Il 10 dicembre è stato consegnato il premio Nobel per la Pace a Nadia Murad e al dottor Denis Mukwege, per la loro lotta contro gli stupri utilizzati come armi da guerra nei conflitti armati. Qualche giorno dopo, al Forum di Doha sul Medio Oriente, Nadia Murad ha rivelato nuovi dettagli delle violenze dell’Isis contro il popolo yazida (lo yazidismo è una fede religiosa precedente all’Islam).
Nadia Murad Basee Taha lo stupro l’ha vissuto sulla propria pelle e racconta in giro per il mondo le sofferenze patite durante i sei mesi di prigionia a Mosul, catturata e resa schiava sessuale dai miliziani dell’Isis insieme a migliaia di donne, come lei, curde yazide.
Ascoltare quei racconti agghiaccianti, narrati con la voce e gli occhi di chi ridiscende incessantemente all’inferno, non è semplice. E non è semplice nemmeno cercare di capire profondamente cosa ancora subiscano attualmente le donne che non sono potute fuggire dalla prigionia.
Nadia, ancora oggi, narra e rievoca gli abusi subiti, le umiliazioni, la violenza fisica e psicologica di quei mesi, il dolore incessante per i suoi cari uccisi brutalmente e cerca, con la sua testimonianza, di aiutare tutte quelle donne che non ce l’hanno fatta a liberarsi e riscattarsi.
Quando venne rapita, Nadia aveva solo 21 anni e un’intera vita da immaginare ancora. Viveva nella fattoria di famiglia a Kocho, un villaggio nell’Iraq settentrionale, con la madre e 12 sorelle e fratelli: era l’agosto del 2014 e la sua vita cambiò radicalmente e improvvisamente.
La mattina del 15 agosto tutto il villaggio fu costretto a presentarsi di fronte alla scuola. Suddivisero le donne, le ragazze e i bambini (al piano di sopra) dagli uomini (al piano terra). Tutte le donne quella mattina videro trucidare i propri uomini, fratelli, figli: sei fratelli di Nadia, morirono così. Divisero, poi, le ragazze giovani (e non sposate) dalle anziane. Sua madre fu una di quelle 80 donne di cui non si seppe più nulla, suo nipote invece fu rapito e ora è diventato un guerrigliero dell’Isis e ha minacciato di ucciderla.
Si stima che circa 6mila persone vennero rese schiave, stuprate, comprate e vendute, sterminate dai membri del Califfato semplicemente perché appartenenti a un’altra religione e per non essersi mai volute convertire: donne considerate infedeli – e per questo – catturate e trasformate in beni materiali di cui disporre a piacimento e in base agli appetiti del momento.
Ciò che successe dopo è solo sofferenza, stupri ripetuti, pestaggi selvaggi, torture, cicatrici fisiche e psicologiche, tratta di donne sballottate e utilizzate come strumenti di sollazzo, svago sessuale di capi e miliziani jiahdisti. Dopo un primo tentativo di fuga venne sottoposta a uno stupro di gruppo come punizione.
La prigionia di Nadia si concluse sei mesi dopo la cattura, con una rischiosa fuga avvenuta in seguito a una distrazione di uno dei suoi aguzzini. Venne ospitata e nascosta dalla famiglia che le diede rifugio per una quindicina di giorni e che le procurò una carta d’identità falsa mettendola in salvo, in un campo profughi nel Kurdistan iracheno.
Da donna libera è diventata subito la portavoce del genocidio dei curdi yazidi, un’attivista coraggiosa che lotta costantemente per il movimento di liberazione delle circa 3.500 donne e bambine che ancora oggi vivono come schiave sessuali nei territori dello Stato Islamico.
Il suo è un messaggio positivo che non sconfina mai nell’odio, è una richiesta di giustizia, una denuncia struggente, ma soprattutto l’invito a mantenere intatta la fierezza per le proprie radici ferite ma mai distrutte.
Con le sue parole devastanti, con la sua storia atroce e quelle profonde cicatrici, la giovane Nadia ci insegna quanto la vita sia più forte del dolore, e ci mostra con sconcertante semplicità come ci si possa riscattare dal male subito grazie al bisogno viscerale di aiutare per potersi sopravvivere.
Così Nadia si racconta in un’intervista Rai:
Mi sento vecchia. Ho 21 anni, lo so che sono giovane. Ma è come se nelle loro mani ogni parte di me fosse cambiata: ogni millimetro del mio corpo è diventato vecchio.
Sono stata consumata da quello che mi hanno fatto, e ne sono uscita totalmente diversa. Non avrei mai pensato che potesse succedermi una cosa simile, e non riesco a trovare le parole giuste per spiegarlo.
Nadia Murad ha ricevuto il Václav Havel Human Rights Prize e il Sakharov Prize, il Clinton Global Citizen Award, il Premio per la Pace delle Nazioni Unite in Spagna, è la prima Ambasciatrice di Buona Volontà dell’ONU per la dignità dei sopravvissuti alla tratta degli esseri umani, ed è stata insignita, insieme a Denis Mukwege, del Premio Nobel per la pace 2018.
Ha voluto dedicare il premio alle innumerevoli vittime della violenza sessuale nel mondo, nella speranza che questi efferati crimini vengano debellati per sempre. Un segnale fortissimo nel clima politico in cui viviamo, in cui le conquiste per l’autodeterminazione delle donne e del loro corpo vengono di nuovo messe in discussione.