Veronica Fantoni, 30enne di Milano, è appassionata fin da bambina di fantasy e fantascienza, e da poco più di sei anni gioca di ruolo. Si è fatta le ossa come master (persona che dirige e modera i giochi) sia nelle campagne casalinghe con amiche e amici che in numerose serate in associazioni, fino ad arrivare a fare la dimostratrice per le case editrici nelle principali fiere ludiche.
Veronica è una giocatrice, ed è stufa.
Stufa di sentirsi dire che il gioco di ruolo non è cosa da donne, stufa di sentire che le donne giocano solo perché fidanzate, compagne o conquiste di qualcuno, stufa di vedere il corpo delle donne utilizzato per promuovere eventi e prodotti ludici. Come se già non ce ne fossero abbastanza, di pubblicità sessiste in giro per il mondo.
Automobili. Liquori. Colle siliconiche. Questo e tanto altro è stato pubblicizzato negli anni usando il corpo delle donne: prodotti senza alcuna attinenza con il corpo, prodotti tradizionalmente associati alla maschilità e acquistati in maggioranza da uomini. Seni, fondoschiena, labbra sono messi in mostra insieme alla merce per attrarre e compiacere lo sguardo del presunto compratore medio, il cosiddetto male gaze, lo sguardo dell’uomo eterosessuale che domina il mondo dell’immagine.
Ma il gioco di ruolo ha davvero bisogno di farsi pubblicità mediante corpi femminili in pose provocanti? È davvero questo ciò che cerca lo sguardo del giocatore medio? Secondo alcune realtà e aziende ludiche italiane sì, dato che ancora nel 2020 scelgono di chiedere alle donne di mostrare il proprio corpo per attrarre partecipanti ai loro eventi o vendere i loro prodotti.
Di recente, infatti, sono comparsi sui social alcuni post con cui si pubblicizzavano iniziative ludiche utilizzando foto di ragazze in pose provocanti o ammiccanti. Ragazze che, ci teniamo a sottolinearlo, hanno legittimamente acconsentito a questo utilizzo della propria immagine e che non giudichiamo. Ma una domanda ce la facciamo: chi ha fatto queste infelici scelte di marketing era consapevole della tossicità di questo genere di comunicazione, di quanto offensiva sia per giocatrici e giocatori?
Veronica Fantoni ha deciso di scrivere a Donne, dadi & dati, il primo gruppo di ricerca italiano su gioco di ruolo e discriminazioni inviando una foto con cui propone una protesta social contro la strumentalizzazione e il tokenism delle donne negli ambienti ludici (per “tokenism” si intende «considerare le donne al tavolo di gioco come un premio, una quota “rosa”, un vanto o una presenza da tollerare in quanto oggetto di interesse dei giocatori», come spiega l’indagine di Donne, dadi & dati scaricabile qua).
Alla campagna Player, not toy (“giocatrice, non giocattolo”) può aderire chiunque si identifichi nel genere femminile e ami il gioco da tavolo e di ruolo, pubblicando sui propri profili social una foto che la ritrae nei contesti in cui gioca mentre mostra un foglio con l’hashtag #PlayerNotToy (scaricabile ).
«Ho scelto di farmi avanti – racconta la giocatrice Veronica – perché, da giocatrice e master, sono stanca di quelle persone che giudicano me e le altre ragazze dicendo che giochiamo per farci vedere, giochiamo per fare compagnia al fidanzato, giochiamo perché siamo sfigate o troppo poco femminili; sono stanca di chi ci invita a giocare per potersi vantare di avere una donna al tavolo. Adesso basta.
Io ho avuto la fortuna di aver cominciato a giocare in un gruppo idilliaco da questo punto di vista: belle persone, dalle quali non mi sono mai sentita giudicata o messa da parte. Mi rendo conto che sono stata molto fortunata, per questo non riesco a tollerare la strumentalizzazione delle giocatrici: trovo che non dovrebbe essere una questione di fortuna. Tutte dovrebbero trovare un posto sicuro dove poter giocare in tranquillità, a prescindere da genere e competenze.
La mia iniziativa potrebbe essere solo una goccia in un oceano, ma spero che serva a sensibilizzare il nostro splendido mondo perché la mia fortuna diventi lo standard».
Anche i giocatori di genere maschile che vogliano mostrare il loro supporto possono partecipare: li sfidiamo a giocare con il double standard pubblicando sui propri profili social una foto che li ritrae all’interno dei propri contesti di gioco in una posa ammiccante simile a quella della modella con il dado, mentre mostrano un foglio con la scritta “Fallimento critico in comunicazione” (scaricabile ), e a condividerla con l’hashtag #PlayerNotToy.