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La quotidianità dell’omotransfobia

Omofobia

Oggi è la giornata internazionale contro l’omotransfobia.

Quando si parla di omotransfobia, l’italiano medio pensa subito alla violenza, ai ragazzi pestati, uccisi, spinti al suicidio perchè gay. Alle persone transessuali, di solito quelle che si prostituiscono, finite sotto le mani di assassini senza scrupoli e da lì nelle pagine di cronaca nera. A tutti gli omocidi della storia d’Italia. E la conclusione è che, in fondo, a noi persone lgbti, non vada bene, ma neppure tanto male: qualche coraggioso addirittura tira fuori la Russia, l’Isis, l’Iran o quei paesi africani dove essere omosessuali significa incorrere nella morte o nel carcere. Quindi, noi lamentose persone lgbti italiane, dovremmo solo ringraziare.

Però in Italia, a differenza della quasi totalità dei paesi dell’Europa occidentale, non esiste una qualche forma di riconoscimento legale per le coppie omosessuali (sempre più spesso nella forma del matrimonio), non esiste la possibilità di riconoscere la propria famiglia come tale (non di “farne” una: le famiglie arcobaleno esistono da decenni anche nel nostro paese), non esistono leggi che tutelano contro la discriminazione dovuta all’orientamento sessuale.

La verità è che viviamo in uno stato omofobo e transfobo. Io lavoro e pago le tasse come gli eterosessuali, ma non godo degli stessi diritti perché per il mio stato sono di fatto una cittadina di serie B.

Ma non è solo una questione di leggi. C’è che la cultura italiana è ancora intrisa di omotransfobia: siete (quasi) tutti omofobi e transfobi. E magari neppure lo sapete. Perchè l’ignoranza (nel senso etimologico, il non sapere) e il conformismo (fare quello che fanno tutti, che dicono tutti, senza pensare) alimentano sempre le discriminazioni.

Essere omofobi e transfobi non significa solo picchiare. O usare la parola lesbica o frocio, come è successo qualche giorno fa, per disprezzare un gruppo di persone. L’omofobia degli anni duemila è molto più subdola. Anche non riconoscerci, renderci invisibili o al contrario osservarci come fenomeni da baraccone, è omotransfobia.

Quando vedete l’anello al mio anulare sinistro e mi chiedete di mio marito e se vi rispondo la mia “compagna” pensate che sia un errore di grammatica e insistete, quella è omotransfobia.

Quando dite “non ho nulla contro i gay, sono come noi” oppure “a me non danno fastidio”, quella è omotransfobia.

Quando dite “il transessuale” riferito a una donna che non è nata con gli organi genitali femminili e continuate a usare per lei pronomi maschili, quella è omotransfobia.

Quando ci dite “non avrei mai detto che tu fossi gay, sei così virile” oppure “non avrei mai detto che tu fossi lesbica, sei così carina”, quella è omotransfobia.

Quando vi prendete la libertà di chiederci cose della nostra vita privata che non chiedereste mai a un eterosessuale (“chi è l’uomo e chi la donna?”, “ma dovete usare i falli finti per fare sesso?”…), quella è omotransfobia.

Quando criticate i gaypride perchè offendono il vostro senso del pudore, perché sono “violenti” (avete mai partecipato a uno?) e perché “non dovreste manifestare così”, quella è omotransfobia.

Quando parlate della “lobby gay” che mira a corrompere lo stato e i vostri figli o al contrario vi lamentate che non potete essere solidali coi gay se neppure i gay lo sono fra loro (perché le persone coi capelli rossi vanno tutte d’amore e d’accordo?), quella è omotransfobia.

Potrei andare avanti per molte pagine a raccontare quello che io e migliaia di altre persone subiamo quotidianamente in questo paese. Per non parlare poi dei silenzi, dei “si sa, ma non si dice”, del “non ho nulla contro di te, ma non fare una bandiera del tuo orientamento”, del “se non lo dici è meglio” e di tutte le ipocrisie della morale borghese e cattolica di questo paese.

E se pensate che non vi riguardi perchè non siete persone lgbti e non ne conoscete, probabilmente vi sbagliate. Non siamo quattro persone che “fanno casino”. Siamo i vostri vicini di casa, quelli che insegnano a leggere e far di conto ai vostri figli, che guidano il vostro treno, che vi curano quando vi ammalate, che vi accolgono nel loro negozio, che compilano per voi la dichiarazione dei redditi…

Soprattutto siamo cittadine e cittadini come voi, con gli stessi doveri, ma senza gli stessi diritti.

Che le cose cambino, dipende anche da voi.

Dalla vostra azione quotidiana, dal modo in cui vi ponete, dalla vostra presenza politica. Cominciate da oggi, scendendo in piazza con noi.