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Paralimpiadi 2016, un bilancio tra successi e pietismo

Paralimpiadi 2016: la campionessa di scherma Beatrice Vio
Paralimpiadi 2016: la campionessa di scherma Beatrice Vio

La fiamma delle Paralimpiadi di Rio 2016 si è spenta da poco e il bilancio per la delegazione italiana è stato più che positivo, grazie alle 39 medaglie conquistate. Un risultato che premia non solo il grande lavoro delle persone coinvolte, ma anche un movimento che nel corso degli anni ha conquistato un suo spazio nel mondo sportivo.

Nel tempo molto è cambiato nello sport paralimpico sia a livello organizzativo sia mediatico, in particolare, nel modo in cui viene vissuto, raccontato e percepito. Ma la narrazione più comune rimane quella di un percorso pieno di ostacoli da superare, non solo fisici ma soprattutto mentali, dove il pietismo e il pregiudizio sono sempre in agguato.

Passi in avanti per abbattere stereotipi e luoghi comuni sono stati fatti, anche se la strada da percorrere è ancora lunga, se si considera la storia piuttosto recente di queste discipline sportive, quei passi fatti sono da giganti.

Paralimpiadi, una storia recente

Le basi delle Paralimpiadi vengono piantate nel secondo dopoguerra, grazie a Ludwig Guttmann, medico tedesco emigrato in Inghilterra, che vede nello sport uno strumento per la riabilitazione. Nel 1948 è lui a organizzare, nel villaggio di Stoke Mandelville, la prima competizione sportiva per i reduci di guerra con lesioni alla colonna vertebrale. Dieci anni dopo il dottor Antonio Maglio, direttore del centro paraplegici dell’INAIL, propone di spostare questi giochi in Italia a Roma, che nel 1960 è la città designata a ospitare le Olimpiadi. L’edizione del 1960 è ufficialmente la prima edizione dei Giochi Paralimpici.

E poi vincemmo l’oro

Per capire l’evoluzione del percorso paralimpico in Italia ci viene in aiuto un progetto molto bello, Memoria Paralimpica, che ripercorre non solo le origini del movimento ma anche i tempi odierni, dando la parola a chi ha svolto il ruolo da protagonista: atleti e atlete. Storie di speranza, amicizia, ispirazione, difficoltà e anche di lotta per il superamento dei propri limiti e di quelli degli altri. “E poi vincemmo l’oro” è il documentario diretto da Massimiliano Sbrolla che raccoglie anche le testimonianze che seguono.

Non adatti ai video

“Mi ricordo che c’era un giornalista che aveva detto che i paraplegici non sarebbero mai andati sul video perché c’era la mentalità che facevamo pena oppure eravamo dei pupazzi da baraccone. Questa era la mentalità di allora.” A parlare è Silvana Martino, atleta paralimpica dal 1961 al 1980. A rincarare la dose sulla scarsa attenzione riservata a questo evento è Paola Fantato, atleta paralimpica specializzata nel tiro con l’arco. “Nell’88 a Seul, alla cerimonia di apertura, c’erano due paesi che non avevano acquistato i diritti per trasmetterla. Uno era un paese africano e l’altro era l’Italia”. Se si pensa alla copertura mediatica che ha garantito la Rai a queste ultime edizioni, i progressi sono stati enormi.

Lo scoglio del pietismo

Uno degli ostacoli più grandi nel mondo della disabilità è il pietismo, che spesso è protagonista sia nell’approccio di comunicazione tra persone sia nel racconto di una Paralimpiade. Come testimonia la stessa Fantato:

Ricordo le prime volte che andavo nei campi di gara e c’erano le altre atlete non disabili che mi guardavano come a dire ‘ah, dai, si diverte anche lei, fa qualcosa anche lei’. Poi man mano che la mia tecnica progrediva e diventavo brava esclamavano ‘oh, mamma, c’è anche la Paola!’. Questa è stata una parte delle soddisfazioni che mi sono presa.

Luca Pancalli, attuale presidente del Comitato Italiano Paralimpico ed ex atleta, ricorda:

I principali detrattori della nostra attività erano i giornalisti che definivano le nostre
le Olimpiadi del cuore, del coraggio. Una cosa di un pietoso unico.

Una storia che colpisce particolarmente è quella di Francesca Porcellato, ciclista pluripremiata, che ha disputato sia le paralimpiadi estive sia quelle invernali. A sei anni voleva partecipare a una gara di corsa nel suo paese con la carrozzina, ma le è stato impedito. Quando un amico di famiglia voleva regalarle una medaglia simbolica di consolazione, lei rifiutò dicendo che la medaglia voleva vincerla con le proprie braccia diventando un’atleta.

Superare i pregiudizi

Superare il pregiudizio verso lo sport paralimpico non è semplice, come spiega Beatrice Vio, campionessa paralimpica del fioretto “Vedono i disabili come degli sfigati ma in realtà non capiscono. Poi quando ce li porti nel mondo paralimpico le persone si innamorano ancora di più dello sport perché capiscono come devi farti un mazzo tanto di più per riuscire a fare una cosa che magari in piedi sembra semplicissima.”

Di pregiudizi parla in un episodio anche la già citata Francesca Porcellato. Si trovava in un bar con un gruppo di colleghi in procinto di partire per Seul, quando è stato chiesto loro dove stessero andando. La risposta “a Seul” è stata commentata con “ma che santuario c’è a Seul?”. L’idea che quelli fossero atleti era impensabile.

Ma ad avere questo pregiudizio spesso sono anche gli stessi disabili, come racconta Luca Pancalli ricordando la sua prima gara:

Vedevo tutti ‘sti ragazzi disabili e dicevo ‘ma io che ci sto a fare qua? Ma io ero un atleta. Ma questa è una parvenza di sport’. Poi sono entrato in acqua, ho fatto ‘sta garetta… e ho perso. E lì ho capito che lo sport è sport, che per vincere non basta essere stati dei grandi campioni quando avevi due gambe.

Una mentalità da cambiare

Le testimonianze fin qui raccolte sono una parte di ciò che è mutato nel tempo e di ciò con cui ancora bisogna fare i conti. Essenzialmente è una questione di mentalità da cambiare, di limite mentale da superare, come spiega la due volte campionessa paralimpica del lancio del peso Assunta Legnante:

Ci sono ancora delle mentalità talmente chiuse che per le famiglie avere un figlio o un parente disabile vuol dire avere una sciagura in casa. E avere una sciagura in casa vuol dire anche non farlo uscire. Una cosa che vorrei fare è proprio quella: andare casa per casa e tirarli fuori a calci.

Lo sport contribuisce a migliorare la vita delle persone, a darle nuova forma. Questo è ancora più evidente nello sport paralimpico. La strada per abbattere i pregiudizi è di certo lunga, ma con la tenacia messa in campo dalle atlete e dagli atleti, con i loro risultati e con l’impatto mediatico crescente di manifetazioni come le Paralimpiadi, si può guardare al futuro con più ottimismo.

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