Il caso dell’omicidio della donna transgender filippina, Jennifer Laude, per mano del marine statunitense Joseph Scott Pemberton, ha risvolti culturali, giuridici e diplomatici strettamente correlati, che fanno emergere come la questione del genere non sia solo nazionale ma connessa con la realtà internazionale.
L’omicidio di Jennifer Laude
Jennifer è stata trovata morta in una stanza d’albergo di Olongapo, nelle Filippine. Il ventenne Pemberton, in missione per l’esercito statunitense, afferma che quando si era appartato con lei non sapeva che fosse una donna transgender fino a che, dopo aver ricevuto del sesso orale, non ha “testato” il fatto che “avesse un pene e che, quindi, fosse un uomo”.
Il militare racconta di aver agito in preda ad un “raptus” e di aver più volte colpito la donna fino a lasciarla esanime a terra.
Il “panico da trans” come difesa
La difesa costruisce l’immagine del marine, incensurato, come persona giovane, 20 anni contro i 26 della vittima, e inesperta, dichiarando che Pemberton “sarebbe stato vittima di una frode commessa da una sexworker” e che “si sia sentito violato e arrabbiato”.
La strategia difensiva tenta di provare che l’azione del militare è stata necessaria per difendere la sua incolumità.
Il ragazzo afferma di “essersi sentito stuprato da Laude” e la sua difesa aggiunge che il marine “provava così tanta repulsione e disgusto perché non aveva dato il suo consenso a fare sesso con un uomo” e dunque “ha agito per difendere il suo onore”.
È la tesi difensiva del “panico da trans“.
La premessa della strategia difensiva basata sul “panico da trans” è che l’uomo eterosessuale (e cisgender) è sconvolto nello scoprire che la propria partner sessuale è una donna transgender – un uomo dal punto di vista di chi sostiene questa tesi – e, in uno stato di temporanea insanità mentale, finisce per uccidere la partner.
La transfobia, dunque, diventa una strategia difensiva mediante la colpevolizzazione della vittima e il ribaltamento della realtà: un soldato addestrato alla guerra si è sentito stuprato e minacciato – tanto da sostenere di aver agito per legittima difesa, salvo lasciare la donna morire senza chiamare soccorso – da una donna transgender perché questa non era operata.
Transfobia e femminismo
La transfobia – termine usato per la prima volta negli anni ’90 – è il forte senso di repulsione, disgusto, o paura provati per le persone transgender. Le sue radici sono nell’essenzialismo di genere, ovvero la convinzione (errata) che vi siano solo due sessi, convinzione basata su osservazioni superficiali (per esempio sul dimorfismo sessuale, ovvero la differenza morfologica fra individui di sesso differente).
La discriminazione sulle donne transgender non operate è sistemica. Non solo. Accettare la tesi del raptus e colpevolizzare la vittima per il suo genere è transmisoginia, ovvero l’intersecarsi di fattori transfobici e misogini (come sostiene l’attivista femminista queer Julia Serano). Ed il sistema giuridico, americano, come quello italiano, è costruito sui principi del sistema patriarcale.
In Italia sono emblematici l’art.587 e l’art.544 del codice penale, meglio conosciuti come delitto d’onore e come “matrimonio riparatore”, che ha nel caso di Franca Viola l’esempio più celebre.
Questo ci fa comprendere come le istanze delle donne transgender rientrino in pieno nella questione femminista, nonostante le posizioni delle TERF (cioè le femministe che escludono le donne transgender) e le ultime frasi della scrittrice femminista Chimamanda Ngozi Adichie che, pur non negando che il femminismo si possa occupare anche delle discriminazioni sulle donne transgender, tuttavia sostiene che siano una questione a parte, poiché le donne transgender hanno goduto di privilegi maschili e non sono socializzate come sono socializzate le donne.
Leggendo i fatti in un’ottica intersezionale e uscendo dalla narrazione unica sulle donne trans, in cui Adichie è caduta, è palese che vi sia il sovrapporsi di fattori discriminanti.
Transfobia erta a strategia difensiva
Affermare che una donna transgender è un uomo o che lo sia stato in base ad un organo sessuale è transfobia, ma per la legge questo non è chiaro.
Infatti secondo la legge le donne transgender sono uomini fino al cambio dei documenti che in molti paesi avviene solo dopo essersi sottoposte alla rimozione chirurgica degli organi sessuali maschili. Dunque la linea difensiva, per quanto possa sembrarci assurda, ha un fondamento di logica.
La difesa basata sul panico gay o trans ha dei precedenti: il caso Shepard (Wyoming, 1998) e il caso Araujo (California, 2002). Mentre nel primo caso la tesi difensiva non venne accolta, lo fu per i quattro imputati del 2002 che furono condannati per omicidio di secondo grado e colposo, nonostante avessero picchiato per ore la donna prima che questa spirasse.
L’American Bar Association, la più grande organizzazione americana di volontari professionisti nel campo della giurisprudenza, ha formalmente proposto una risoluzione, a livello federale, per rendere illegale questa forma di strategia difensiva.
Violenza istituzionalizzata
Nel caso dell’omicidio di Jennifer Laude, la strategia ha funzionato, e il marine è stato giudicato colpevole di omicidio colposo: sconterà una pena tra i 6 e i 12 anni.
Il governo e l’esercito degli Stati Uniti che, in un caso di stupro di una giovane filippina da parte di un marine nel 2006 non hanno rinunciato ad esercitare qualunque tipo di influenza sul Governo Filippino, hanno rilasciato una laconica dichiarazione sul caso, chiedendo che Pemberton fosse messo sotto la custodia del governo degli Stati Uniti nonostante il crimine fosse stato commesso in suolo filippino, ed omettendo l’aspetto di odio transfobico del caso.
Il silenzio del Governo degli Stati Uniti, per motivi di politica estera e interna, convalida un uso deprecabile della legge portato avanti da avvocati senza scrupoli morali. Le omissioni di Stato sono violenza istituzionale.