Ci siamo, è tornato quel periodo dell’anno. Il 25 novembre è alle porte e anche questa volta servirà a ricordarci che nel mondo una donna su tre ha subito almeno un’esperienza di violenza fisica o sessuale da parte degli uomini.
Purtroppo siamo certe che la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne verrà di nuovo annacquata con la consueta dose di retorica, soprattutto istituzionale, che versa lacrime di coccodrillo sui femminicidi (in Italia nel 2016 finora ce ne sono stati ben 103) senza soffermarsi a indagarne le cause.
Più volte abbiamo scritto che questa ricorrenza dovrebbe servire per andare oltre i casi di cronaca più efferati e diventare un momento di (auto)coscienza collettiva.
L’anno scorso per ribellarci al marketing della violenza contro le donne (quello che ci bombarda di immagini di ragazze rannicchiate e col volto tumefatto) avevamo lanciato la campagna #anchequestaèviolenza e tante lettrici ci avevano raccontato piccoli grandi episodi di violenza quotidiana.
Quest’anno scenderemo in piazza e il 26 novembre saremo a Roma per partecipare al corteo Non una di meno lanciato dalla Rete Io Decido, l’Udi e D.i.Re.. E il 27 saremo anche all’assemblea nazionale, per discutere, confrontarci, organizzarci con le altre attiviste di tutta Italia su un piano d’azione comune contro la violenza maschile sulle donne.
Perché – come recita l’appello dell’iniziativa:
“non accettiamo più che la violenza condannata a parole venga più che tollerata nei fatti. Non c’è nessuno stato d’eccezione o di emergenza: il femminicidio è solo l’estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica. E’ una fenomenologia strutturale che come tale va affrontata”.
Si scenderà in piazza quindi per puntare il riflettore anche sul linguaggio e le rappresentazioni sessiste dei media, sull’accesso al welfare, sull’esigenza di una educazione alle differenze nelle scuole, sui fondi sempre più al ribasso per i centri antiviolenza, sui consultori in via di estinzione, sul rispetto del diritto all’aborto, sull’autodeterminazione sessuale.
Tutti questi problemi sono alla radice di quella cultura della violenza che trova la sua espressione più grave e brutale negli stupri e nei femminicidi. Quella cultura della violenza che tutte le donne, in un modo o nell’altro, hanno vissuto sulla loro pelle almeno una volta nella vita.
Per questo crediamo che Non una di meno sia una manifestazione nata per appartenere a tutte le donne e non solo alle femministe che l’hanno organizzata o a quelle che ogni giorno si battono contro le discriminazioni di genere.
Cercare, dunque, di metterci il cappello, monopolizzarla o boicottarla come hanno fatto negli ultimi giorni alcune attiviste, non solo non aiuta la causa femminista, ma non aiuta le donne tutte, che oggi anche in Italia hanno ancora bisogno di scendere in piazza per far valere i propri diritti.
Siamo rimaste perplesse e deluse di fronte alle polemiche in merito alla partecipazione a Non una di meno degli uomini e di tutte quelle persone e quelle associazioni che si battono per il superamento del binarismo di genere.
Noi siamo fermamente convinte che la violenza di genere sia un problema sociale e che per questo l’azione di contrasto debba coinvolgere più persone possibili all’interno della nostra società.
Comprendiamo bene la necessità, all’interno del corteo, di uno spazio sicuro per le donne che siano state vittime di violenza, ma da questo a fare della manifestazione un corteo separatista la differenza è enorme.
Siamo molto contente che le stesse organizzazioni promotrici abbiano chiaramente detto (anche se già era scritto nel manifesto) che la manifestazione sarà aperta a tutte le persone che ne condividano lo scopo.
Resta l’amarezza estrema per le polemiche (che ancora non si sono spente) e per il tentativo di screditare tutta la manifestazione con modi e toni che a tratti parevano più essere dovuti a un certo narcisismo mediatico che a motivazioni sinceramente ideologiche.
I femminismi in Italia sono tanti e spesso divisi da prospettive, storie, esperienze, differenze ideologiche e generazionali: Non una di meno è un’occasione ottima per ritrovarsi tutte e cercare di lavorare su punti d’azione comuni.
I tentativi di strumentalizzare questo tipo di lotta indeboliscono tutti i femminismi italiani e non aiutano la lotta alla violenza di genere. Non è attraverso i toni urlati e l’aggressività che si può tentare di aprire un dialogo.