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Non una di meno, i femminismi si fanno marea: “La rivoluzione è adesso”

Nel percorso verso lo sciopero dell’8 marzo pubblichiamo una riflessione che ci ha emozionato: ce la manda Martina Ciccioli, operatrice della Casa delle donne di Bologna. Condividiamo, sotto ogni aspetto, la sua visione rivoluzionaria e intersezionale di quella grande marea di anime, cuori e identità che è Non una di meno

Non una di meno: una foto della manifestazione del 26 novembre
Foto dalla pagina Facebook di Non una di meno

Una decina di giorni fa ero una delle moltissime persone che animava d’entusiasmo l’aula magna di Via Belmeloro a Bologna, emozionata per la chiusura della due giorni di Non una di meno, felice per le energie in circolo, consapevole che quella chiusura rappresentava “solamente” una sosta momentanea, parte attiva di un percorso.

Ed è una decina di giorni che penso alla scrittura di queste righe, che mi chiedo da dove cominciare, cosa vorrei dire, cosa non vorrei disperdere. Perché Non una di meno è davvero marea: una marea di donne, una marea di parole, una marea di emozioni, una marea di pratiche e di tantissimo altro ancora.

Movimenti di massa critica del genere è facile inneschino il desiderio urgente di comunicare quanto smuovono, di farti uscire fuori da te, non tanto con la sensazione di aver raggiunto una meta, quanto con quella di essere in cammino, e soprattutto di esserlo con molte altre donne, con molte altre associazioni, con molte altre femministe e tra tanti femminismi.

Non una di meno: occasione per i centri antiviolenza

Lavoro e sono socia della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna. Lavoro con donne italiane, migranti, in uscita dalla tratta e in fuga dal maltrattamento. Siamo precarie la Casa, le donne ed io, perché i progetti, per loro natura, sono temporanei e come loro lo sono, ma non dovrebbero esserlo, i finanziamenti.

Tale precarietà è la risposta a un fenomeno, quello della violenza contro le donne, che è decisamente stabile, invece, perché fisiologicamente parte del macro-contesto socioculturale in cui siamo tutt* immers*.

Così mi sento di dire che va per i Centri in generale. In tante della rete D.i.Re, infatti, abbiamo riconosciuto l’impasse che stanno vivendo i Cav (Centri Antiviolenza): nati dal femminismo negli anni ’90, sono oggi a rischio istituzionalizzazione, perché galleggianti tra la quotidiana operatività e la corsa ai fondi, ma fortemente consapevoli della valenza politica del loro agire quotidiano e perciò desiderosi di riconnettersi con la propria anima attivista, femminista, collettiva.

Non una di meno, in questo senso, non può che essere l’occasione, credo imperdibile per i Centri, di ripoliticizzarsi.

Non una di meno: le identità si fanno marea

Non voglio però avere la presunzione di parlare per le altre e di fare una fotografia dello stato della salute femminista dei Cav. Scrivo perciò per me, da me, finalmente lo faccio, perché anche questo urge.

Non una di meno è l’occasione che io non voglio mancare per ri-posizionarmi politicamente e cercare così di rimotivarmi e ricollocarmi come operatrice, come donna, come lavoratrice e come tutte le altre identità in divenire che compongono ciascun@ di noi. Tutto questo però, in una dimensione necessariamente collettiva, di una marea che si fa oceanica.

L’enorme merito della moltitudine femminista di Non una di meno è, infatti, la capacità di socializzare la questione della violenza di genere, quella stessa questione che vogliono farci credere riguardi solo noi donne, sia quindi minoritaria, non adatta allo spazio pubblico. E invece noi lo spazio pubblico ce lo stiamo conquistando perché ci siamo, siamo ormai oceano, e non siamo sole.

E non mi riferisco “solo” alla portata globale delle rivendicazioni femministe che dall’Argentina stanno attraversando l’Europa, gli Stati Uniti e tantissimi altri Paesi ancora.

Non una di meno: i femminismi si mettono in discussione

Torno a Bologna e racconto quello che ho visto e a cui ho avuto il privilegio di partecipare. Con Non una di meno il femminismo non è rinato: come hanno detto in molt* non è mai morto!

È più animato che mai e a me pare stia cercando di assumersi i propri privilegi, metterli (mettersi) in crisi e stringere alleanze con tutte le altre soggettività divergenti che il patriarcato etero normativo non contempla. Il femminismo si è nominato prima al plurale e i femminismi stanno incontrando il transfemminismo queer.

Ai tavoli a cui abbiamo lavorato il 4 e il 5 febbraio scorsi le tematiche trattate sono state sollevate dalle donne, ma riguardano tutt*.

Dal lavoro assembleare che è stato portato a termine sono emersi otto punti per lo sciopero dell’otto marzo: Centri antiviolenza autonomi, femministi e laici; piena applicazione della Convenzione di Istanbul; autodeterminazione della salute di corpi desideranti; un reddito europeo che favorisca l’indipendenza nella ri-strutturazione della propria vita per le donne in uscita dal maltrattamento; libertà di movimento e di stanzialità che le molteplici e disumanizzanti frontiere non possono arginare; educazione alle differenze; movimenti antisessisti, dichiaratamente e fattivamente femministi; un linguaggio mediatico equo, ribelle e favolosamente in grado di raccontare tutte le realtà, affrancandosi dalla noia degli stereotipi.

È evidentemente enorme la potenza che abbiamo generato.

Non una di meno: alleanze intersezionali

Tutta questa forza deriva da noi donne, da tutte quelle che si sono spese per costituire Non una di meno. Tutta questa forza credo derivi anche dall’apertura includente dei molteplici femminismi nei confronti di altri percorsi di lotta. Tale integrazione ha il pregio di essere intersezionale e in questo senso fluida: non appiattisce le diverse istanze che cerca di contenere, non cerca di minimizzarne una per favorirne un’altra.

Crediamo che la violenza maschile sia violenza di genere e che a sua volta la violenza di genere sia generata dalla violenza DEL genere e cioè dall’imperativo sociale di (ri)produrre generi normativi e binari a sostegno dell’eterosessualità obbligatoria“.

Le parole citate sono del SomMovimento NazioAnale e mi aiutano ad andare nella direzione di alleanze femministe intersezionali e mi confermano l’urgenza, accolta in Non una di meno, di fare del proprio femminismo un posizionamento da assumere sì nella sua specificità, ma in termini fluidi e dinamici, facendo della lotta alla violenza patriarcale la lotta alla millantata naturalità del genere, alla pretesa esaustività del binarismo biologico, alla retorica razzista dell’omonazionalismo e a molto altre lotte di genere ancora.

Con la consapevolezza di esser sempre migliorabile a me è sembrato davvero che Non una di meno, tutte noi che componiamo Non una di meno, stia e stiamo cercando di applicare una logica additiva nel senso più vasto del termine: il tentativo è quello di dar voce e parola a molteplici realtà e soggettività, accogliendo le pluralità, riconoscendone i particolari e operando una sintesi che sia sì di denuncia, ma propositiva e rivendicativa di ciascun diritto negato o ostacolato nel suo esercizio.

Non una di meno: rivoluzione globale dal basso

Ni una menos, Non una di meno, hanno la spiccata qualità di approfittare della dimensione globale agendo una globalizzazione dal basso, in grado di istituire un nuovo spazio politico all’interno del quale creare una piattaforma rivoluzionale altrettanto globale, partendo da noi donne, chiamando in causa tutt* coloro che vorranno rispondere e interrogarsi.

In questo nuovo spazio politico, infatti, è possibile costruire un’identità femminista molteplice, ma non schizofrenica, in cui le anime che la compongono sono in costante comunicazione nel desiderio, anche faticoso, di non sopraffarsi, ma riconoscersi e quindi coalizzarsi.

La questione identitaria credo sia emersa chiaramente il 4 e il 5 febbraio ed è stata, ed è, per me centrale nell’adesione a Non una di meno. Va di pari passo, infatti, con la possibilità di rispecchiarsi, uscire dall’isolamento, e percepire un’appartenenza diffusa. Permette, inoltre, di fare il necessario salto dalla dimensione individuale a quella collettiva, rendendola quindi politica.

A me sembra che Non una di meno si stia ponendo, come suggeriva in un’intervista Angela Davis, la giusta domanda: come comprendere la interrelazione tra molteplici movimenti in lotta senza dover attribuire priorità ad uno o ad un altro?

Credo sia proprio in questa interrogazione uno dei maggiori punti di forza di Non una di meno.

Non una di meno: facciamo insieme la storia

Un altro tra i numerosi pregi rintracciati, che ho vissuto personalmente con un vero e proprio senso di ebbrezza, è quello di permettere l’accesso al presente.

In quelle due giornate di discussioni, riflessioni, condivisioni e anche affanni io ho percepito di avere la possibilità concreta di agire un cambiamento, di rappresentare – citando di nuovo la Davis che si era espressa in questi termini in occasione della marcia di Washington – “le potenti forze del cambiamento determinate ad evitare che le culture morenti del razzismo e dell’eteropatriarcato possano rinascere di nuovo. Siamo agenti collettivi della storia“.

Il mio cuore ha esultato e sono certa che durante la plenaria del 5 febbraio fosse in buona e numerosa compagnia.

Credo e spero fortemente che quella di Bologna sia solo una delle tante tappe di Non una di meno, della moltitudine di donne in lotta che ha saputo agire dal basso una pratica socio politica aggregante in grado di mettersi in comunicazione con le soggettività vittimizzate dalla violenza di genere, ma protagoniste della propria Storia.

Non una di meno: #LottoMarzo permanente

La prossima tappa sarà l’otto marzo: data che vogliamo riprenderci, de-istituzionalizzandola, trasformandola nel #LottoMarzo permanente, perché la violenza è connaturata a società e culture. Ci riapproprieremo dell’otto marzo anche, e soprattutto, scioperando.

Sarà uno sciopero delle donne e sarà uno sciopero de-generato: sciopereremo contro la violenza maschile sulle donne, dai generi, dal precariato, dalle politiche securitarie ed emergenizali, dalla sacralità obbligatoria della maternità, dalla norma, dai tradizionali rapporti di genere, dall’obbligo alla cura che ci è imposto a causa di un welfare che non assolve ai propri doveri, dall’eterosessualità naturalizzata, dalla mancata attuazione della 194 e da tutte quelle prescrizioni normative che i dispositivi di controllo etero patriarcali impongono ad ogni donna e a ciascun identità divergente.

L’orizzonte più ampio verso cui dirigerci è poi giugno, con il Piano nazionale femminista antiviolenza che stiamo costruendo dal basso, rivendicando il ruolo di prime attrici di donne che non hanno bisogno di essere protette, ma che sono esperte della propria vita e vogliono deciderne autonomamente.

Prima di giungo, e dopo, ci saranno altre assemblee nazionali e locali, ci sarà quindi Non una di meno con la costruzione e l’esercizio quotidiano di un potere collettivo.

Ci sarà, c’è già, la Rivoluzione delle donne, delle femministe, dei femminismi.

Martina Ciccioli