Chi è: Lydia Cacho Ribeiro (Città del Messico, 12 aprile 1963) è una giornalista, scrittrice e attivista messicana.
Cosa ha fatto: è figlia di una psicologa femminista, e fin da bambina ha accompagnato la madre che lavorava nelle periferie più inaccessibili del Messico. Durante i colloqui professionali della madre, Lydia cercava di interagire con bambini e bambine del posto, scoprendo il degrado in cui vivevano, e apprendendo che alcune di esse non conoscevano nemmeno l’uso della matita per disegnare. L’influenza della madre è stata determinante per fare in modo che lei affiancasse l’attivismo al lavoro di giornalista: alla fine degli anni Novanta ha fondato a Cancun il Ciam (Centro di attenzione alla donna), una casa-rifugio per donne vittime di violenza. Si batte per rendere pubblici gli sfruttamenti dei minori vittime di pedopornografia, senza paura di “pestare i piedi” a personaggi di spicco della politica e dell’economia messicana. E’ sopravvissuta a detenzioni illegittime, sabotaggi e vari tentativi di assassinio per le sue inchieste. Nel 2007 Amnesty International le ha assegnato il “Ginetta Sagan Award for Women and Children’s Rights” e nel 2008 ha ricevuto l’UNESCO/Guillermo Cano World Press Freedom Prize.
Perché è “pasionaria”: ha cominciato ad occuparsi di diritti delle donne a 23 anni. Le sue opere nascono dal lavoro di reporter, ed evidenziano il lavoro di indagine sul traffico di migliaia di bambine e ragazze di vari Paesi del mondo, in particolare del Messico. Queste attività l’hanno resa bersaglio di minacce di morte, dopo la pubblicazione del libro “I demoni dell’Eden” nel 2005: la giornalista ha accusato apertamente un potente uomo d’affari messicano, Jean Succar Kuri, di essere il leader di una rete internazionale di pedofili che sfruttano la prostituzione minorile. Kuri è molto ben inserito nel contesto politico messicano, e le sue influenti amicizie che occupano le più elevate cariche governative del Paese lo sostengono nel cercare di sradicare le attività della donna. Il 16 Dicembre 2005, a Cancun, Lydia Cacho è stata sequestrata dalla polizia messicana e trasferita in un penitenziario all’estremo nord del Paese. Il viaggio durò un intero giorno, durante il quale la donna ha subìto violenze fisiche e minacce di morte, scatenando la solidarietà dell’opinione pubblica internazionale. Grazie alle verità esposte dalla Cacho, Kuri, nel 2011 è stato condannato a 112 anni di carcere,a seguito di una sentenza considerata storica per il Messico, un Paese dove la criminalità è spesso sostenuta da personaggi ai vertici dello stato. Dopo la pubblicazione de “I demoni dell’Eden”, è seguita quella dell’opera autobiografica “Memorie di un’infamia” e di “Schiave del potere”, dove traccia una mappa globale della tratta di donne e bambine in un circuito di pedopornografia che coinvolge esponenti di spicco del mondo degli affari e della politica messicana.
“Di fronte a questa immagine, ricacciando il pianto in gola, penso che, in realtà, non mi pento di nulla. Spero di diventare vecchia e di tornare a guardare questa fotografia di Anna (ndr. Politkovskaya, che aveva ricevuto lo stesso premio nel 2002) come memento della realtà mondiale; ma, se così non dovesse essere, credo con tutto il cuore che il Messico possa cambiare e che – prima o poi – vi esisterà un’autentica democrazia. Credo nel ruolo del giornalismo come lanterna del mondo, come diritto della società a sapere e capire, e credo che i diritti umani non siano negoziabili. Per quanto le nostre storie individuali lentamente si dissolvano, i piccoli passi avanti non svaniranno. Il mio non è il caso di una donna: è quello di un paese. E il Messico è ben altro e ben di più che un pugno di governanti corrotti, di imprenditori ambiziosi e di criminali organizzati. Possono cancellarmi dai media, possono anche eliminarmi fisicamente. Quel che mai potranno negare è l’esistenza di questa storia, eliminando la mia voce e le mie parole. Finché sarò viva continuerò a scrivere e finché scriverò continuerò a essere viva”.
Lydia Cacho ha scritto queste parole a poche ore dalla cerimonia di consegna del premio Iwmf (International women’s media Foundation), che le venne assegnato nel 2007.
Fonte: ilreportage.eu