Alla fine Brett M. Kavanaugh, giudice cattolico ultraconservatore, ha giurato per far parte della Corte Suprema degli Stati Uniti. La nomina da parte del presidente Trump, che doveva essere ratificata dal Senato, aveva avuto un intoppo a causa delle accuse di abuso sessuale da parte di tre donne. Le audizioni al Senato, le proteste di piazza di centinaia di migliaia di donne e l’indagine della FBI non sono servite: i senatori e le senatrici, con due soli voti di scarto, hanno approvato Kavanaugh.
Dietro la sua nomina ci sono progetti politici a lungo termine che hanno coronato il sogno di una Corte Suprema orientata pesantemente a destra – con tutto ciò che ne consegue sul piano della pianificazione familiare e dell’aborto, dei diritti civili LGBT+ e delle persone migranti, della sanità e della classe lavoratrice, della circolazione delle armi – e la dimostrazione di forza muscolare dell’élite politica maschile bianca contro ogni minaccia al cambiamento dello status quo.
Per la precisione, in questo caso, contro le donne che, vittime di violenza sessuale, osano farsi avanti e accusare pubblicamente i predestinati al potere, uomini ricchi, bianchi, meglio se conservatori, che hanno studiato nelle migliori scuole d’America, e richiamarli alle loro responsabilità.
Le accuse contro Kavanaugh
Christine Blasey Ford, professoressa universitaria e psicologa, ha accusato il giudice di aver tentato di stuprarla nei primi anni ’80, quando lui e le tre presunte vittime frequentavano il liceo. A Debora Ramirez Kavanaugh avrebbe sbattuto il pene in faccia, e sarebbe stato presente durante lo stupro di gruppo subito da Julie Swetnick. Kavanaugh e il suo team avrebbero cercato, tra l’altro, di invalidare le prove delle accuse di Debora Ramirez.
Christine Blasey Ford aveva scelto inizialmente l’anonimato, ma è stata costretta a rivelare la sua identità dalle pressioni di parte della stampa, che era riuscita a risalire al suo nome. Come da copione, appena ha iniziato a circolare la professoressa Ford ha ricevuto numerose minacce di morte e la sua posta elettronica è stata violata per inviare false email in cui venivano ritirate le accuse. Da circa un mese Ford e la sua famiglia vivono sotto scorta spostandosi in abitazioni segrete, e le minacce di morte non si sono fermate dopo l’avvenuta conferma a giudice di Kavanaugh. Un quadro diametralmente opposto alla diffusa convinzione che le donne denuncino violenze mai accadute per ottenere pubblicità e fama.
Ford ha annunciato la volontà di deporre in Senato e il 27 settembre ha risposto in modo impeccabile alle domande, mentre Kavanaugh replicava dichiarandosi innocente, alternando lacrime a moti di rabbia e accuse di complotti politici, di vendetta dei Clinton, con l’atteggiamento di chi si vede portato via qualcosa cui ha diritto per nascita.
Il succedersi degli eventi a favore del giudice conservatore purtroppo non è una sorpresa ma una consolidata consuetudine.
Il diritto al potere dell’uomo bianco
Nella sua testa, in quella di Trump e dei Repubblicani, il posto nella Corte Suprema è questo: un ruolo che spetta a Brett M. Kavanaugh, per diritto e natura e che nessuno, tantomeno nessuna, deve mettere in discussione. Uomo, bianco, ricco e potente ex studente delle migliori scuole del paese, ha tutte le doti per sedere nella massimo tribunale statunitense. Si fa ancora difficoltà ad accettare che la dignità di un uomo potente possa essere intaccata dalle accuse di violenza contro le donne.
Ora Kavanaugh potrà influenzare con le sue posizioni conservatrici la Corte Suprema e minaccia di ribaltare l’esisto della sentenza Roe vs Wade. Quella che costituisce il precedente su cui negli Stati Uniti si basa il diritto all’aborto dal 1973 e di cui, in un’ email del 2006, Kavanaugh mette in discussione l’immutabilità. Con il giudice Anthony Kennedy, l’ago della bilancia della Corte Suprema, che va in pensione, la posizione nettamente contraria di Kavanaugh all’autodeterminazione delle donne rischia di portare a una piega reazionaria e oscurantista.
L’autodifesa di Kavanaugh durante la deposizione in Senato è stata così fuori dalle righe che lui stesso ha chiesto scusa sul Wall Street Journal per la sua rabbia ed emotività, chiedendo di essere compreso perché in Senato era presente in qualità di padre, marito, figlio. Ha fatto appello all’empatia dell’opinione pubblica dopo una deposizione arrogante e sfacciata.
In genere una testimonianza come la sua, se rilasciata da una donna, sarebbe stata con molta probabilità interpretata come una dichiarazione di colpevolezza, a causa dello stigma legato all’emotività femminile. Arroganza e rabbia sono un’affermazione di forza maschile, ma diventano inaccettabili e irrazionali se mostrate da una donna.
Dopo i rinvii del voto del Senato, l’indagine superficiale dell’FBI sul comportamento sessuale di Kavanaugh in passato – durata appena una settimana e che ha escluso dalle testimonianze due delle accusatrici e altre persone che si erano offerte di essere ascoltate -, la lettera di 2.400 docenti di legge che hanno giudicato incompatibile la parzialità politica e la mancanza di contegno del nominato giudice, lo status quo ha vinto, e amaramente non ne sono stupita.
Gli ultimi due anni negli Stati Uniti e l’ultimo periodo di governo italiano ci stanno mostrando i soldati dell’immutabile che, con le unghie e con i denti, cercano di invertire la rotta dei diritti civili, provano a zittire le centinaia di migliaia di donne che scendono in piazza, che si organizzano e assediano tribunali, occupano strade e si rendono visibili in un modo che non è più possibile ignorare.
D’altro canto, la lotta serrata dei conservatori mostra che il fronte opposto si è fatto più forte, ed è un’opposizione con cui si deve obbligatoriamente fare i conti.
Le proteste delle donne
Durante l’ultimo mese negli Stati Uniti si sono succedute continue manifestazioni di donne sopravvissute ad abusi sessuali: hanno viaggiato per il paese per incontrare senatrici e senatori e raccontare le loro storie. Due di loro, Ana Maria Archilla e Maria Gallagher, hanno seguito il conservatore Jeff Flake in ascensore e l’hanno costretto ad ascoltarle. In piazza è tornata la Women’s March, è sceso il gruppo di avvocate di Time’s up, che raccoglie fondi per le spese legali e per sostenere le donne che vogliono denunciare i propri aggressori, e opera anche come gruppo di pressione per promuovere leggi che penalizzino le aziende che non intervengono in caso di molestie.
Per strada c’erano le lavoratrici e il movimento #MeToo, tra le cui fila militano donne famose come Amy Schumer ed Emily Ratajkowski, entrambe arrestate per aver manifestato.
Le proteste hanno infatti portato ad arresti di gruppo in due occasioni, 302 fermi il 4 ottobre a Washington, 171 il 7 subito dopo la conferma di Kavanaugh. Su Twitter e Instagram gli hashtag #WhyIdidntReport (perché non ho denunciato), #BelieveWomen, #IBelieveHer, #BelieveSurvivors, #IBelieveHer, #StopKavanaugh hanno raccolto storie, istanze e supporto. Come è successo anche in Italia con #quellavoltache.
Deluse, ma non ferme
Ora, a giuramento avvenuto, tra comprensibile rabbia e delusione, le donne si stanno organizzando e stanno raccogliendo fondi per sostenere candidati e candidate che sostengono le loro cause al Congresso, il parlamento americano che si rinnova il prossimo 6 novembre con le elezioni di metà mandato, i midterm.
La nomina di Kavanaugh è stata confermata, ma è stata combattuta. L’opinione pubblica si è spaccata e le voci delle sopravvissute alle violenze si sono fatte più forti. Certo, ha vinto ancora una volta chi si tappa le orecchie e cerca di non sentire il rumore, aggrappato ai propri privilegi. Ma in modo sempre più deciso le sopravvissute alle violenze stanno trovando la loro voce, e una comunità che le ascolta e sostiene.
Il prossimo passo è ampliare questa comunità e spezzare la connivenza di una parte della società col potere maschilista, mettere in discussione una volta per tutte l’inattaccabilità di uomini ricchi e potenti come Kavanaugh.
Il giudice, in modo esemplare, si piazza esattamente all’intersezione tra potere maschilista e pretesa di gestione del corpo delle donne: contro l’aborto, contro il diritto di difendersi e accusare. Rappresenta in modo perfetto il privilegio e l’autoassoluzione, la possibilità di accedere al potere che permette di cambiare le leggi a proprio piacimento, il peso quasi zero che la società americana dà ai traumi delle donne, alla violazione dei loro corpi, e quello notevole che invece attribuisce alle lacrime stucchevoli di chi è abituato ad avere tutto.
La lotta è ancora una volta quella che si combatte sui nostri corpi e ai danni della nostra autodeterminazione, negli Stati Uniti come a Verona, dichiarata “città della vita” dove si finanziano con fondi pubblici le associazioni cattoliche contro l’aborto.
Ma nessuna di noi ha intenzione di smettere di combattere.
In questi ultimi anni il femminismo è stato capace di raccogliere le esperienze e le volontà delle donne in tutto il mondo e di fare da moltiplicatore di forze. La coscienza collettiva è cresciuta, abbiamo ripreso ad organizzarci e in Italia è nata Non Una Di Meno sulla scia del Ni Una Menos delle compagne sudamericane.
A livello mondiale lo sciopero delle donne in occasione dell’8 marzo, le iniziative contemporanee in tanti paesi, il movimento #MeToo stesso, sono il segnale concreto del fatto che la rete internazionale ci permette di agire da gruppo di pressione. La rete ci sta permettendo di farci sentire, continuiamo a scendere in piazza, ad organizzarci e a mantenerla viva.