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Laura Betti e la magia del divenire

La donna che vi presento ha rotto le righe, le ha distorte e reinventate: parliamo di Laura Betti (Laura Trombetti, Casalecchio del Reno 1934 – Roma 2004)

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Due caveat prima di iniziare. Primo: ho un debole per le donne dal carattere forte (che ci volete fare, mi mandano in brodo di giuggiole, ne sa qualcosa la mia signora). Dunque non vi aspettate una biografia obiettiva. Secondo: questo articolo è un work-in-progress per qualcosa che verrà.

Quando penso a Laura Betti, mi vengono in mente due film, Novecento (1976) e Teorema (1968). Due film e due ruoli diversi, opposti. Da una parte Regina, che in coppia con Donald Sutherland (Attila) incarna il male che da banale diventa puro, la durezza, la cattiveria che ha un bagliore di umanità soltanto nella scena del cimitero (per ammissione stessa di Bertolucci, un’aggiunta autonoma di Betti); dall’altra la serva Emilia, terrigena e sacrificale, unica a sopportare il peso del dio-straniero, la proletaria dalle cui lacrime nasce il miracolo.

Troviamo Laura Betti l’attrice quasi sempre in ruoli da comprimaria o da preziosissima caratterista, dalla primissima su grande schermo in La Dolce Vita (1960) fino alle ultime sporadiche apparizioni, per esempio nel ruolo della giudice in Fratella e Sorello (2004). Dice di lei Marco Bellocchio: “Non era un’attrice duttile. Betti era Betti. E basta”.

Si deve aggiungere che definirla soltanto attrice è riduttivo, perché è stata molto altro: una cantante, una regista teatrale, una compagna, un’agitatrice culturale, una musa, una combattente per amore, una scrittrice. Insomma, un’eroina romantica, con un carattere fortissimo e indipendente, tale da incutere timore e frequenti incomprensioni e con quella disperata determinazione che trasforma il più indicibile dei dolori (la perdita dell’amore di una vita) in creatività e azione.

Fu una femminista suo malgrado (soleva dire “farei qualsiasi cosa mi venisse richiesto da un movimento femminista, tranne farne parte”). Usava sovvertire i generi, giocando con identificazioni e pronomi: ad esempio nel suo strano libro, Teta Veleta, e pare anche nel quotidiano, gli intellettuali suoi amici diventano tutti donne, tranne Pier Paolo Pasolini. Di questa sua ribellione creativa, si era ben accorto Rodolfo Wilckock che nel pezzo Madre Laura, scritto per il secondo spettacolo di Betti, Potentissima Signora, inventò una commedia dolce amara sullo scambio dei generi nella società (dove sono le donne a detenere il potere).

In ogni sua espressione artistica c’è sempre un’ironia malinconica e dissacrante, mentre Laura Betti incarna i modi e i ruoli più disparati dell’esistenza declinata al femminile, dalla signora dissacrante di Quella cosa in Lombardia alla cinica prostituta di Macrì Teresa detta Pazzia. Il suo corpo stesso si trasforma per incarnare queste varie versioni. C’è la bambola bionda di Giro a Vuoto, fintamente innocente, come nelle belle foto di Mario Dondero, femme fatale che non si lascia prendere, come si dipinge lei stessa a fine anni Cinquanta:

 

“Ma lei, scusi, non se li toglie mai quegli occhiali neri?”

“Mmmmmmmmmmm.”

“Non ha voglia di vedermi col colore giusto? Ho i capelli biondi e gli occhi azzurri sa….”

“Mmmmmmmmmmmmmmmmmmm.”

“Le piacerebbe desiderarmi sessualmente?”

“Mmmm Mmmmmmmmmmmm!” […]

“Che palle! Adesso ti bacio.”

“Mmm Mmmmmmmmmmmmmmmmmmmm Mmmmmmm MmmMmmMmmMmmmMmmmmm!”

“Guarda che ti ho baciato in bocca, dentro, con la lingua. Non te ne sei accorto? Sai, io sono fatta così. Io li stupro gli uomini. Sono io che me li faccio, non sono mica loro che si fanno me.”

“Mmmmmmmm…”

“Mi scrivi una canzone? Anche con dentro tutte quelle borgate e quei noiosissimi ragazzi di vita coi brufoli? [….]”

“Mmmmmmmm…”

“Mi porti fuori con la Morante la Moravia e tutto il parnaso?”

“Mmmmmmmm…”

(Betti 1979: 53-4)

 

C’è la severa matrona dal fisico appesantito, “che la rendeva inadatta a qualsiasi ruolo a teatro” come ricorda Mario Missiroli, sulla quale è tagliato il personaggio femminile di Orgia (1968) e che, vestita di rosso sanguigno, interpreta la wife of Bath nei Racconti di Canterbury (1972).

C’è, poi, la donna sformata dal lutto, che mostra il corpo appesantito e il volto segnato dalle rughe col cipiglio della combattente, nel ruolo, che le ha attirato molte critiche, di custode della memoria pasoliniana in tempi in cui era molto meno facile di adesso parlare del “frocio morto ammazzato“. Invece, oltre al grandissimo merito di far sì che i film e gli scritti di Pasolini non finissero nel dimenticatoio attraverso un inestimabile archivio (prima a Roma, poi a Bologna), Laura Betti ha reinventato anche una delle occupazioni tradizionalmente declinate al femminile, quello della cura.

La sua azione culturale, infatti, non è mai stato un pedissequo ricordo, ma un’azione insieme di didattica e dialettica, attraverso le retrospettive, i convegni, le pubblicazioni, il docu-film Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno (2002) e l’incessante richiesta di giustizia per un caso archiviato troppo frettolosamente. In questo modo ha reso anche questa parte della sua vita una sfida alle convenzioni, mostrando come l’amore possa assumere forme diverse da quelle eteronormative alle quali siamo assuefatti.

Come troppo spesso accade a noi donne, la sua dedizione a Pasolini ha finito per cancellare tutto il resto, relegandola in un ruolo di perenne subalternità: forse è l’ora di conoscere meglio una donna sopra le righe che ha ancora tanto da dire a noi donne, femministe e non.

 

[Voglio ringraziare Roberto Chiesi del Fondo Laura Betti della Cineteca di Bologna, per la cortesia e l’aiuto nel fornirmi tutti i materiali in loro possesso].

 

Testi citati

Laura Betti, Giro a vuoto, s.l., s.n.

Laura Betti, Teta Veleta, Milano: Garzanti, 1979.

Roberto Chiesi (a cura di), Illuminata di Nero, Bologna: Cineteca di Bologna, 2005.

Mario Dondero, Scatti per Pasolini, Casarsa della Delizia: CSPPP, 2010.

Pier Paolo Pasolini et al., Potentissima signora: canzoni e dialoghi scritti per Laura Betti. Milano: Longanesi, 1965.

Paolo Petrucci, La passione di Laura (documentario), BibiFilm, 2011.

Emanuele Trevi, Qualcosa di Scritto, Milano: Ponte alle Grazie, 2012.