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Gruppo o branco: tu da che parte scegli di stare?

In questi giorni due fatti mi hanno incredibilmente colpito, due avvenimenti completamente differenti che hanno dei punti in comune: la presenza di un gruppo di persone, la rappresentazione femminile e l’autoaffermazione.

La forza del gruppo

Il tema “gruppo” mi ha sempre affascinato, fin da quando ho iniziato a studiare psicologia sociale. Sapere che un individuo può diventare improvvisamente “materia liquida”, che si modella in base alle dinamiche che nascono e si formano nel gruppo mi ha sempre attratto ma anche spaventato.

Il fascino per me risiede nel potere immenso di trasferire un’idea, di farla diventare da singola a collettiva, di sovvertire insieme al gruppo gli schemi che non ci piacciono o che vogliamo abbattere.

Questo fascino lo ritrovo ad esempio nelle Women’s March di sabato 21 gennaio, manifestazioni che hanno dato un segnale potente al mondo, quello di persone libere che hanno scelto di marciare in gruppo per la propria libertà e per i propri diritti, unite da degli ideali.

Una conferma di come il gruppo sia una modalità per potersi autoaffermare e autodeterminare, anche singolarmente: il gruppo ha questo magnifico potere, quello di essere una cassa di risonanza potentissima per alimentare la nostra affermazione come individui.

Il nostro personale sentire diventa il sentire in comune.

Quando il gruppo diventa branco

Non ho potuto non confrontare questa esperienza con le notizie che si sono susseguite ultimamente su gruppi chiusi nell’universo di Facebook, gestiti da soli uomini e inneggianti allo stupro virtuale. Nonché all’esistenza di cartelle condivise con foto di donne, scattate di nascosto o ricevute in forma privata.

Vorrei precisare che non sto facendo questo confronto per rimarcare una superficiale distinzione tra maschi e femmine (anche perché alle Women’s March hanno fortunatamente partecipato tantissimi uomini) ma perché si tratta di due situazioni che hanno come soggetto la collettività in modo totalmente differente.

In questo caso, infatti, la dimensione “umana” si smaterializza e il gruppo diventa supporto, complice nel tirare fuori il peggio di noi.

Ho sentito parlare di “istinti bestiali”: in realtà in questa occasione l’istinto ha una rilevanza pressoché nulla. Quello offerto è un codice di comportamento tipico delle dinamiche in cui il gruppo si trasforma in branco, in questo caso perpetuando una cultura maschilista e sessista.

Nel branco il pensiero individuale si organizza attorno alla potenza della suggestione collettiva, condizionata dal bisogno di farsi vedere dagli altri per poter essere “riconosciuti”.

Tu in che tipo di gruppo scegli di stare?

Questi sono due esempi estremi.

Da una parta la forza aggregativa del gruppo può diventare una vera e propria forza generatrice di cambiamento, fino a essere d’ispirazione per realizzare qualcosa di concreto per sovvertire gli schemi imperanti.

Dall’altra la forza aggregativa si basa sugli elementi negativi di una società che spesso tollera, alimenta e normalizza le prevaricazioni, senza rendersi conto del pericolo della deriva che corriamo.

Spesso fenomeni come il cyberbullismo, le hate words e il revenge porn vengono etichettate come bravate, ma in realtà sono dinamiche violente che meritano attenzione e riflessione.

Di fronte a questi tipi di gruppo, simili ma opposti, che esercitano sul singolo la loro forza aggregante amplificata dai social network, credo che sia importante soffermarsi sull’importanza della scelta.

Ognun* di noi è costantemente di fronte a delle scelte, non si può scappare: e allora non facciamoci fagocitare da queste dinamiche collettive senza rifletterci.

Scegliamo con coscienza da che parte stare, scegliamo di tenere gli occhi aperti e vigili, scegliamo un modo positivo per esprimere la nostra autoaffermazione.

Spesso quando si parla di autoaffermazione si fa convergere il suo significato con quello dell’appropriazione di un ruolo, io invece vorrei che potessimo scoprire sempre la possibilità di realizzarci non conformandoci a un modello sociale dominante ma esprimendo la nostra personale soggettività e identità.