Esiste sessismo nel mondo dei giochi di ruolo? Su un campione di oltre 4mila persone intervistate, il 18% di quelle che si riconoscono nel genere femminile e non binario (il 33% del totale) hanno dichiarato di aver subito discriminazioni, con un’alta frequenza di episodi di stupro del personaggio interpretato o di altre forme di sessualizzazione non consenziente del gioco.
La ricerca è stata condotta da Donne, dadi & dati, il primo gruppo di ricerca italiano su gioco di ruolo e discriminazioni, nato nel 2018 dall’esigenza di fotografare la situazione della comunità italiana dei giochi di ruolo per scoprire se e in che misura esiste discriminazione (in particolare di genere, ma non solo) in questa nicchia sociale, tradizionalmente discriminata a sua volta.
Il progetto DD&D è nato intorno all’omonima pagina Facebook e oggi ne fanno oggi parte persone dai background più disparati: attivist* per i diritti delle minoranze, studentesse e studenti di materie umanistiche, divulgatrici e divulgator* di gioco di ruolo, semplici appassionat*.
L’obiettivo principale è stato subito identificato nel raccogliere direttamente dati reali per dare una base concreta – e quindi più solida rispetto all’opinione personale – al dibattito sul tema della discriminazione delle minoranze (di genere, orientamento sessuale, etnia, disabilità) nel settore.
Il sondaggio, intitolato Gioco di ruolo e discriminazione, è stato diffuso online per circa un mese e ha raccolto oltre 4mila partecipazioni: la corposa mole di dati ottenuta è stata poi analizzata e interpretata da un team di cinque persone del gruppo Donne, dadi & dati, che dopo un anno di lavoro ha prodotto un report presentato ufficialmente all’ultima edizione del PLAY, il festival del gioco di Modena, e oggi scaricabile qui.
Ma facciamo un passo indietro: che cos’è il gioco di ruolo e quale posto hanno occupato le donne nella community fino ad oggi?
Tutto ebbe iniziò nell’800 con i wargame, i giochi di guerra utilizzati per addestrare gli eserciti prussiani simulando battaglie tramite lo spostamento di pedine o miniature su un tavolo (e la guerra, si sa, fu un dominio esclusivamente maschile fino al secondo conflitto mondiale). Poi se ne colse la potenzialità ludica e nel 1913 Herbert George Wells pubblicò il regolamento di Little wars (“Piccole guerre”), pensato esclusivamente come gioco.
“Un gioco per ragazzi dai dodici ai centocinquant’anni e per quel genere di ragazze più intelligenti a cui piacciono i giochi da ragazzi e i libri“, si poteva leggere nella copertina interna della prima edizione. Le giocatrici, quindi, vennero prese in considerazione, seppur con alcune premesse affatto insolite per l’epoca, che presupponevano una particolare intelligenza in quelle ragazze che mostrassero interesse per giochi e libri tipicamente maschili.
Negli anni successivi cominciò a prendere forma il gioco di ruolo (questo termine comparve per la prima volta solo nel 1934, in ambito psicologico), che fondeva il concetto alla base dei wargame con la narrazione di storie e la recitazione, e nel 1974 uscì la prima edizione di Dungeons & Dragons, quello che ancora oggi è conosciuto come il gioco di ruolo per eccellenza.
“Perché le donne non giocano ai wargames? La risposta è semplice – la maggior parte di loro non ha sentito parlare del gioco fantasy che permette ai giocatori di usare a pieno immaginazione e intelletto in un sistema di gioco di ruolo unico e stimolante! Un gioco che le donne possono giocare con la stessa soddisfazione degli uomini! Ecco perché: si entra in un mondo di spade e stregoneria con Dungeons & Dragons”.
Questa variante delle prime pubblicità di D&D comparve a tutta pagina in un numero della rivista Fantastic Stories del 1977. All’epoca la TSR, la casa editrice fondata da Gary Gygax, aveva identificato il proprio target non solo nei giocatori, ma anche negli appassionati di letteratura fantasy, un terzo dei quali era donna.
Ma veniamo ai giorni nostri. Dungeons & Dragons è ancora molto giocato e ha anzi ottenuto una nuova giovinezza grazie al successo di film e serie tv di ambientazione fantastica come Il Signore degli Anelli nei primi anni 2000 e più recentemente Stranger Things.
Dal punto di vista dei contenuti, questo titolo è divenuto sempre più inclusivo e rappresentativo delle minoranze inizialmente dimenticate, relegate in secondo piano o rappresentate per stereotipi (ricordiamo, per esempio, che nella prima edizione di Advanced Dungeons & Dragons, pubblicata nel 1978, i personaggi di genere femminile potevano avere un valore massimo di forza inferiore di un punto a quello che potevano ottenere i personaggi di genere maschile).
Il panorama dei giochi di ruolo, nel frattempo, si è allargato parecchio e offre oggi molteplici sistemi e ambientazioni diverse con cui un gruppo di persone può divertirsi a inventare collettivamente storie, personaggi da interpretare e nemici da sconfiggere, fisici o metaforici. Esiste praticamente un gioco di ruolo su qualsiasi argomento, googlare per credere (persino uno ispirato alla campagna “Quella volta che…” promossa anche da Pasionaria.it).
Ciononostante, anche nella community italiana del gioco di ruolo persiste quello che oggi è definito gatekeeping (letteralmente “custodia del cancello”), cioè l’esclusione da specifici contesti culturali di una persona o di un gruppo di persone a causa del loro genere, orientamento sessuale, colore della pelle oppure della loro abilità, esperienza, cultura e altro, da parte di figure, dette appunto gatekeeper (“custodi del cancello”), che occupano o sostengono di occupare la posizione di maggiore esperienza in un determinato ambito e, in virtù di questo, filtrano attivamente l’accesso ad esso o alle informazioni relative ad esso.
Per quanto riguarda il gioco di ruolo, questo fenomeno è particolarmente accentuato nei confronti dei generi oppressi, in primis le donne.
Ne sono esempi lampanti le reazioni sessiste ad alcuni eventi con protagoniste femminili che hanno recentemente avuto una certa rilevanza nel mondo del gioco di ruolo: dall’annuncio dell’assunzione della youtuber Kate Welch come game designer proprio per Dungeons & Dragons, al lancio in streaming della campagna Relics and Rarities condotta dall’attrice e accanita giocatrice di D&D Deborah Ann Woll. Il commento che segue, ad esempio, è stato lasciato da un utente con un nome maschile proprio in reazione a quest’ultima notizia.
Eppure le giocatrici di ruolo, in Italia, ci sono, e non da adesso, ma quando alzano la mano per dire la loro in queste piazze virtuali si sentono spesso dire che sono eccezioni straordinarie, una sparuta minoranza disseminata per il Bel Paese, e che “non sono come le altre ragazze”.
Ma è davvero così?
Proprio questa domanda ha portato Giulia Cursi e me, Claudia Pandolfi, a fondare un anno fa Donne, dadi & dati.
Quello che il gruppo di ricerca si augura è che, anche grazie al suo lavoro di ricerca, si sviluppino intorno a questi temi sempre più interesse e sensibilità, sia da parte del mondo accademico, sia da parte di giocatrici, giocator*, Master, game designer e staff di fiere ed eventi dedicati al gioco di ruolo, dando per scontato che tutte queste figure abbiano come interesse principale la condivisione di questa passione, il divertimento dei gruppi di gioco in essa coinvolti e naturalmente la propria soddisfacente esperienza di gioco.
Ci auspichiamo che il nostro lavoro possa rivelarsi per chi sta leggendo un valido pretesto per mettere in discussione il proprio modo di relazionarsi con le persone con cui gioca e per dotarsi degli strumenti utili a migliorarlo affinché la community diventi davvero inclusiva e accogliente per tutte, tutti, tutt*.