fbpx

Persefone e l’abisso della violenza: intervista alla video-artist Valentina Arena

Backstage del cortometraggio "Kore": tre donne di spalle camminano su un prato
Backstage del cortometraggio “Kore” di Valentina Arena (foto di Pietro Milici)

“Sul confine che divide i vivi dai morti, madre e figlia si separano, costrette dai dettami di una legge immutabile. Tra di loro l’abisso della violenza che ha trasfigurato Kore in Persefone”. È questa la suggestione dell’ultimo cortometraggio di Valentina Arena, regista e video-artist che si occupa di tematiche di genere, in particolare di violenza sulle donne.

Valentina ci ha mostrato in anteprima Kore, che esce oggi in contemporanea a questa intervista e ne abbiamo approfittato per fare una chiacchierata con lei.

Nei tuoi video ti sei occupata spesso di tematiche femministe, girando anche un cortometraggio per l’Udi. Come ti sei avvicinata a questi temi?

Ho trattato per la prima volta tematiche esplicitamente di genere nel mio cortometraggio “Vetro” del 2011, che parla della fatica di una donna che si trova ad affrontare un abuso. Mi interessava occuparmene perché ero curiosa di indagare che cosa sia davvero l’identità femminile, come sia strutturata e condizionata dalla società. Mi sono informata, ho studiato molto, seguendo le curiosità che l’argomento mi suscitava.

Dopo “Vetro” ho tentato di allontanarmi dalla tematica, per fare qualcosa di nuovo, ma questi temi ritornavano anche senza che lo volessi. In particolare mi sono interessata alla violenza di genere, volevo fare qualcosa che la raccontasse e in qualche modo aiutasse a combatterla. Non basta un’azione forte, è necessario utilizzare la forza dell’immaginario comune e ribaltarlo per creare un messaggio veramente efficace. Sono stata poi contattata dall’Udi (Unione donne italiane) per lavorare proprio su questa tematica.

Nel tuo ultimo lavoro, “Kore”, lavorando sul mito di Persefone, parli di violenza di genere. Ci racconti com’è nato questo cortometraggio?

“Kore” è nato da sé, per valorizzare l’identità siciliana, in particolare la città di Enna e i suoi dintorni. Volevo lavorare sui luoghi e sugli ambienti, immergermici per poi restituirli agli spettatori. È qui che ho incontrato i personaggi di questo cortometraggio, che è diventato una rilettura tra passato e presente del mito di Persefone. Non c’era intento didattico, sono i personaggi che mi hanno portato di nuovo a trattare il tema della violenza di genere.

Volevo dare attualità e umanità ai personaggi protagonisti, Ade e Persefone. Il lavoro maggiore è stato su Ade, per non renderlo banale: ho voluto dipingere un uomo violento, dove la violenza non è rappresentata dalla forza (troppo facile), ma da un’identità che si produce soltanto per sottrazione, che è completamente negativa. Per questo non ha tema musicale e anzi distorce l’audio del video. Perché la violenza attuale, quella contro cui si scaglia il femminismo, non è soltanto forza bruta, è la cancellazione dell’identità altra da quella maschile, come testimoniano i tanti femminicidi. Molti uomini hanno difficoltà nel riconoscere e affrontare l’identità dell’altro. Demetra, invece, simboleggia il rapporto madre-figlia.

A proposito di violenza di genere, cosa pensi delle campagne comunicative promosse ad esempio dal governo?

Credo che siano problematiche perché c’è la tendenza ancora una volta a sottrarre alla donna la sua individualità e la sua identità, che è esattamente quello che fa la violenza. Rendere la donna universalmente solo come vittima è altamente problematico. Per questo in “Kore” ho voluto lavorare per evocazione proprio per tirare fuori l’identità dei vari personaggi. Non volevo che fossero dei simboli, volevo che fossero persone. La violenza è un problema di potere, potere che annienta l’altro.

Nella tua carriera, come donna, hai mai sperimentato discriminazione di genere?

Sento di avere ostacoli non come donna, ma perché sono un’autrice indipendente. Certo, mi è capitato sul set che se qualcuno doveva chiedere informazioni si rivolgesse naturalmente a un uomo, anche se la regista ero io. È vero però che in generale noi donne registe siamo meno degli uomini, come in generale sono meno le donne in ruoli decisionali o direzionali.

Cosa pensi del ruolo dell’arte nella società?C’è ancora un ruolo per l’artista o l’intellettuale nella società?

C’è sicuramente ancora bisogno dell’arte, ma l’arte deve essere partecipata. Per enfatizzare il ruolo dell’arte sul sociale e sulla realtà, bisogna ridare priorità al contenuto: perché il contenuto, essendo uno sguardo personale sulla società, è sociale per definizione.

Bisogna essere consapevoli del ruolo che l’artista in questo senso ricopre nella società, ma allo stesso tempo smettiamo di scusarci, dicendo che se la società non capisce certe forme d’arte la colpa sia sempre del pubblico. Il pubblico non è sempre necessariamente in difetto se il messaggio non viene colto, forse il problema è dell’opera. Ci devono essere più livelli di lettura. Certo, ora come ora, in Italia è difficile riuscire ad arrivare materialmente a un pubblico vasto perché l’attenzione da parte di chi produce, anche se c’è ed è costante (e questa è una nota positiva) non è abbastanza.

Valentina Arena (foto di Nadia Castronovo)