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Maschilisti militanti: come funziona la loro propaganda sul web

"Non sono maschilista ma...": decostruiamo le rivendicazioni di chi attacca sistematicamente il femminismo e, fingendo buone intenzioni, giustifica la violenza maschile

maschilismo militante
Gaston dal film d’animazione “La Bella e la Bestia”, uno dei personaggi più maschilisti della Disney

Negli ultimi mesi si sta parlando (forse troppo) di alcuni video pubblicati su canali YouTube con un discreto seguito, incentrati su temi come “i pericoli del neo-femminismo“, “misandria in aumento”, “la deresponsabilizzazione femminile”, “anche le donne uccidono”, e molte altre variazioni sul tema.

Il dibattito che si è scatenato attraverso la diffusione di questi video, ci offre l’opportunità di riflettere su quali siano le tecniche e i meccanismi con cui nasce e si alimenta la propaganda sessista sul web, che spesso non è spudorata, ma si nasconde dietro l’ipocrisia e la malafede del grande classico «non sono maschilista, ma…».

Il maschilismo militante

La nostra è una cultura profondamente maschilista, e lo è nonostante da decenni teorie e pratiche femministe abbiano cercato di cambiarla. Esiste quindi diffuso nella società un discorso maschilista mascherato da buon senso e a volte perfino da buone intenzioni: è il caso, per esempio, di chi “consiglia” alle donne di attenersi al ruolo sociale che le viene assegnato per non incorrere nella “rabbia” degli uomini («Le molestie sono sbagliate, ma i maschi sono così, dovete stare attente a non provocarli»).

Oppure il maschilismo viene espresso in maniera rozza e triviale, il che favorisce la tendenza a considerarlo un retaggio del passato o a semplice “stortura” di una società altrimenti egualitaria e libera («Ormai c’è la parità, non è questione di sessismo, è solo quel tale individuo che è un troglodita ignorante»).

Accanto a questo, è nata però negli ultimi decenni una militanza esplicitamente maschilista, non solo diffusa tra i movimenti nazifascisti e fondamentalisti religiosi (con i quali condivide idee, pratiche e spesso spazi), ma anche precisamente mirata  e formata, decisa a contrastare la minima avanzata del movimento femminista e preservare il dominio dell’uomo sulla donna.

Ogni espressione maschilista ha, infatti, questa funzione, al di là che sia esplicita o implicita, consapevole o meno. È necessario tenere conto di questo per avere una visione il più possibile lucida del fenomeno, senza lasciarsi ingannare dall’apparente spontaneità o dalle giustificazioni di chi lo porta avanti.

I movimenti maschilisti negli ultimi anni sono stati inclusi nella definizione di MRA (Men’s Right Activism, “attivismo per i diritti degli uomini”), termine generico che comprende una varietà di posizioni: atei, razionalisti e ultraliberisti, nazifascisti, fondamentalisti cristiani ma anche persone che si presentano falsamente come “moderate” per darsi un’aura di rispettabilità di fronte a frange più estreme, come ad esempio gli Incel (da involuntary celibate, “celibi involontari”), rancorosi uomini che, sentendosi rifiutati dal genere femminile, riversano la loro rabbia contro i “maschi alfa” e contro le donne che preferirebbero questi ultimi a loro.

Mentre gli estremisti come gli Incel si esprimono soprattutto nel web, nei forum dove alimentano la loro rabbia – che tuttavia è spesso sfociata in stragi rivendicate politicamente come antifemministe – il resto del movimento che si spaccia come “moderato” si esprime sia in diversi siti internet di riferimento – che non vogliamo pubblicizzare – che in occasioni pubbliche, per lo più convegni a porte chiuse.

Non mancano, però, anche azioni volte ad attirare l’attenzione mediatica, come le performance “spettacolari” di alcuni gruppi di padri separati che mirano a veicolare messaggi minacciosi nei confronti delle donne. Infine, meno visibile ma molto efficace è l’attività di lobbying che punta a convincere i politici a modificare le normative – in particolare quelle sulla famiglia – per ristabilire la posizione dominante della figura del marito (in Italia ne abbiamo avuto un esempio coi tentativi portati avanti dal senatore della Lega Pillon).

In molti casi, specialmente nella recente crescita della propaganda maschilista sul web, bisogna anche considerare che si tratta di un fenomeno sistematico, che si è intrecciato con la generale strategia di estrema destra dell’alt-right e con essa condivide una diffusa rete di scambio e formazione che fornisce tecniche e argomenti di discussione.

L’ideologia maschilista, infatti, è pienamente inserita nel quadro del pensiero reazionario, quello che nega l’esistenza dei rapporti di dominio (di genere, razza, classe e così via) e contesta il diritto delle persone oppresse a combatterli.

Per questo articolo, d’ora in poi, userò il termine “maschilista” intendendo le persone e i concetti che sono consapevolmente utilizzati, in modo militante, per difendere il dominio maschile. Inoltre, nelle poche occasioni che li ho usati, i termini “maschio” e “uomo” sono intercambiabili e indicano i maschi cis.

Teorie maschiliste: «Il femminismo estremista»

Buona parte del discorso maschilista si basa su due idee principali.

La prima è quella del femminismo che avrebbe “esagerato”, che starebbe andando “troppo lontano”, evocando verso di esso lo stesso clima di sospetto e paura che circonda nei media di massa certe scoperte o esperimenti scientifici che sembrano essersi spinti “troppo in là”. In questo caso, il femminismo viene dipinto come frutto “malato” della modernità, una novità da valutare e analizzare con cautela dal punto di vista sociale (partendo dal presupposto che per i maschilisti la società è ovviamente fondata sul patriarcato e sulla centralità del soggetto maschile).

Secondo questo ragionamento distorto, quindi, la possibilità per una donna di decidere autonomamente sulla propria vita non è considerata un diritto in sé, ma viene subordinata al rispetto di valori che vengono presentati come tradizionali e “universali” mentre sono, al contrario, fondamenti storici di un’oppressione di genere.

Teorie maschiliste: «Il maschio minacciato»

La seconda idea fondante della militanza maschilista è la cosiddetta “crisi della mascolinità”, un tema che si ripropone ciclicamente ogni volta che il dominio maschile si sente in pericolo.

Dai tempi della Rivoluzione francese (periodo storico in cui ha iniziato a formarsi quel pensiero politico di rivendicazione femminile che è il preludio del femminismo moderno), libri e saggi sono stati scritti per lamentare la “femminilizzazione” del maschio, la demolizione della sua identità, la ridicolizzazione del suo ruolo tradizionale. Messaggi catastrofisti mai rivelatisi fondati – purtroppo, diremmo noi – ma che hanno in definitiva l’effetto di giustificare e incentivare forme di violenza e minaccia nei confronti delle donne che scelgono di lottare per la propria libertà.

Questi due temi funzionano – fanno presa sulle persone – perché si richiamano all’idea di un passato mitico nel quale “le cose funzionavano come dovevano”, e non c’erano problemi. Quello della nostalgia per il passato è un discorso che ha sempre caratterizzato la modernità, ma che oggi, attraverso i social e la possibilità di riviverne alcuni aspetti (attraverso video e foto d’epoca e attualizzazioni in film e serie tv) sta avendo grande risalto.

“Anche gli uomini hanno problemi” | Vignetta di Ben Waters

Teorie maschiliste: la nostalgia per il passato

Questa età dell’oro immaginaria – quella dove tutto era più “vero”: il cibo era più buono, la musica era migliore, i rapporti erano più sinceri, e i soldi valevano di più – è in realtà frutto di una rimozione collettiva. Gli anni ‘80 e ‘90, per fare un esempio, sono proprio quelli in cui la democrazia sociale crolla, la politica (sono i tempi dei liberisti Thatcher e Reagan e dell’ascesa televisiva di Berlusconi) inizia sempre più chiaramente a minare gli statuti dei lavoratori, la sanità e l’istruzione pubblica.

In generale, comunque, non esiste un periodo del passato privo di contraddizioni e conflitti che ne hanno messo in discussione i valori e le gerarchie.

Ma la rimozione è ancora più efficace se riguarda una condizione considerata “naturale” come la sottomissione della donna: diventa quindi ancora più immediato considerare magari il secondo dopoguerra come un periodo in cui si stava meglio, anche se lo stupro era ancora considerato reato contro il decoro e non la persona, l’onore era un’attenuante per l’omicidio e aborto e divorzio erano illegali.

I maschilisti di cui parliamo dicono di essere in lotta contro gli stereotipi che riguardano gli uomini: la pretesa che l’uomo debba accollarsi i lavori più pesanti e pericolosi, debba mostrarsi anaffettivo e sempre pronto all’approccio. Tutte osservazioni vere, ma con le loro azioni i maschilisti cercano, al contrario, di ristabilire ruoli molto definiti di genere: se, come dicono alcuni di loro, la società discrimina anche i maschi, dovrebbero rivolgere la loro attività contro le istituzioni che regolano il genere e i rapporti tra i sessi, cioè l’eteronormatività, l’amore romantico, il matrimonio.

Tutt’altro: il loro discorso diventa invece quello di voler “liberare la vera natura” del maschio, che si suppone essere razionale, progettuale, ma anche aggressiva, conquistatrice. E la loro insoddisfazione non si trasforma in una militanza verso la decostruzione di un sistema patriarcale in cui non vogliono più identificarsi (un sistema che certo disciplina anche il corpo e le azioni del maschio), ma al contrario, viene stimolata una rabbia tendenzialmente cieca e livorosa verso le donne e soprattutto le femministe.

Teorie maschiliste: «Il femminismo domina i media»

Un altro meccanismo mistificatorio è quello che cerca di instillare la convinzione che i mezzi di comunicazione di massa siano gestiti da femministe o succubi di esse.

In altre parole, il fatto che – con fatica – il movimento femminista stia riuscendo ad affermare alcuni temi nel discorso comune e nelle opere culturali, e che il mainstream (cioè il pensiero dominante) cerchi di sfruttare e cooptare questi temi per il proprio profitto, viene utilizzato per mostrare che “le femministe sono dappertutto” e che oscurano qualunque altro discorso.

Anche questa è una tecnica consolidata molto utilizzata, ad esempio, quando si cerca di fomentare razzismo: nel secondo dopoguerra gli statunitensi bianchi lamentavano l’invadenza delle persone afroamericane dicendo di sentirsi circondati e impossibilitati a esprimere se stessi.

I maschilisti, avendo accesso privilegiato a tantissime piattaforme di espressione, dalla
televisione, alla radio, ai social, al cinema, la stampa e l’editoria, nelle quali occupano posti
di dominio sia come dirigenti che come autori, utilizzano questi spazi per lamentarsi della fantomatica dittatura del “politicamente corretto”.

Questo è un concetto creato per silenziare le lotte dei soggetti oppressi, con un’immagine che riduce le richieste di un linguaggio non discriminatorio a fastidiose ossessioni per il bon ton che minerebbero la libertà di espressione.

Anche in questo caso, si tratta di un rovesciamento della realtà: la “libertà” di usare espressioni violente e minacciose viene messa sullo stesso piano – se non considerata più importante – del diritto alla sicurezza e all’autodeterminazione delle persone.

I maschilisti manipolano il concetto di femminismo

Abbiamo scelto di non nominare direttamente i movimenti e le persone maschiliste a cui ci riferiamo, sia per evitare di pubblicizzarle, sia perché sappiamo che una delle loro tattiche è cercare un confronto diretto e personale nel quale l’unico obiettivo è esaurire le energie mentali dell’altr*.

I sessisti non cercano, infatti, di confutare o integrare teorie o pratiche femministe specifiche, creano invece una visione nella quale il femminismo è un blocco unico – al massimo si concede che esista o sia esistito un “vero femminismo” stabilito da loro – e viene rappresentato in maniera insieme superficiale e distorta. Commenti di persone qualunque vengono considerate allo stesso modo di articoli scientifici, testi teorici o campagne di lotta organizzate. Siti o personalità specifiche del mondo di internet vengono utilizzate come emblematiche del femminismo tutto, senza specificare il perché ma al solo scopo di fare di tutta l’erba un fascio per rendere un’eventuale discussione confusa e farraginosa o per portare avanti attacchi personali, per poi lamentarsi che “le femministe” lo bersaglino di critiche.

Questa è la tecnica di youtubers e personalità social ben note che si stanno affermando anche nella scena italiana, costruendo un “femminismo” ad uso e consumo delle loro critiche.

Parlare in questo modo di femminismo ha la funzione di nascondere, agli occhi di chi ascolta, la sua complessità storica, le sue differenze e articolazioni basate su diverse sensibilità e posizioni politiche, di razza, classe e genere. L’interesse del maschilista è, infatti, quello di ridurre il femminismo a una mera coalizione di interessi di genere, che viene criticato sia per le sue presunte esagerazioni che per i suoi supposti errori – “facendo così non otterrete niente!”.

Concludendo, lo scopo di questo articolo non è quello di ribattere alle singole provocazioni dei maschilisti, ma di provare a presentare il modo in cui funziona la loro propaganda e quali sono gli schemi mentali che loro sfruttano per i propri obiettivi.

In generale, dibattere con queste persone è una perdita di tempo: il loro interesse non è nemmeno dimostrare di avere ragione, ma solo delegittimare e neutralizzare ogni istanza. Come scrive Eve Kosofky Sedgwick, l’ignoranza è potere nel senso che ha la capacità di stabilire i termini del confronto, specialmente quando viene manifestata da chi ha di fatto più risorse, potere e visibilità.