Laurie Penny è una giornalista, scrittrice e femminista britannica. Il suo libro più recente è Bitch Doctrine. Quella che segue è una traduzione del suo articolo The Horizon of Desire (“L’orizzonte del desiderio”) pubblicato su Longreads, con cui vuole avviare una nuova conversazione riguardo a donne, uomini, consenso, desiderio e autodeterminazione. Ringraziamo il collettivo Starfish per averla condivisa su Pasionaria
NOTA DI TRADUZIONE: A differenza di altre lingue, l’italiano non prevede il genere neutro per riferirsi alle persone non binarie, preferendo un generico maschile inclusivo. Noi abbiamo scelto di utilizzare l’asterisco in questa traduzione e quando possibile dei sostantivi epiceni (cioè privi di marca di genere). Siamo consapevoli delle difficoltà che può comportare nella lettura, ma speriamo che questa sia una piccola occasione per confrontarsi con questo problema e interrogarsi su di esso.
«Un uomo scopa una donna. Un uomo: soggetto. Una donna: oggetto».
— The Fall, Episodio 3, “Insolence and Wine”
La prima cosa da capire quando si parla di consenso è che il consenso non è, in senso stretto, una cosa. E non nello stesso modo in cui diciamo che il teletrasporto non è una cosa. Il consenso non è una cosa perché non è un oggetto, non è una proprietà. Il consenso non è qualcosa che puoi tenere in mano. Non è un dono che può essere dato e poi sgarbatamente requisito. Il consenso è uno stato dell’essere.
Dare a qualcuno il tuo consenso – sessualmente, politicamente, socialmente – è un po’ come dare la tua attenzione. È un processo continuo. È un’interazione tra due creature umane.
Credo che un gran numero di uomini e ragazzi non riesca a comprenderlo bene. Credo che la mancanza di comprensione stia causando traumi indicibili a donne, uomini e a chiunque sia stufo di quanto la sessualità umana faccia ancora male.
Dobbiamo parlare di cosa significa veramente consenso e del perché conta di più, e non di meno, adesso, in un momento in cui i diritti fondamentali delle donne di scegliere del proprio corpo sono sotto attacco in tutto il pianeta. Un momento in cui lo Sporco Imperatore della Cultura dello Stupro sta occupando la Casa Bianca, rendendo tranquillamente legittima la perversione del tuo vicino.
Intendiamo ancora il consenso nel modo sbagliato e dobbiamo cercare di intenderlo in modo un po’ meno sbagliato, per il bene di tutti.
Per spiegarvi tutto questo, dovrò raccontarvi alcune storie. Sono storie vere, e alcune sono un po’ scomode, e ve le sto dicendo ora perché il resto di questo viaggio potrebbe diventare spiacevole e voglio che siate preparat*.
***
Dunque, ho questo amico con un passato oscuro. È una persona intelligente e coscienziosa, cresciuta nel patriarcato, e sa di aver fatto cose che, pur non essendo state criminali, hanno ferito alcune persone, e per persone intende donne. Il mio amico ha ferito delle donne e ora non sa cosa fare a riguardo, e ogni tanto ne parliamo. È così che è successo che, un po’ di settimane fa, nel bel mezzo di una esuberante confessione in un caffè, le seguenti parole sono uscite dalla sua bocca: “Tecnicamente, non ho violentato nessuna“.
Tecnicamente. Tecnicamente, il mio amico non pensa di essere uno stupratore. Quel tecnicamente mi ha perseguitata per giorni. Non perché non ci credo, ma perché ci credo. Non è la prima volta che sento una frase del genere, o qualcosa di simile, uscire dalla bocca di amici maschi ben intenzionati che freneticamente riesaminano la loro storia sessuale alla luce del fatto scomodo che la vergogna non è più sufficiente a impedire alle donne di nominare i loro molestatori.
La prima volta l’ho sentita così tanto tempo fa, infatti, che devo aggiungere un ammonimento per alcuni lettori selezionati: se non mi avete dato il permesso per condividere la vostra storia, non è di voi che sto parlando.
“Tecnicamente, non ho stuprato nessuna”. Che cosa intendeva con tecnicamente? Il mio amico ha continuato poi a descrivere come, ripensando agli anni passati a bere e scopare in giro prima di decidere di ripulirsi, consideri fortuna più che orgoglio il fatto che, per quanto gli risulti, non abbia mai commesso gravi aggressioni sessuali.
Come quella di qualsiasi uomo cresciuto nell’ultima decade, la sua concezione di consenso è a dir poco grezza: il sesso inteso come qualcosa che persuadevi le donne a lasciarti fare loro, e se non erano in uno stato incosciente, non ti stavano dicendo di no o non cercavano di cacciarti via, probabilmente era tutto a posto.
Durante tutta la strada di ritorno dal caffè ho pensato al consenso e al perché il concetto reale sia così spaventoso per chiunque si impegni a non eludere la moralità moderna. Ho pensato a tutte le situazioni in cui mi sono imbattuta dove no, tecnicamente nessuno aveva commesso un crimine, e sì, tecnicamente ciò che accadeva era consensuale. Magari qualcuno aveva comunque forzato un limite fino al punto di rottura. Magari semplicemente qualcuna si era lasciata fare cose perché non era stata in grado, per qualche ragione, di dire di no.
Quel tecnicamente, ovviamente, non è qualcosa che si sente dire solo dagli uomini. Sentiamo lo stesso tecnicamente, in chiave diversa, da ragazze e donne adulte che non vogliono pensare in quei termini a ciò che è accaduto loro; anche se il fatto che è accaduto, con o senza il loro permesso, è l’intero problema.
Impariamo, così come lo fanno gli uomini, che il nostro istinto rispetto a ciò che sentiamo e viviamo non è affidabile.
Impariamo che il nostro desiderio è pericoloso e così lo soffochiamo fino a che non siamo più in grado di riconoscere la differenza tra il volere e l’essere volute.
Impariamo che la nostra sessualità è deplorevole e così la reprimiamo; diventiamo alienate dai nostri stessi corpi.
Ho detto a me stessa in passato che tecnicamente, questa o quella persona non aveva commesso nessun crimine, quindi tecnicamente non avevo alcuna ragione per sentirmi usata come sputacchiera umana, quindi tecnicamente, non mi sarei dovuta aspettare niente di diverso, e tecnicamente l’ho invitato a casa mia, quindi tecnicamente, non c’è alcun motivo per essere arrabbiate e sconvolte, perché, effettivamente, cos’è la sessualità femminile se non una serie di tecnicismi da superare?
Il problema è che tecnicamente non è abbastanza. “Beh almeno non ho assalito nessuna” non è una riferimento valido per una moralità sessuale, e non lo è mai stato. Ovviamente bisogna iniziare da qualche parte e “prova a non stuprare nessuna” è un punto di partenza come un altro, ma non ci si può fermare qui. I nostri standard per un comportamento sociale e sessuale dignitoso non dovrebbero essere definiti semplicemente da ciò che ci umilia pubblicamente o può condurci in prigione, perché non siamo dei lattanti e possiamo fare di meglio.
Questo è quello che significa cultura del consenso.
Significa aspettarsi di più – pretendere di più. Significa trattarsi reciprocamente come esseri umani complessi con facoltà di azione e desiderio, non solo una volta ogni tanto, ma continuamente. Significa adattare le nostre idee di relazione e sessualità andando oltre il processo di tirar fuori un riluttante sì da un altro essere umano.
Idealmente voi vorreste che ve lo dicessero ancora e ancora e che lo intendessero ogni volta. Non solo perché è più sexy in questo modo (anche se lo è) – il consenso non dovrebbe essere sexy per essere di fondamentale importanza – ma perché alla fine dei conti la sessualità non dovrebbe ridursi a come farla franca e definire comunque quel rapporto consensuale.
Quando la metti su questo piano, la questione è semplice. Semplice da capire. Ma ci sono moltissime idee semplici che ci hanno insegnato a non capire e molte altre che scegliamo di non capire, soprattutto quando la nostra parvenza di esseri umani dignitosi è a rischio; e questo è il punto in cui molti uomini e ragazzi che conosco sono adesso. Sono frastornati. A disagio. Combattono con lo spettro del loro agire sbagliato.
La maggior parte sono spaventati, per quanto velocemente stiano cambiando le regole per essere considerati persone meritevoli.
Parliamo ora del farla franca. Parliamo di cosa succede in una società in cui i corpi delle donne sono merce contesa dagli uomini. Parliamo di cultura dello stupro.
Nominare e degradare la cultura dello stupro è stato uno degli interventi femministi più importanti degli ultimi tempi, ma anche uno dei più controversi e fraintesi. “Cultura dello stupro” non implica semplicemente una società in cui lo stupro è routine, sebbene rimanga inconsapevolmente comune.
La cultura dello stupro descrive un processo in cui lo stupro e la molestia sessuale vengono normalizzati e scusati.
Un processo in cui l’agire sessuale delle donne viene costantemente negato e dove ci si aspetta che donne e ragazze vivano spaventate cercando di proteggersi dagli stupri. Un processo in cui si suppone che gli uomini abbiano l’autocontrollo erotico di un gibbone con un barattolo pieno di Viagra in mano, creature applaudite perché riescono a non lanciare escrementi ovunque, anziché incoraggiate ad usare il pensiero critico.
(Non ho mai capito perché non ci siano più uomini offesi per questa supposizione, perché non ci siano più uomini che discutano il fatto che possedere un pene non blocca automaticamente la capacità morale di una persona; ma poi di nuovo, questo vorrebbe dire che comportarsi con decenza non porterebbe a ottenere una medaglia d’oro ogni volta che lo si fa. Chi mai vorrebbe vivere in un mondo in cui tutto quello che serve per essere considerati dei ragazzi pregevoli è l’assenza di una misoginia attiva e violenta? Oh, già – le donne.)
Non bisogna essere vittime di stupro per risentire della cultura dello stupro. Non bisogna essere uno stupratore seriale per perpetuare la cultura dello stupro. Non bisogna essere un convinto misogino per beneficiare della cultura dello stupro.
Credo sinceramente che una spaventosa quantità di uomini etero e bisessuali stia ragionando con supposizioni radicate sul sesso e la sessualità che non hanno mai pienamente analizzato. Supposizioni rispetto a come sono le donne, rispetto a quello che fanno e a cosa hanno la capacità di volere. Supposizioni come: gli uomini vogliono sesso e le donne sono sesso. Gli uomini prendono, e le donne hanno bisogno di essere persuase a dare. Gli uomini scopano le donne; le donne permettono loro di essere scopate.
Le donne sono responsabili per aver costruito questi limiti, e se gli uomini li oltrepassano, non è colpa loro: in fondo sono ragazzi!
Quello che confonde molti uomini, inclusi uomini realizzati, di successo e sensibili, è che le donne possono e dovrebbero meritare fiducia nel fare le loro scelte. Ora come ora, uno dei principi fondamentali operanti, raramente articolato ma costantemente difeso, della cultura dello stupro è questo: il diritto degli uomini ai rapporti sessuali è importante tanto, se non di più, della libertà di scelta delle donne sui loro corpi.
Pertanto, nonostante sia compito delle donne regolare i confini della sessualità e controllarsi quando agli uomini non è richiesto farlo, esse non possono e non devono meritare fiducia per qualunque scelta che potrebbe ostacolare la possibilità degli uomini di infilarlo dove vogliono e continuare a pensare di essere delle persone decenti, anche col senno di poi.
L’agire delle donne, le loro scelte, i loro desideri potrebbero importare, ma importano molto meno, e sarà sempre così.
Il fatto è che, se accetti l’idea che una donna ha diritto assoluto di scelta nella sfera sessuale, devi anche lottare con la prospettiva che lei potrebbe non fare la scelta che vuoi tu. Se lei è veramente libera di dire no, anche se prima ha detto sì, anche se è nuda nel tuo letto, anche se siete sposati da vent’anni – potrebbe essere che non te la scopi. E questa è la causa fondamentale per cui combattere, che purtroppo troppi ragazzi scambiano per superiorità morale.
Alcune persone, perlopiù uomini, sono confuse dal fatto che le donne si sconvolgano per avances ricevute da potenziali investitori o perché devono cacciare dal loro appartamento viscidi individui con cui pensavano di fare un semplice incontro di lavoro. Del resto, quasi nessuna di queste accuse implica una penetrazione violenta da parte di uno sconosciuto.
Lo stupro viene descritto così nei film, dove il cattivo può essere identificato grazie a sospettosi peli facciali e a un’inquietante musica che lo segue. Ovviamente ciò non ha niente a che vedere con voi o i vostri amici, perché voi siete gli eroi delle vostre narrazioni, e gli eroi non stuprano.
Nel mondo reale, quando uno scandalo sessuale si dilaga come la peste in tutte le zone dominate dalla cultura americana, quasi nessuno viene direttamente minacciato di finire in prigione per violenza sessuale. Le lamentele riguardano le porcate di tutti i giorni e le stronzate che sono state tollerate per decenni di dominazione maschile: palpeggiamenti, commenti osceni, capi-ufficio che ti infastidiscono per del sesso, l’onnipresente e taciuta idea che le donne sono in primo luogo, e soprattutto, oggetto di desiderio, e non individui con propri desideri – sessuali e professionali – .
Siamo così circondat* da immagini inerenti la sessualità che è facile pensarsi liberat*. Ma la liberazione, per definizione, deve riguardare tutt*. Invece, il messaggio che ci bombardano dal marketing, dalla cultura pop e dalla pornografia mainstream insiste sul fatto che l’unico desiderio accettabile va in una unica direzione: dall’uomo verso la donna.
Si tratta di un’omogenea e disumanizzante visione del sesso eterosessuale, una semplice storia dove solo gli uomini agiscono e dove le donne sono dei punti passivi in uno spettro di “scopabilità”. Questa è licenza sessuale, non liberazione.
La libertà sessuale di oggi è piuttosto come il libero mercato di oggi, che sostanzialmente implica la libertà per le persone di potere di dettare i termini e la libertà per tutti gli altri di tacere e sorridere. Siamo arrivat* ad accettare, come in altri ambiti della nostra vita, una visione della libertà dove l’illusione della scelta è solo un errore di modestia che permette un’indicibile violenza quotidiana.
La cultura del consenso, chiamata così per la prima volta dall’attivista e critica femminista Kitty Stryker, è l’alternativa a tutto questo.
Resistere a una cultura dello stupro e dell’abuso deve implicare molto di più del semplice insistere sul diritto individuale di dire di no – sebbene sia questo un dignitoso punto di partenza e un difficile concetto da concepire per alcun persone che marciscono davanti a YouPorn. E c’è un motivo per questo.
Il motivo per cui la nozione di un reale, continuo ed entusiasta consenso sessuale è così oltraggiosa, è che l’agire sessuale femminile – inteso come desiderio attivo di per sé – è ancora spaventoso.
La nostra cultura ha ancora pochissimo spazio per l’idea che le donne e le persone queer, quando viene data loro la possibilità, vogliono e godono del sesso tanto quanto gli uomini.
Molto prima di essere grandi abbastanza da iniziare a pensare di farlo, le ragazze vengono già allenate a immaginare il sesso come qualcosa che subiranno, piuttosto che qualcosa che potrebbero dare loro piacere.
Cresciamo con l’ammonimento che la sessualità in generale e l’eterosessualità in particolare sono qualcosa di violento e pericoloso; il sesso è qualcosa che dobbiamo evitare, piuttosto che fare. Se siamo in grado di riconoscere che lo desideriamo, ci dicono che siamo persone deviate, sporche e strane.
La legione di animali da tastiera che affollano discussioni misogine sul web, chiedendosi come mai è per loro così difficile scopare, perché le donne non si approcciano mai o perché usano il sesso come strategia di scambio, dovrebbero ricordarsi che non sono state le donne a inventarsi quelle regole.
La maggior parte di noi è esperta nel soffocare i propri desideri, perché trattenere la sessualità è l’unico potere sociale che ci è permesso – e anche questo permesso viene dato con riluttanza da una cultura che ci chiama troie, stronze e puttane quando non diciamo di no, ma che non è affidabile nel crederci quando lo facciamo.
Anche questa è cultura dello stupro.
La cultura dello stupro non è demonizzazione degli uomini. È controllo della sessualità femminile. È contro il sesso e contro il piacere. Ci insegna a negare i nostri desideri come strategia di adattamento per sopravvivere in un mondo sessista.
C’è un mondo di cose che una ragazza per bene non dovrebbe fare. Le ragazze per bene sono sexy, ma non sessuali. Le ragazze per bene parlano di vittimismo, se devono, ma non di desiderio. Le ragazze per bene sanno che il consenso sessuale è merce di scambio e che non dobbiamo essere troppo libere nelle nostre preferenze per non svalutare la moneta collettiva con la quale viene misurato il nostro valore sociale.
Se diamo l’impressione che potrebbe piacerci il sesso, o che preferiamo decidere noi stesse chi, come e quando scopare, diventiamo delle disgustose troie che alla fine se la meritano tutta la violenza che subiscono.
Questo è per certo ciò che alcuni uomini mi dicono ogni giorno sul web e se è lo stesso anche per voi, vorrei non avere questa conversazione secondo i loro termini. Spero vivamente di non perdere altro tempo nella mia vita preziosa di quanto non sia strettamente necessario per smascherare quei cripto-darwiniani psico-coglioni che sostengono che ciò che le donne realmente vogliono è di essere tenute ferme e sbattute ripetutamente fino a che non la smettono di mentire riguardo al divario salariale e iniziano a fare figli cristiani.
È il tipo di muffa invadente, ipocrita e sconnessa che cresce soltanto con l’ossigeno di cui la nutri, ed è per questo che le modalità di coinvolgimento devono cambiare. Questo è il motivo per cui è necessario parlare – ora più che mai – di agire, di consenso, e sì, di desiderio.
Ecco la seconda storia scomoda che vi promettevo. Un paio di settimane fa ero a letto con un amico, e dopo che le cose erano progredite e si erano concluse, lui ha articolato un pigro apprezzamento rispetto a quanto gli era parso godessi durante l’atto. “Ti è veramente piaciuto tutto questo – disse – godevi davvero!”. Era veramente sorpreso. Io ero sorpresa che lui fosse sorpreso, anche se non era nulla di nuovo per me.
Questo apprezzamento si interscambia spesso con il disgusto – del resto, ci viene ancora insegnato che le donne che desiderano scopare sono in qualche modo sporche, inutili e meno preziose. È sicuramente quello che ho imparato io.
La mia personale esperienza è che gli uomini che si sorprendono di più del vostro entusiasmo sessuale sono i primi a trovarlo sgradevole, a scomparire quando qualcuna si rivela essere una donna che ha gestito la propria sessualità abbastanza da esprimerla.
La maggior parte degli uomini che si sono sorpresi del mio desiderio velocemente si sono ritrovati con il loro interesse diminuito. Se non dovevano inseguirmi, se non mi fingevo riluttante, se mi annoiava il gioco di tenerli sospesi al terzo appuntamento perché sono arrapata, impegnata e gli appuntamenti sono strani e preferisco semplicemente andare a letto e scoprire se i nostri corpi si piacciono… beh, automaticamente vincevo un accesso diretto alla friendzone, spesso con un breve discorso di commiato su quanto sono figa e diversa da tutte le altre.
Ovviamente, il consenso significa anche questo. Nessuno deve continuare una relazione amorosa se non vuole, per nessuna ragione. Infatti, nessuna ragione è richiesta: “Non voglio” è abbastanza. E non sto mica criticando la friendzone; è un posto eccitante da visitare, nessuno si aspetta che tu indossi biancheria particolare e tutti i giri sono gratis.
È però recentemente successo che la mia personale esperienza sia stata costellata di uomini che si sono chiamati fuori non appena hanno realizzato che non si trattava della tradizionale relazione predatore/preda. Non appena rendevo chiaro che li volevo anche io. Dichiarare apertamente cosa volevo, al di là che l’abbia ottenuto o meno, era per loro intimidatorio, come se mi fossi messa improvvisamente una maschera da clown o avessi impugnato una frusta mostrando un’espressione speranzosa.
Mi capita di essere convenzionale in maniera imbarazzante, ma pure io so che il consenso non è una perversione. Come possiamo discutere di consenso quando il desiderio femminile attivo fa passare la voglia all’uomo?
L’idea che una donna possa effettivamente volere e godere di sesso eterosessuale ci sta mettendo ancora tempo a (ahem!) penetrare. Anche le donne crescono imparando che il loro stesso desiderio è sporco e pericoloso. Lo comprimiamo ed estirpiamo, anche in quei momenti. Impariamo che per essere rispettate, anche su un livello intimo, a tu-per-tu, dobbiamo a volte fingere riluttanza, lasciarci inseguire e convincere, e questo ovviamente complica un situazione già complessa.
Se vi è stato detto che le donne attraenti spesso agiscono come se non volessero scoparvi, come potete rispettare i desideri di quelle che veramente non vogliono fare sesso con voi?
Se avete erotizzato l’esitazione femminile, come potete improvvisamente passare a una cultura di reale consenso, dove la cosa giusta da fare quando qualcuna ti respinge è lasciarla andare?
Lo chiedo retoricamente, perché ovviamente potete fraintendere il consenso come farebbe un essere umano decente, ma questo non significa non sia complicato. Il disastro di una moderna eterosessualità che ancora ci insegna che la sincerità e l’onesta ammazzano un’erezione e che “le cose sono meglio con un po’ di mistero”, lascia non poche di noi così vinte dai nostri complessi e problemi che non riusciamo a nominare l’abuso per quello che è, e ancora meno il consenso.
E questo succede perché qualsiasi dimostrazione attiva di desiderio femminile ha ancora il potere di sconvolgere su un livello politico e spaventare su un livello personale.
Non intendo suggerire che tutti i giovani uomini si aspettino che tutte le donne si comportino come innocui cerbiatti a letto. Nella mia esperienza molti di loro si aspettano certe prove di piacere, e, di sicuro, si aspettano una performance. L’orgasmo femminile è ora riconosciuto, quasi atteso, benché stia al suo posto, donato per il beneficio e la gloria dei nostri partner, e non per noi – da qui l’ansia riguardo alla possibilità o meno che la donna possa raggiungerlo e la pressione a fingere piuttosto che offendere l’orgoglio dell’altro.
Quando si tratta di soddisfazione maschile, anche il piacere dell’altra persona è troppo spesso dato per scontato essere parte del servizio.
***
Considerando quello che sta succedendo nel mondo al di là delle nostre camere da letto, può sembrare il momento sbagliato per parlare di desiderio, a parte il fatto che francamente, cazzo se è divertente!
Molte di noi potrebbero essere tentate di calmarsi, visto che non sono state forzate a mettere al mondo un essere umano contro il loro volere perché incapaci di ottenere il permesso dal padre di terminare la gravidanza.
Potrebbe sembrare di chiedere troppo voler essere trattate come esseri umani con una completa e uguale facoltà di azione, quando realizziamo improvvisamente la possibilità effettiva di venire licenziate dal puritano che rilascia le nostre buste paga, solo perché vogliamo sterilizzare i nostri buchi del peccato con la farsa della scelta contraccettiva.
È difficile pensare agli orizzonti del desiderio quanto la metà inferiore del tuo corpo sta soffrendo per la spirale che ti sei appena inserita, sperando che avrà vita più lunga del neo-fascismo anche se la tua salute di sicuro non la avrà.
Sarebbe allettante zittire il desiderio, il piacere e la continenza sessuale femminile, circondate come già siamo da insidiosi patriarchi e parsimoniosi uomini anziani che si arrogano il diritto di nascita di afferrare l’intero mondo per la vagina.
Ma se non parliamo di desiderio, di azione, di consenso, allora combattiamo questa battaglia in ritirata.
È una battaglia reale, che condiziona la nostra autonomia e autodeterminazione, la nostra economia e il nostro potere politico. La battaglia per il desiderio e l’agire femminile va ben oltre la camera da letto, ed è una battaglia che stiamo tutti perdendo.
È impossibile “vincere” il sesso. L’erotismo fascista dei bambini-uomini frustrati di oggi immagina la sessualità come una battaglia combattuta sui corpi delle donne, come un atto di dominazione e di conquista da cui un giorno emergeranno come re. Ma così come il consenso non è una cosa, la sessualità in sé non è il tipo di battaglia che qualcuno può vincere o perdere.
L’idea di una battaglia dei sessi, combattuta nelle camere da letto e nelle cucine, attorno ai tavoli dei ristoranti in giro per il mondo, nasconde la verità che, o tutti vincono o nessuno vince.
Se vogliamo mutare radicalmente questa battaglia, dobbiamo ripensare alla nostra concezione del consenso. Dobbiamo fare i conti con l’idea del consenso come qualcosa di continuo e negoziabile, piuttosto che del consenso come un oggetto, un contratto temporaneo che può essere falsificato e discusso in corte.
Se gli uomini e le donne vogliono dare una chance al vivere in questo strano nuovo mondo insieme senza distruggersi reciprocamente, il consenso dovrà essere qualcosa di più.
La nostra memoria culturale collettiva è ancora macchiata con sospettose chiazze di moralità sessuali recenti, e alcune di queste sono difficili da rimuovere dalle lenzuola dove dormiamo.
Sentiamo spesso dire che era legale fino a poco fa stuprare la propria moglie; sposandosi, lei aveva già acconsentito a tutto quello lui poteva farle, eccetto l’omicidio. Lei aveva potuto dire di sì, una volta, e quel sì valeva per tutta la sua vita. Molti di noi si sono mossi oltre l’analisi dell’idea che puoi effettivamente dire di no, anche se hai detto di sì in passato.
Ma il consenso è molto di più dell’assenza di un no. E’ la possibilità di un sì vero. È la presenza di un agire umano. È l’orizzonte del desiderio.
Sembra quasi che stiamo barcollando, come società, sul margine di un potente cambiamento – ma potremmo semplicemente collassare nelle certezze violente e meschine del passato.
Potremmo smettere di parlare di fermare i rituali di violenza sessuale nei campus. Potremmo smettere di insistere sull’importanza del consenso come fondamento per il piacere e il desiderio. Potremmo smettere di denunciare i nostri stupratori e molestatori.
Potremmo smettere di parlare delle molestie di genere come modalità operativa nella Silicon Valley, a Hollywood, nelle organizzazioni politiche, nei media, nelle nostre case, nelle nostre scuole e comunità.
Potremmo bullizzare, costringere e isolare le sopravvissute, fino a che la pressione diventa troppa per riuscire a parlare, fino a che l’effetto di un’accusa di stupro sulla vita di un uomo viene considerato più importante dell’effetto dello stesso stupro su una donna.
Oppure potremmo fare un passo verso l’ignoto. Potremmo provare qualcosa di nuovo. Potremmo provare a essere meglio di quanto siamo mai stati.
Potremmo fare meglio del semplice provare a non ficcarci nei guai, del provare a non commettere attivamente uno stupro o una molestia. Potremmo iniziare a parlare di desiderio e di consenso, come se importassero.
È importante che gli stupratori abbiano paura di nuovo… ma questo non è il modo di finire la conversazione. Per il bene di tutti noi – per i nostri corpi, le nostre vite e le nostre relazioni – dobbiamo fare di meglio, e non solo “tecnicamente”.