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Le discriminazioni del femminismo trans-escludente

“Lesbiche non queer”: striscione del gruppo femminista trans-escludente inglese Mayday 4 Women

Qualche giorno fa mi è stata proposta la lettura di un articolo di Meghan Murphy sul suo sito “Femminist Current”, intitolato Thanks to trans activism, 2017 saw a return to old-school, sexist dismissals of women and women’s rights (“Grazie all’attivismo trans nel 2017 c’è stato un ritorno alle vecchie strategie sessiste per liquidare le donne e i diritti delle donne”).

L’autrice traccia un parallelo tra il tentativo di silenziare la campagna #metoo attraverso l’accusa di voler suscitare un panico morale verso gli uomini, e la contestazione di attivist* trans e femministe intersezionali nei confronti delle pensatrici del femminismo essenzialista e trans-escludente (per le quali le donne trans non sono donne e gli uomini trans sono donne oppresse dal patriarcato e spinte ad assumere un corpo maschile attraverso mutilazioni del corpo, come scriva Sheila Jeffries in Gender Hurts) accusate di voler sollevare un panico morale nei confronti delle persone transgender – in particolare delle donne trans.

La tesi di Murphy è che le argomentazioni dell’attivismo trans abbiano lo scopo di silenziare le teoriche femministe essenzialiste e, quindi, danneggiare i diritti delle donne basati sulla appartenenza al sesso femminile.

Ma cosa è il panico morale?

Condivido la stessa definizione riportata dalla Murphy:

Un panico morale è il processo mediante il quale si vuole suscitare preoccupazione sociale su una questione. Il panico morale comporta il fatto di utilizzare un particolare gruppo come capro espiatorio, indicandolo come responsabile di alcuni mali della società“.

La condizione principale per la quale si può parlare di panico morale è che chi lo promuove sia in una posizione di privilegio rispetto al gruppo che colpevolizza.

Nel caso di #metoo lo squilibrio di potere è chiaro e l’accusa di panico morale non è sostenibile. Nel caso delle femministe trans-escludenti è lo stesso?

Perché il parallelo riesca, occorre che le donne trans vengano attribuite ad un gruppo privilegiato – gli uomini – e che qualunque traccia di privilegio in più rispetto alle persone trans sia cancellato.

Questo avviene, perlomeno, in quattro modi:

1. considerare le donne trans degli uomini, in modo tale da includerle in un gruppo privilegiato ;

2. ignorare la transmisoginia cui sono soggette le donne trans a dispetto delle statistiche e della realtà e parlare di privilegi maschili di cui le donne trans avrebbero goduto automaticamente, almeno prima della transizione;

3. eliminare termini che indicano un privilegio, per esempio la parola cisgender per riferirsi a una persona che si riconosce nel genere assegnatole alla nascita e che gode di riconoscimento legale ed è perfettamente inserita nei meccanismi sociali, in quanto ne replica la costruzione binaria;

4. affermare che l’uso del concetto di identità di genere (senso interno del proprio genere) vada a danneggiare il concetto che il genere sia un costrutto sociale avente lo scopo di rinforzare gli stereotipi e l’oppressione sulle donne.

Questi argomenti sono sostenibili?

1. Riconoscere esclusivamente due generi, uomo/donna, e due sessi, maschio/femmina, sulla base della dotazione genitale permette di considerare le donne trans pre-transizione come uomini perfettamente integrati nel sistema di privilegio maschile, come se vi fosse un passaggio brusco da uomo a donna dipendente solo dall’intervento chirurgico, cancellando così l’esperienza delle donne trans e riducendola ad una soluzione di uno stato patologico;

2. ignorare la transmisoginia cui sono soggette le donne trans, anche prima della transizione (è sufficiente ascoltarne i racconti) significa ignorare storie di violenza, invisibilizzare e negare voce a racconti di esperienza. In poche parole significa nascondere la realtà dei numeri e negare un principio femminista: l’ascolto;

3. la parola cisgender è una parola pericolosa perché rende chiara una condizione di privilegio, in questo caso, all’interno del genere donna. Definirla una parola offensiva è la reazione di chi vede minacciato il proprio privilegio da una minoranza. Le stesse teoriche trans-escludenti concorrono alla formazione e difesa di un privilegio sociale e legale costruendo la figura della “vera donna“;

4. l’identità di genere, che non è propria solo delle persone transgender, è un termine coniato per identificare il senso interno di sé ed è inserito tra i diritti umani, in quanto diritto di ogni individuo allo sviluppo della propria personalità. Questo concetto permette a qualunque persona di agire attivamente sul costrutto sociale e, una volta raggiunta una elaborazione collettiva, di cambiarlo. Il genere richiamato da Janice  Raymond – autrice di “The transexual empire” testo base del pensiero trans escludente – e dalla Murphy, in una delle sue accezioni, è anche il costrutto sociale attraverso il quale si reiterano gli stereotipi e l’oppressione e le persone trans sono oppresse da tale sistema. L’equivoco che si vuole far nascere e che esse pretendano di appropriarsi dei diritti delle donne (sex-based wright, diritti basati sul sesso) mentre l’attivismo trans combatte per l’estensione dei diritti universali anche alle persone trans.Non è possibile appropriarsi di un diritto umano perché questo è, per definizione, appartenente a ogni persona. Inoltre, le teoriche trans-escludenti, non tengono in nessun conto il fatto che è proprio la diversità percepita dalla società rispetto al corpo trans e alla trasgressione rispetto alla costruzione sociale basata sui due generi a creare discriminazione e oppressione sulle persone trans. La definizione di genere, come sistema oppressivo basato sugli stereotipi e sulla “punizione” o svalutazione di ciò che non è conforme ed utile alla riproduzione del modello  sociale binario, comprende totalmente le persone trans.

No, le argomentazioni usate dall’autrice e dalle femministe trans-escludenti non sono sostenibili da un punto di vista femminista intersezionale e confondono la libertà di parola con il diritto a stigmatizzare un gruppo di persone in nome della difesa dei diritti delle donne basati sul sesso. Vediamo meglio perché.

Le principali tesi trans-ecludenti

Blackout poetry tratta da pagine selezionate da “The transessuale empire” di Janice Raymond – autrice Jennifer Espinoza

Janice Raymond è tra le principali teoriche trans-escludenti le cui tesi sono state importate in Italia da alcune femministe derivanti dall’area del pensiero della differenza di Luisa Muraro, come Marina Terragni, alcune pagine femministe proibizioniste e il direttivo di Arcilesbica Nazionale.

Il termine Terf (Trans-exclusionary radical feminist, “femminista radicale trans-escludente) è stato utilizzato per la prima volta nel 2008 da femministe radicali cisgender per difendere il femminismo radicale da gruppi di odio verso le persone transgender che cercavano di passare come maggioranza all’interno del movimento femminista.

 

Nel su libro The Transexual empire formula i tre principali argomenti utilizzati per stigmatizzare le donne trans (gli uomini trans sono sistematicamente ignorati perché di ostacolo alla dimostrazione delle tesi trans-escludenti):

  1. le donne trans – cui l’autrice si riferisce sistematicamente al maschile – realizzano due miti del patriarcato: la maternità maschile e la costruzione della donna secondo i desideri maschili;
  2. le donne trans sono un risultato di un “programma socio-politico” controllato e implementato dalle gerarchie mediche e dall’egemonia patriarcale che le usa per “colonizzare l’identità, la cultura, la politica e la sessualità femministe” (Sappho by Surgery – J. Raymond ;
  3. le donne trans stuprano i corpi delle donne riducendo il vero corpo femminile a un artefatto e appropriandosene. “I transessuali tagliano a malapena il mezzo più ovvio di invasione delle donne in modo da sembrare meno invasivi” per la Raymond, la capacità “penetrativa” degli uomini, raggiunge il suo apice nell’appropriazione del corpo femminile mediante la chirurgia che permette di invadere , mediante un simulacro, ogni aspetto del femminile, fino a potersi dichiarare femministi.

I limiti di queste tesi sono numerosi:

  • non viene considerata la storia di lotta delle donne trans per emancipare il proprio corpo dagli stereotipi di genere che venivano richiesti per accedere alle terapie di transizione e per mettere in discussione lo sguardo maschile sulle donne che le voleva, e le vuole tutte riprodotte rispondenti a certi canoni. Quindi di lotta transfemminista e femmninista si è trattato e si tratta. Vedere le donne trans come colluse è una grave miopia se non una colpa;
  • non si considera neanche che il discorso medico – ovvero la patologizzazione del genere transgender – ha, a lungo, impedito alle persone trans di mettere in discussione e sovvertire l’immaginario patriarcale sul proprio corpo, sui ruoli di genere, sulla femminilità e mascolinità poiché ha impedito qualunque agency alle persone transgender;
  • si omette che le persone transgender sono state a lungo ostacolate da restrizioni legali e sociali che hanno reso estremamente difficile fare coming out;
  • non si prende in considerazione l’evoluzione del concetto e della struttura della famiglia e dei ruoli genitoriali. La famiglia è una interazione tra persone in cui queste possono non agire secondo il costrutto sociale. L’estrema difesa del simbolico materno e della costruzione simbolica della famiglia ha lo scopo di precludere l’accesso alla società di alcune soggettività e, quindi, di escluderle;
  • il costrutto simbolico sociale occidentale – ovvero il sistema astratto di idee che permettono di codificare, riconoscere e naturalizzare un sistema sociale, in questo caso un sistema di due sessi complementari, e di riconoscere ciò che differisce da esso come estraneo e potenzialmente pericoloso – è un costrutto discriminante sul quale si basa il potere patriarcale: non è un caso se, da posizioni diverse, cattolici fondamentalisti, fascisti e teorie trans e sexworker escludenti hanno lo stesso lessico: la base simbolica è la stessa;
  • si presentano dei generi (transgender e persone non binarie) come prodotto dell’ideologia gender o delle teorie queer, ignorando millenni di storia e culture e accettando totalmente l’idea coloniale e razzista, costruita a partire dal XIX secolo, che le cancella e che ha imposto due generi e due sessi e patologizzato qualunque esistenza fuori dal paradigma cis-eterosessuale. Questa argomentazione ha lo scopo di presentare le persone transgender e queer come un prodotto neo liberale, e come minaccia  sociale. Questa è la base di un discorso di odio sulla quale trovano una giustificazione morale violenze di genere e crimini.

Le conseguenze sono:

  • promuovere un separatismo radicale come unica alternativa all’egemonia del patriarcato attraverso il quale, invece, si attua una oppressione invisibile sulle persone trans (come hanno fatto alcuni articoli condivisi sulla pagina Facebook di Arcilesbica nazionale);
  • aumentare lo stigma sulle donne trans presentandole come pericolose per le donne o come concorrenti che rubano i pochi posti riservati alle donne;
  • avere un rapporto equivoco con il sistema patriarcale alternando lo stesso scopo di difendere un costrutto simbolico sociale oppressivo e discriminante, l’uso dei suoi toni, argomentazioni e modalità di oppressione con una lotta a quegli stessi sistemi.
Blackout poetry tratta da pagine selezionate da “The transessuale empire” di Janice Raymond – autrice Jennifer Espinoza

La necessità di cambiare prospettiva

È necessario riportare  al centro del dibattito la materia nella sua concretezza, tenendo presente la sua natura molteplice di sostanza fatta di legami, confini e vuoti, di temporale, storico, dunque plasmabile.

Le nuove tecnologie – dai farmaci alle protesi – offrono la possibilità di incarnare un corpo che permetta il riconoscimento di sé e di avanzare nel mondo. Allo stesso tempo, la percezione del genere è cambiata anche grazie alle tecnologie di produzione e riproduzione di immagini.

È cambiato il simbolico della nostra cultura e del nostro linguaggio.

Occorre “indagare le intrarelazioni materiali-discorsive tra generi, specie, spazi, sessualità, soggettività e temporalità” (Clotilde Barbarulli).

Occorre che femminismo, queer, marxismo e scienza interferiscano, si contaminino, che avvenga una negoziazione, un urto, una produzione.

È importante criticare qualunque binarismo: di genere, tra corpo organico ed inorganico, tra natura e cultura.

Occorre una nuova idea di performatività che consideri la materia come parte attiva nel diventare mondo. Così, i corpi trans, sono corpi di materia attiva capaci di fare genere.

È necessario liberare l’idea di differenziazione da nozioni identitarie o spaziali fisse. Questo permetterà di vedere il genere come processo fattivo e non assegnato.

La paura e il moralismo, usati per difendere la divisione natura/cultura, producono un sistema rigido che tende e tenderà a produrre falle in più punti. Etico è tenere conto di nuove soggettività come nuove possibilità di una materia che cambia e che agisce.

“Il femminismo è un’avventura collettiva per le donne, per gli uomini, e per gli altri. Una rivoluzione, una visione del mondo, una scelta. Non si tratta di opporre i piccoli vantaggi delle donne alle piccole acquisizioni degli uomini ma piuttosto di mandare tutto all’aria”.

– Virginie Despentes