c’è spazio e se vogliono pure con le gambe divaricate, senza alcun timore patriarcale, e adesso a questa libertà dovremmo rinunciarci tutti e tutte?

Amos Cardia, Sardegna

Gentile Amos,

grazie per aver aperto un dibattito sul tema del corpo maschile, ce n’è tanto bisogno e mi dà la possibilità di approfondire ciò che avevo cominciato a scrivere nell’articolo da te citato.

Il manspreading non è solo una cattiva abitudine: è un’espressione molto riconoscibile di quell’attitudine invadente e menefreghista che caratterizza il modo in cui i maschi occupano lo spazio. Non avevo mai sentito parlare di shebagging, ma mi sembra sia un comportamento abbastanza circoscritto che solo forzatamente si può attribuire a un genere.

Mi colpisce, però, che piuttosto che ragionare sulla politicità del corpo – e nello specifico del corpo dei maschi – lo si faccia, invece, su quello che per me non era che un esempio pratico che permettesse di cogliere un problema più ampio. E questo tipo di ragionamento, che io vedo molto “sulla difensiva”, mi porta a spiegare meglio ciò che volevo dire: il sessismo non deriva da maleducazione o mancanza di buon senso.

Al contrario, l’educazione e la “ragionevolezza” sono alcuni degli strumenti attraverso i quali il patriarcato costruisce il proprio consenso: ed è su queste basi che, spesso, le femministe vengono considerate indecorose o pazze.

Il sessismo si afferma anche attraverso il sottile ma costante lavorio con cui si cerca, di fronte a questa lotta grandiosa per affermare l’umanità contro l’oppressione, di trovare e segnare con la penna rossa quello che appare “esagerato”, “estremista”; di ripetere “non tutti gli uomini lo fanno”, come pure “anche le donne lo fanno”, con il risultato di far credere esista una condizione di parità nella quale ognun* è un po’ colpevole e nessun* è responsabile.

Ma non viviamo nella parità, non partiamo dalle stesse posizioni: per questo è necessario riconoscere la propria posizione e il proprio privilegio, e usarlo perché i privilegi non esistano più.

E tu cosa pensi del manspreading e dei corpi maschili nello spazio pubblico? Lascia un commento o scrivici a redazione@pasionaria.it