Per combattere l’endometriosi che la tortura da dieci anni Lena Dunham, attrice e ideatrice della serie tv Girls, lo scorso novembre ha affrontato un’isterectomia totale. In una lettera pubblicata su Vogue, ha raccontato le sofferenze che la malattia le ha procurato e il perché della sua scelta obbligata.
L’endometriosi consiste nella presenza di cellule uterine al di fuori dell’utero, più frequentemente nella zona pelvica, e può causare aderenze, cisti, ciclo mestruale irregolare e doloroso, rapporti sessuali dolorosi e portare alla sterilità. In alcuni casi è asintomatica e viene riscontrata solo quando non si riesce a iniziare una gravidanza. Non si conoscono ancora le cause di questa patologia cronica difficile da diagnosticare e spesso liquidata come un disturbo psicosomatico non meglio definito. Può avere diversi livelli di gravità e le sue complicanze possono portare, come nel caso di Lena Dunham, a considerare l’asportazione di utero e cervice, nella speranza di minimizzare i dolori ed evitare ulteriori problemi. Attualmente non esiste una cura per l’endometriosi.
L’attrice, scrittrice e regista non ha ancora compiuto 32 anni, ha sempre desiderato diventare madre e ha sempre parlato apertamente della sua endometriosi. La sua lettera su Vogue non è una ricerca di giustificazioni per la sua decisione, non sarebbe nel suo stile. È il racconto dell’aggravarsi straziante della malattia e della ricerca di cure che possano alleviare il dolore debilitante evitando l’isterectomia e, di fatto, la menopausa a 31 anni.
Contrariamente a quanto Adele Fabrizi ha affermato dal suo blog su Il Fatto Quotidiano, Lena Dunham non ha rinunciato alla massima espressione della vita femminile o a una parte qualificante di sé: un concetto duro a morire, che riconosce valore alle donne solo se madri. Davanti alla gravità della sua malattia, una donna di 31 anni ha scelto consapevolmente e con sofferenza di rinunciare a una delle possibilità della vita, per tutelare la propria esistenza.
Prima di confermare la sua decisione e affrontare le procedure per l’intervento, l’attrice ha dovuto consultare 4 diversi psicoterapeuti, perché appurassero la sua capacità di fare fronte a una decisione non revocabile.
Il racconto dei giorni prima e dopo l’intervento include i giudizi più o meno velati del personale medico che l’ha assistita, dietro cui si colgono la contrarietà o la preoccupazione per quella che è una scelta consapevole, personale e privata.
“La mattina dell’intervento […] vorrei piangere tantissimo, ma so che qui il pianto non è gradito. Il mio singhiozzare potrebbe essere letto come un dubbio e far fare retromarcia a tutti. Sono già in lutto ma non ho dubbi.[…] Provo ad assorbire la gravità del momento – almeno una dozzina di persone in camici blu con mascherine sul viso, il fatto che potrei scappare immediatamente ma invece sto scegliendo di rimanere, sto scegliendo ciò che sta accadendo. Devo ammettere che lo sto scegliendo – rinuncio a ulteriori trattamenti. Rinuncio a ulteriore dolore. Rinuncio a ulteriore incertezza.”
I dolori atroci erano causati oltre che dall’endometriosi, dalle mestruazioni retrograde, con lo stomaco che durante il ciclo si riempiva di sangue, e da un ovaio posizionato dietro i nervi sacrali, quelli che trasmettono il movimento alle gambe.
La tristezza di avere dovuto prendere una decisione obbligata però non si traduce, come vorrebbe suggerire il blog de Il Fatto, nella perdita “dell’essenza stessa della femminilità”. Un pensiero del genere è estremamente giudicante e identifica la donna esclusivamente con un utero fertile e con la volontà di avere una discendenza. Non ci riconosce nessun’altra possibilità se non quella di essere utili perpetuatrici della specie. Lena Dunham invece dopo l’isterectomia parla di come senta di avere finalmente delle opzioni sulla maternità, e sia pronta a vagliarle: congelamento degli ovuli, adozione. Non è una guarigione facile, psicologicamente più che fisicamente, ma avere interrotto, si spera, gli spasmi e il tormento permette di ricominciare.
Tutto un altro registro rispetto alle affermazioni contenute sul blog de Il Fatto, in cui utero e maternità sono sinonimo di femminilità, armonia femminile e la sessualità è legata alla femminilità. In contraddizione evidente con l’elenco dei sintomi dell’endometriosi, incluso nello stesso articolo, che rendono a volte obbligata l’isterectomia. Da un lato l’oggettività della patologia, dall’altra una serie di affermazioni anacronistiche e trans escludenti sul ruolo della donna. Come se il genere coincidesse con i genitali e l’apparato riproduttivo, e non fosse dovere della psicologia e della psicoterapia tenere conto di tutti gli sviluppi dell’identità di genere.
Per scrupolo, se non fosse già sufficientemente chiaro: la maternità è solo un’opzione nella vita di una donna, non è necessario soffrire dolori atroci nella speranza di portare avanti una gravidanza. La fertilità, un utero, dei figli, non ti rendono più o meno valida come donna. Qualunque sia la convinzione delle persone non direttamente interessate.