Sul film Wonder Woman della regista statunitense Patty Jenkins (Monster, 2003) si è accumulata negli anni una quantità spaventosa di aspettative: si tratta del primo film tratto da un fumetto girato da una donna.
Dal suo successo potrebbe dipendere la costituzione di un vero filone di cinecomic dedicato alle supereroine. I due tentativi più recenti, Catwoman (2004) ed Elektra (2005), hanno incassato pochissimo e sono stati fatti a pezzi dalla critica: un insieme di cliché sessisti imbarazzanti il primo, inconcludente e piatto il secondo. Il loro fallimento ha condizionato l’industria del cinema, già di suo poco propensa a produrre cinecomic con protagoniste delle donne.
Inoltre la saldatura fra il mondo dei fumetti, tradizionalmente popolato perlopiù da uomini eterosessuali, e un cinema che pensa alle donne come quasi esclusivamente interessate alle commedie romantiche, ha probabilmente contribuito a uno stallo di più di dieci anni nella produzione di un nuovo film con protagonista assoluta una supereroina.
Ma non basta: Wonder Woman è anche una vera icona femminista, nata nel 1941 per incarnare e portare avanti le lotte delle donne ed essere un modello alternativo al tradizionale stereotipo di genere. Anche per questo ad aspettarla al cinema a giugno, al suo primo film da protagonista, c’erano tantissime donne, molto più consapevoli di sé del pubblico di un decennio fa.
La valenza politica di Wonder Woman
Le proiezioni hanno preso una piega politica quando il cinema texano Alamo Drafthouse ha riservato alcuni spettacoli alle donne. Gli incassi sono andati a Planned Parenthood, l’associazione americana al centro del fuoco incrociato dei conservatori per il suo impegno a favore della contraccezione e dell’aborto.
Alcuni uomini hanno denunciato l’iniziativa come una discriminazione, richiedendo provocatoriamente delle proiezioni di Thor e altri supereroi riservate a un pubblico esclusivamente maschile.
Le loro proteste mi hanno ulteriormente convinta del significato intrinsecamente politico del film, viste le reazioni della parte più conservatrice delle nostre società occidentali al progressivo sgretolamento dei ruoli e degli stereotipi di genere.
Nonostante le proteste le proiezioni per sole donne si sono tenute e in tante hanno voluto assistere, sperimentando un senso positivo di sorellanza ed identificazione.
My producer just sent me this… ABSOLUTELY INCREDIBLE! This makes every hard day worth it. Thank you to whomever wrote it!!❤️❤️❤️❤️❤️❤️ pic.twitter.com/3DzIaMueIh
— Patty Jenkins (@PattyJenks) 11 giugno 2017
Donne viste dalle donne
L’identificazione è a mio parere l’elemento di forza di Wonder Woman: aspettavo da tempo un cambio di prospettiva che mi mostrasse una donna vista dagli occhi di una donna, senza quegli elementi di sessualizzazione a tutti i costi, gli ammiccamenti e i movimenti studiati per compiacere il pubblico maschile eterosessuale, che snaturano i personaggi femminili, come se l’unico scopo delle donne fosse sedurre gli uomini.
Per quanto mi possa impegnare, identificarmi con Superman o Batman non mi riesce.
La prima parte del film, per me la più riuscita e la più significativa, vede Diana crescere fra le Amazzoni, donne di tutte le età ed etnie che popolano da sole l’isola di Themyscira. Abituata a vedere film in cui gruppi di soli uomini sono i protagonisti o perlomeno occupano la maggior parte della scena, vedere un popolo di sole donne sullo schermo mi ha fatto capire, quasi togliendomi il respiro, quanto sia esiguo lo spazio femminile nei film.
Quasi come se avessi dubitato della cosa, mentre in realtà semplicemente non l’avevo mai presa in considerazione, la rappresentazione delle Amazzoni restituisce tutta la complessità dei ruoli di una società, assegnando ogni tipo di compito alle donne, con una naturalezza che dovrebbe essere scontata, ma evidentemente ancora non lo è.
A Themyscira l’assenza di uomini non viene vissuta come una mancanza, ma lascia spazio a dinamiche non condizionate da battute machiste e pudicizia.
Le Amazzoni indossano pochi abiti senza che questo abbia una connotazione sessuale, ma solo una questione di praticità nel combattimento e di clima determina il vestiario: il loro corpo è semplicemente un corpo e loro si vedono, finalmente, come mi vedo io in quanto donna e come credo la maggior parte delle donne si veda: persone autosufficienti, non creature diverse dallo standard, che ancora in tanti casi è rappresentato dalla figura maschile e lascia spazio a molti sottintesi gerarchici.
Lo sguardo, finalmente, è rovesciato rispetto alla norma, i corpi in combattimento sono dinamici e le inquadrature non indugiano dal basso verso l’alto o su particolari su cui nessuna donna, se dovesse parlare di sé, si tratterrebbe. Il popolo di guerriere si racconta per come si vede allo specchio, e non per come lo vedrebbe un uomo.
Una supereroina nel mondo degli uomini
Le dinamiche cambiano nettamente con l’arrivo di Steve Trevor sull’isola, che con sé porta la guerra e un machismo goffo. Gli uomini e la loro società hanno regole insensate e confuse per Diana, che in questo film sulle sue origini non è ancora la Wonder Woman adulta ed esperta.
Per questo certe sue ingenuità sono secondo me giustificate fra persone con un orizzonte culturale diverso da quello amazzone, ma dal mio punto di vista non è giustificata la sua placidità davanti a un comprimario come Steve, che dal suo apparire sullo schermo non fa altro che indirizzarla verbalmente e fisicamente, come se si trattasse di una bambina.
Steve invade continuamente lo spazio personale di Diana, spostandola, accompagnandola, con una mano spesso sulla schiena della principessa e la tendenza a parlare al posto suo. Quello di Steve può essere un comportamento normale per la società della Grande Guerra, ma non per una donna abituata ad essere autonoma e rispettata. E neanche per me, che non sono di certo una principessa guerriera.
Nel mondo degli uomini, Diana deve subito avere a che fare con le regole di vestiario, la presenza di gerarchie di genere e gli apprezzamenti continui e fastidiosi, nonostante lei sia il vero motore della storia e la persona che affronta e sconfigge il nemico.
Wonder Woman ha una forza trascinante e poco tempo per le etichette e le prassi: superato il disorientamento iniziale riprende il terreno che Steve e i suoi compagni erano convinti di occupare. Ma persino lei deve guadagnarsi la stima degli uomini per essere rispettata.
Wonder Woman è un film femminista?
Alcune critiche al film hanno trovato forzato il sacrificio di Steve Trevor, che in realtà come tutti i comprimari è sacrificabile, a differenza della protagonista con cui stringe una relazione.
Altre hanno puntato il dito contro il concetto di amore come spinta all’operato delle Amazzoni. In realtà si tratta di elementi fedeli al fumetto cui il film è liberamente ispirato e di un concetto di amore diverso da quello romantico. Il sentimento di affezione per la Terra e di compassione per gli esseri viventi è comunque amore, anche se il termine può risultarci melenso.
Ma, com’è ovvio quando si parla di personaggi femminili così potenti, tante analisi si sono focalizzate su un aspetto in particolare: Wonder Woman può essere considerato un film femminista?
Indubbiamente lo spirito del film lo è. Wonder Woman a livello simbolico, già prima dell’effettiva uscita nelle sale, ha rappresentato un riscatto per la figura femminile cinematografica. A tante di noi che ci sentiamo diverse dagli stereotipi delle commedie romantiche, Wonder Woman ha comunicato che non abbiamo nulla di sbagliato, ma che, al contrario, c’è tanto altro da esplorare per quanto riguarda i personaggi femminili.
Le scene con i combattimenti delle Amazzoni e con Diana in trincea contro i tedeschi, sono potentissime e urlano quella forza e quella determinazione troppo spesso considerate lontane dalla natura femminile. Polverizzano le convinzioni sulla fragilità e sulla necessità di protezione delle donne. La società delle guerriere ci mostra finalmente lontane dal ruolo di ancelle di valorosi condottieri, con il risultato di trasmettere forza e fiducia.
D’altro canto però questa logica di orgoglio e indipendenza cade nell’osservare i rapporti fra Diana, Steve e i mercenari. Troppo tempo sullo schermo per un comprimario, troppo rilievo nelle varie scene e troppe pretese paternalistiche che non vengono mai smorzate e risultano poco plausibili.
I rapporti di potere fra l’eroina e il comprimario durante la seconda parte del film spesso sono sbilanciati a favore della spia britannica. È una dinamica che stride con il personaggio di Diana e forse è stata una scelta voluta per far sentire coinvolti anche gli spettatori maschili più convenzionali.
Tuttavia l’impresa di Patty Jenkins è stata di enorme impatto. Wonder Woman è stato finora il film più twittato del 2017 ed è il film di una regista che ha guadagnato di più nel primo fine settimana di programmazione, nonché il miglior esordio per un film supereroistico. Il contratto di Patty Jenkins si è concluso con questo film, nonostante la casa produttrice Warner Bros commissioni sempre due cinecomic per regista, e il pubblico si sta interrogando su questa scelta chiedendo un sequel.
In barba all’adagio “Women don’t sell” (le donne non vendono), popolarissimo a Hollywood ma non solo. Forse siamo sulla buona strada.