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Le mestruazioni dolorose non sono normali: un’attivista ci racconta l’endometriosi

Intervista a Vania Mento, attivista per l'endometriosi, dopo il suo intervento su Radio Globo, dove è stato dichiarato che le donne che non vanno al lavoro a causa delle mestruazioni "non sono degne di essere donne". Ecco ciò che c'è da sapere su una malattia tanto diffusa quanto poco conosciuta

Vania Mento, testimonial della Fondazione Italiana Endometriosi. Copyright: Vania Mento

Una donna che quando ha le mestruazioni dolorose sceglie di non andare al lavoro, non è degna di essere chiamata donna. È questo il grave messaggio passato durante una puntata del programma The Morning Show di Radio Globo, già nota su queste pagine per ripetuti episodi di sessismo, contro cui si era espressa anche l’ex vicepresidente del Senato Valeria Fedeli. Ma non è finita qui: Vania Mento, una nota attivista intervenuta nel programma nei giorni seguenti per spiegare cosa fosse l’endometriosi e quanto questa malattia potesse essere invalidante durante le mestruazioni, è stata attaccata e offesa dai conduttori.

Leggendo la sua denuncia dell’accaduto sui social, abbiamo deciso di intervistare Vania, coraggiosa e inarrestabile 47enne dai capelli rosa, che vive a Vercelli ed è da anni una testimonial della Fondazione italiana endometriosi. Ci è sembrato importante parlarle non solo per denunciare questa vicenda, ma per capire meglio quanto non sappiamo sull’endometriosi, malattia femminile che, pur essendo molto diffusa, è ancora poco conosciuta.

 

Vania, andiamo con ordine: innanzitutto ci puoi spiegare che cos’è l’endometriosi?

«L’endometriosi è una malattia cronica in cui il rivestimento interno della parete dell’utero, che si chiama endometrio, fuoriesce dalla sua sede naturale e va a infiltrarsi negli altri organi, prima quelli più vicini, poi, se non si interviene, si può diffondere ovunque. Una donna su dieci, in media, è affetta di endometriosi. In Italia ne soffrono tre milioni di donne, 176 milioni nel mondo.

L’endometrio fuoriuscito dall’utero diventa una massa che, se non individuata in tempo, può essere rimossa solo con un intervento chirurgico. Se si arriva troppo tardi, l’unica soluzione è l’amputazione degli organi in cui ci sono state infiltrazioni. Se mi avessero diagnosticato la malattia in tempo, anche io avrei evitato molti interventi. Purtroppo nella maggior parte dei casi la malattia viene ancora diagnosticata tardivamente, creando sofferenze inutili alle donne».

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“Medical gallery of Blausen Medical 2014”. WikiJournal of Medicine 1 (2). DOI:10.15347/wjm/2014.010. ISSN 2002-4436. – CC BY-SA 3.0,

 

Puoi raccontarci la tua storia? Come sei diventata un’attivista per la sensibilizzazione sull’endometriosi?

«Il giorno del mio 40esimo compleanno ho avuto la diagnosi certa della mia endometriosi, dopo anni di referti sbagliati e di sofferenze. I dolori erano iniziati durante il ciclo mestruale, poi ho iniziato a stare male ogni volta che defecavo. Soffrivo tutti i giorni, avevo emorragie e febbre continue, dolori ai legamenti e ai nervi sacrali, facevo fatica a camminare e anche a star seduta.

Dopo aver saputo finalmente qual era la causa, non mi son fatta operare subito. Per un paio di mesi ho fatto finta di niente: non riuscivo a credere e accettare di avere questa malattia. Ma in quel periodo sono dovuta andare al pronto soccorso più volte. Avevo dolori così lancinanti che vedevo annebbiato. Mi hanno fatto persino una tac al cervello perché mi credevano pazza.

Alla fine il mio compagno mi ha convinto a rivolgermi al centro specializzato per l’intervento chirurgico, nella clinica Pederzoli di Peschiera del Garda. Dopo la prima operazione ne ho subite altri sei, mi hanno dovuto inserire un neuromodulatore sacrale che stimola quello che rimane dei miei nervi: sono così lesionati dall’endometriosi che il cervello non riceve più alcuni stimoli che dovrebbero essere automatici.

Il mio attivismo, però, non è iniziato dopo gli interventi ma dopo il mio licenziamento. Ho chiesto il part-time perché non riuscivo più a sopportare una giornata lavorativa di 8 ore. Per anni, da quando ho iniziato a stare male, ho subito un mobbing incredibile. Una volta il mio capo mi ha persino detto: “Prendi questa malattia troppo sul serio”. Mi hanno chiusa per mesi in un archivio a riordinare cartelle e documenti, perché non mi volevano intorno. Mi facevano dispetti e mi prendevano in giro. Mi facevano sentire in colpa perché stavo male. Alla fine, nonostante la mia invalidità all’80% e un contratto a tempo indeterminato, sono stata licenziata.

Son stata malissimo e ho iniziato a soffrire gravemente di depressione. Mi son resa conto  che dovevo iniziare a fare qualcosa per reagire, ho capito che era arrivato il momento di fare qualcosa, perché il trattamento che ho subito volevo risparmiarlo ad altre donne: se grazie al mio impegno lo risparmierò anche a una sola donna, per me sarebbe già una vittoria.

Per far sentire la mia voce ho usato un’arma potentissima, l’unica che avevo a disposizione essendo una perfetta sconosciuta: Facebook. Ho iniziato a scrivere dei post raccontando la mia storia e uno in particolare ha ricevuto oltre 65mila like e 30mila condivisioni. Da quel momento sono entrata a far parte della Fondazione italiana endometriosi, che ha il più grande gruppo Facebook in Italia che dà supporto alle donne affette da endometriosi. Sono stata anche invitata dalla Consigliera di Parità della provincia di Vercelli, Lella Bassiniana, al tavolo informativo sull’endometriosi che ha costituito. Insieme andiamo nelle scuole, in carcere, nelle caserme, accompagnate dall’Asl e dalla primaria di Ginecologia dell’ospedale di Vercelli, Nicoletta Vendola».

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Un ritratto dell’attivista per l’endometriosi Vania Mento. Copyright: Vania Mento

 

Il vostro impegno è prezioso, perché si sa ancora poco di questa malattia e spesso vengono divulgate notizie fuorvianti e dannose, come ad esempio è successo a Radio Globo. Ci racconti come sei stata coinvolta in questa vicenda?

«Mercoledì 27 novembre alcune persone mi hanno segnalato la puntata della trasmissione The Morning Show di Radio Globo, in cui la co-conduttrice Carmen di Pietro affermava che le donne che per i dolori mestruali non vanno al lavoro non sono degne di essere donne. Un’ascoltatrice è intervenuta con una telefonata in diretta dicendo di aver subito un intervento alle ovaie che le causava emorragie frequenti e quindi aveva il diritto quando stava male per via delle mestruazioni di assentarsi dal lavoro. Ne è nata un’accesa discussione finita con insulti reciproci: Carmen di Pietro continuava a dirle di prendere una pillola e di andare a lavorare [ma ha aggiunto anche: “Stai zitta, gallina”, e: “Questa è matta”, come si può ascoltare nel video qua sotto, ndr].

Così la sera, ho inviato un messaggio alla pagina Facebook della Radio, presentandomi come testimonial della Fondazione italiana endometriosi e spiegando educatamente che esistono malattie che limitano la vita di una donna, rendendola invalidante. Poco dopo mi è arrivato l’invito a telefonare in diretta la mattina seguente e ho accettato. Ho cercato in tutti i modi di spiegare cosa fosse l’endometriosi, ma mi rispondevano con frasi come: “Per lei è una malattia signora mia, per me non lo è”, “Sta dicendo cavolate”.

Di Pietro e un altro conduttore hanno affermato che se si è disabili non si dovrebbe lavorare nel pubblico, perché non è giusto contribuire con le tasse a pagare uno stipendio per chi lavora meno, un’affermazione gravissima e anticostituzionale. Cercavano di non farmi parlare, poi mi hanno messo giù il telefono. Ho deciso di raccontare su Facebook cosa mi era successo durante il programma, pubblicando l’audio della telefonata [ascoltabile integralmente nel video qui sotto, ndr].

La mattina dopo Radio Globo mi ha contattato per chiedermi di intervenire di nuovo in trasmissione. Prima che mi dessero la parola, avevano già iniziato a prendermi in giro, facendo battute sul mio nome. Una volta in diretta, gli ho detto che avevano offeso tre milioni di donne che soffrono di endometriosi e anche le persone disabili. Carmen di Pietro mi ha risposto che non era vero, ma il peggio l’ha fatto uno dei conduttori, minacciandomi di querela, mentre continuavano ad attaccarmi senza lasciarmi parlare [audio integrale della telefonata nel video seguente, ndr]».

 

Che reazioni ha scatenato tutto questo? Ci son state altre proteste, oltre la tua? Sono arrivate delle scuse?

«Questa vicenda ha scatenato una rivolta nel web: lo stesso pomeriggio due senatrici del M5s hanno emesso un comunicato in cui condannavano il comportamento di Radio Globo e di Carmen di Pietro e manifestavano la loro vicinanza alle donne affette da endometriosi.

La notizia ha fatto il giro di internet, su giornali e social. Anche molti medici sono intervenuti, facendo sentire la loro vicinanza con messaggi di solidarietà e stima. Carmen di Pietro, da sola, attraverso un’agenzia di stampa e persino la partecipazione a una puntata di Pomeriggio 5 con Barbara d’Urso, ha chiesto scusa alle donne affette da endometriosi, dicendo che non era a conoscenza di questa malattia, come se questa fosse una giustificazione.

A me, però, di scuse non ne sono mai arrivate. Vorrei delle scuse personali perché sono io che sono stata derisa in diretta per due giorni di seguito e non le vorrei solo da Carmen di Pietro ma anche dal conduttore che mi ha attaccato e dalla redazione di Radio Globo. Mi sono comportata in modo educato e penso che nessuna persona si meriti il trattamento che ho avuto io».

 

Come spieghi che ancora si sappia così poco dell’endometriosi? Credi che uno dei motivi possa essere il sessismo nel mondo della medicina che ancora non ha trovato cure a disturbi femminili come l’endometriosi e la fibromialgia?

«L’endometriosi esiste da sempre, ne soffriva anche Marilyn Monroe ad esempio, ma se ne è iniziato a parlare solo di recente. Fino a vent’anni fa il mondo medico e la cultura in generale sottovalutavano e sminuivano certi disturbi femminili. Familiari, amici, dottori, sostenevano che era normale per una donna soffrire per le mestruazioni: anche io mi son sentita dire: “Il ciclo ce l’hanno tutte, non sei l’unica”, o: “Cosa vuoi che sia”. Non è vero: le mestruazioni non dovrebbero mai essere così dolorose, se lo sono vuol dire che c’è qualcosa che non va e bisogna fare dei controlli.

Se si indaga sulla storia dell’endometriosi, quando ancora questa malattia non era stata scoperta e non aveva un nome, scopriamo che le donne che ne soffrivano venivano rinchiuse in una stanza perché considerate pazze. Questa malattia, come molti altri disturbi femminili di cui non si conosceva l’origine, veniva attribuita all’isteria. Sono sicura che se fosse stata una malattia maschile non sarebbe stata così sottovalutata.

Purtroppo si tratta ancora di una malattia tabù perché riguarda l’apparato genitale di una donna e tante volte sono le stesse donne che hanno problemi a parlarne. Lo percepisco anche tra i miei contatti: in tante ancora si imbarazzano a chiamare la vagina e le mestruazioni con il loro nome. Dico sempre loro che non dobbiamo mai e poi mai vergognarci del nostro corpo. La visita ginecologica dovrebbe essere una visita normalissima, come quella dall’ortopedico, dal dentista. Bisogna entrare in quest’ottica, cambiare mentalità. Tante donne per vergogna e paura si trascurano e la prevenzione è fondamentale in questa malattia, perché è l’unica opzione che abbiamo per limitare i danni».

 

Quali pensi possano essere le soluzioni?

«L’unica arma che abbiamo è la prevenzione. Quindi la sensibilizzazione su questa malattia è fondamentale: le future donne devono sapere che esiste l’endometriosi e iniziare a fare controlli ginecologici fin dall’adolescenza.

Altra cosa importante è la ricerca scientifica: non si sa ancora perché viene l’endometriosi e non esiste una cura definitiva.

Lottiamo anche col sistema sanitario. Dal 2017 abbiamo ottenuto un’esenzione specifica (la 063) che però copre solo pochissime cose: due visite all’anno e pochi esami, solo per il terzo e quarto stadio della malattia. Speriamo che siano compresi prossimamente anche gli altri stadi e che l’endometriosi venga finalmente riconosciuta come malattia invalidante nelle tabelle di invalidità dell’Inps, perché ora l’invalidità non viene riconosciuta per la malattia in sé, ma solo per le conseguenze della malattia, ad esempio in caso di interventi mutilanti o per la necessità di vivere con i neuromodulatori, come nel mio caso.

Insistiamo perché nei posti di lavoro ci sia consapevolezza dell’esistenza di questa malattia, per comprendere che chi ha l’endometriosi potrebbe aver bisogno di assentarsi. Bisogna far conoscere questo disturbo, perché, ora come ora, per la maggior parte delle persone l’endometriosi rientra nella definizione generica di “mal di pancia”, la stessa che viene data in caso di mestruazioni dolorose, che, ripeto, non dovrebbero essere considerate una cosa normale».

 

Credi che sia giusto che le donne che soffrono di dismenorrea, cioè di mestruazioni estremamente dolorose, possano assentarsi dal lavoro?

«Da donna affetta di endometriosi, io dico di sì, perché so cosa vuol dire avere una mestruazione invalidante. Io morivo dal dolore, mi mettevo uno straccio in bocca per non urlare, mi facevo cinque iniezioni di Toradol al giorno.

Però ovviamente è una domanda difficile e spinosa: molte persone non sono d’accordo perché c’è chi potrebbe approfittarsene. Ma quando si ha la certificazione di un disturbo che provoca mestruazioni dolorose è necessario tenerne conto, perché possono davvero configurarsi come un’invalidità.

Ci sono tanti pregiudizi in merito. C’è ancora la convinzione che se una persona è malata o invalida debba apparire sciatta, consumata. Io, invece, come altre, ci tengo al mio aspetto, ci tengo a presentarmi curata, e quindi spesso quando mi conoscono mi dicono: “È impossibile che tu stia male”. Vengono considerate invalidità e disabilità solo quelle visibili. Questo comporta una mancanza di credibilità delle donne che hanno problemi come l’endometriosi.

 

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“Solo perché non puoi vederla non vuol dire che non esista. Se l’endometriosi fosse visibile apparirebbe così” – Immagine creata per il mese di sensibilizzazione sull’endometriosi

A tutte le donne che si trovano in questa situazione, che sanno di stare male ma non vengono credute, vorrei dire di fare una visita specializzata da un* ginecolog* che conosce l’endometriosi, che ha esperienza in questo campo. Se si ha un dubbio, non si deve aver paura di farsi visitare. Spesso il timore più grande quando si pensa di avere l’endometriosi è di non poter avere figli. Non è sempre vero: i centri specializzati possono limitare i danni ed evitare di asportare l’utero quando si è ancora in tempo.

Ricordiamoci che non siamo nate per sopportare il dolore solo perché siamo donne. Il dolore non è normale e se c’è, vuol dire che qualcosa non va. Non ho mai creduto alla storia di Adamo ed Eva: noi donne non siamo predisposte alla sofferenza e abbiamo il diritto di vivere la nostra vita nel migliore dei modi».