Questa estate si è sposata una delle mie migliori amiche. Della serata ho ricordi vaghi, scoloriti da troppi bicchieri di vino e una quantità imprecisata di vodkaequalcosa: risate, piedi scalzi, sigarette. Abbracci, trenini, fiori, ay ay caramba.
E una domanda fatta alla sposa, che purtroppo non son riuscita a dimenticare: “Ma le tue amiche stanno insieme? Sono lesbiche?”.
Le amiche in questione eravamo io e un’altra sua vecchia conoscenza. Effettivamente quella sera abbiamo “fatto coppia”: siamo arrivate insieme, abbiamo chiacchierato insieme, mangiato insieme, bevuto insieme. Ma no, non ci siamo date la lingua in mezzo alla pista, né abbiamo improvvisato un balletto saffico per la gioia degli astanti. Avremmo potuto farlo, vista la quantità di alcol in corpo, ma non l’abbiamo fatto. Per il semplice motivo che nessuna di noi due è lesbica.
Entrambe etero – io single, lei fidanzata ma in quel frangente non accompagnata – eravamo, dunque, semplicemente due amiche che si stavano divertendo molto insieme, a prescindere dal loro orientamento sessuale. Un comportamento evidentemente sospetto, secondo alcuni.
Perché? Me lo son chiesta per giorni.
Non che mi importi di essere scambiata per una omosessuale, figuriamoci. Il punto è che non lo sono neanche un po’: come mai la gente lo pensava? Non era la prima volta. Quando ancora frequentavo l’università (ed ero, tra l’altro, fidanzatissima con un inequivocabilmente maschio) dissero a me e alla mia inseparabile compagna di avventure, più etero che mai, che ci avrebbero potuto scambiare per una coppia lesbica “perché sembravamo sempre incazzate“. Tradotto: non facevamo le civette con gli uomini, onde per cui pareva non fossimo interessate al loro pene. Ovvio, no?
“Benni, secondo me è anche per il tuo modo di vestire un po’ rock, aggressivo”, ha cercato di spiegarmi una mia amica.
Sul serio? Ora capisco quei commenti sui tatuaggi, allora. L’ultima volta che ho annunciato che me ne sarei fatta fare un altro, mi son sentita rispondere da una donna (che peraltro stimo): “Ma basta tesoro, dacci un taglio: sei una femmina, ricordi?”.
Mettendo insieme tutti i pezzi, credo di aver finalmente capito.
Non era poi così difficile: per creare confusione basta allontanarsi di una virgola dagli stereotipi con cui si cerca di ingabbiare le identità di genere. Chi non rientra in questi immaginari, e ormai decisamente arrugginiti, binari, alla meglio incuriosisce, alla peggio infastidisce.
Perché non è immediatamente identificabile, necessità di un piccolo sforzo di comprensione in più che non tutti hanno la voglia, o la capacità, di fare. E allora, per comodità, ecco che scatta l’etichettatura, come al supermercato: tutti uguali, disposti in ordine ognuno sul proprio scaffale.
Sei sfidanzata ma non alla ricerca di un uomo? Ti vesti come piace a te e non per farti guardare dai maschi? Se un ragazzo ti dà sui nervi non gli sorridi? Allora molto probabilmente sei lesbica. Perché una donna omosessuale (tranne che nei porno, ça va sans dire) non si veste mai in modo femminile, per carità. Rifugge i tacchi e i push up come la peste! E soprattutto è sempre incazzata, probabilmente perché è anche femminista e frustrata da una vita sessuale non appagante.
E che dire di una trentenne etero e single che passa una festa di matrimonio a ubriacarsi serenamente con le amiche invece che a dare la caccia agli scapoli? Quantomeno bizzarra.
Bene, sono bizzarra. Buono a sapersi.
Ma se non sfrutto ogni occasione sociale per flirtare o trovare marito, se trascorro una serata memorabile anche senza un accompagnatore, se la mia felicità non dipende esclusivamente dalle mie relazioni con l’altro sesso, non è perché sono strana. O perché sono lesbica. Ma perché sono libera.
Nelle gabbie stateci pure voi altri.