La commissione, gli insulti, la scorta.
Dopo essersi battuta per la creazione di una commissione contro l’odio razziale e l’antisemitismo, Liliana Segre, senatrice a vita della Repubblica italiana e sopravvissuta alla Shoah, ha ricevuto tante e tali minacce di morte da convincere la Prefettura di Milano ad assegnarle uno scorta armata. Decisione che ha lasciato sconcertata la stessa senatrice.
Pochi giorni fa il Parlamento ha votato a maggioranza a favore della proposta della senatrice Segre di istituire una commissione contro il razzismo e l’antisemitismo. Il nuovo organo servirà a monitorare la recrudescenza di questi fenomeni, esaminare disegni di legge volti al loro contrasto e promuovere iniziative che combattano queste forme di discriminazione.
Una commissione, insomma, la cui approvazione dovrebbe essere scontata e condivisa.
Ma così non è stato. Il Parlamento si è infatti diviso perché 98 deputati, appartenenti alle varie anime della destra italiana, hanno votato contro.
La scusa? Tutelare la libertà d’opinione, che a loto avviso sarebbe minacciata dall’esistenza stessa della commissione. Come se razzismo o antisemitismo potessero essere opinioni legittime come le altre.
La doppia colpa: ebrea e donna.
Sul comportamento di questi 98 parlamentari ricade in gran parte la colpa di aver dato il via agli insulti e alle minacce più tremende scritte con livore e allo stesso tempo leggerezza, che hanno portato Liliana Segre a essere sotto scorta.
Perché tanto livore? La senatrice Segre incarna tutto ciò che la destra fascista e retrograda rifiuta. È ebrea, ma è anche una donna che fa della propria esperienza e della propria memoria un atto politico.
Una sovversiva che prende parola in una società nella quale lo spazio pubblico è ancora largamente un coro di voci maschili e le donne (spesso e volentieri senza distinzione di colore politico) sono attaccate non nel merito delle loro idee, ma proprio in quanto donne. Basta dare un’occhiata alla cronaca politica degli ultimi anni: insulti sessisti sono volati più volte contro Monica Cirinnà, Mara Carfagna, Maria Elena Boschi e persino a Giorgia Meloni.
Non è dunque un caso che uno degli insulti più tremendi tra quelli rivolti alla senatrice peschi sia dal repertorio antisemita sia da quello sessista. Come se la violenza contro gli Ebrei non fosse sufficiente, si aggiunge quella contro le donne, in un crescendo codardo e incivile.
Una battaglia di cultura
Antisemitismo e sessismo, razzismo e omotransfobia sono facce di una stessa oppressione: quella che chi detiene il privilegio esercita su chi ne ha meno e non ne ha. E questo si combatte con una battaglia che passa dal Parlamento, ma passa anche da tutt* noi. Occorre diffondere una cultura nella quale la discriminazione per sesso, genere, razza, religione… non sia accettabile, come d’altronde è stato scritto nella nostra Costituzione.