Una volta al mese affrontiamo alcune delle questioni più controverse e meno indagate nell’ambito del femminismo intersezionale, dando la possibilità a lettrici e lettor* di fare direttamente le proprie domande a un* attivista che le vive in prima persona.
Questa volta è stata la volta di Ethan, uomo transgender e non binario, attivista queer e femminista, che ha risposto a tutte le domande che gli avete lasciato su Facebook e sul sito, che abbiamo raccolto in questo articolo.
Potresti definire le principali caratteristiche del genere non binario?
Una persona con identità non binaria non si riconosce e non riconosce la costruzione binaria del genere, ovvero l’idea che esistano solo due generi, uomo e donna. In maniera più opportuna, sarebbe meglio riferirsi non una pluralità di identità non binarie e non a una sola.
Trovo difficile individuare delle caratteristiche nell’universo liquido ed in perenne mutamento delle identità binarie, ma la prima è sicuramente l’esercizio critico del genere, il non ritenerlo una cosa data una volta per tutte, la continua riflessione.
Spesso, ma non sempre, una persona non binaria soffre meno, o per nulla, di disforia di genere. È maggiore la disforia sociale, ovvero per come si è percepiti dagli altri: questo può comprendere l’avversione per il proprio nome biologico, per un linguaggio e pronomi che identifichino la persona secondo il suo sesso e non secondo la sua identità di genere, per i ruoli di genere imposti.
Le persone non binarie – anche qui devo aggiungere spesso ma non sempre – armonizzano e non rifiutano aspetti attribuiti al genere maschile o femminile. Non si sentono “nati nel corpo sbagliato”, anche se possono voler modificare degli aspetti, ma vivono un corpo in cambiamento.
Sono persone comunque mediamente più libere dagli stereotipi di genere rispetto a coloro che si sentono, legittimamente e giustamente, a proprio agio nel paradigma binario.
Questa è una domanda che merita sicuramente approfondimenti in futuri articoli, quello che mi sento di dire è che le persone non binarie pongono in essere una critica performativa degli stereotipi e dei due generi binari, vi si confrontano, ne vengono influenzati e influenzano a loro volta. È una identità assolutamente dinamica e in continua evoluzione.
Che differenza c’è tra genere non binario, genderqueer, genderfluid e agender?
L’identità non binaria può essere vissuta e declinata in molte maniere e con molte sfumature. Questo ha portato ad avere tantissime definizioni, che possono fornire un’idea di come questo universo in continuo mutamento si rapporta con i due generi “principali”.
Genderqueer è sostanzialmente un sinonimo di persona con identità non binaria. Molte persone genderqueer non si riconoscono nel genere assegnatogli alla nascita e si definiscono (anche) transgender.
Sono genderfluid lepersone la cui identità oscilla lungo lo spettro di genere variando nel tempo. Una persona genderfluid può in qualsiasi momento identificarsi come maschio, femmina, genere neutro o qualsiasi altra identità non binaria.
Agender è un persona che non si identifica in nessun genere, letteralmente “senza genere”. Può trattarsi di una identità di genere non binaria o come una dichiarazione di non avere un’identità di genere.
Essendo queste identità in continua evoluzione, è bene utilizzare le definizioni sapendo che sono convenzionali e momentanee.
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A quale età ci si riconosce non binari?
La risposta è articolata, dipende molto dalla cultura in cui si è immersi. La cultura Occidentale ha completamente distrutto e invisibilizzato generi che esulavano dal binomio uomo/donna. Le ultime generazioni, con le informazioni a loro disposizione, riescono a riconoscersi prima rispetto, per esempio, alla mia.
Diciamo che io ho sempre avuto la consapevolezza di non rispondere alle aspettative sul genere che mi si attribuiva e che sapevo anche molto bene cosa ci si aspettasse da me e anche che non lo accettavo. Parlo di un’età molto precoce, prima dei tre anni. Recitavo la bambina in presenza di adulti e agivo come un bambino quando ero da solo o con coetanei. Sono arrivato alla completa elaborazione “sbagliando”, ovvero sperimentando prima i due generi e poi scegliendo tutto quello che mi faceva stare bene.
Quali sono le difficoltà fisiche o anche in termini sessuali, se ce ne sono, e le implicazioni psicologiche e sociali?
La prima difficoltà è quella di uscire dal ragionamento dicotomico e capire che non ci sono aspetti maschili o femminili, o meglio, lo stesso aspetto può essere vissuto in due, tre, mille modi. Un cambio di prospettiva insomma.
Di seguito il sesso viene completamente stravolto, cade il paradigma eteronormato della penetrazione e si scopre tutto il corpo, la bellezza di confondere i ruoli, il penetrare ed essere penetrati senza che la propria identità sia messa in crisi. Cambiano le carezze, i baci… la difficoltà maggiore è sperimentarlo e trovare dei partner disposti a farlo. Significa trovare partner che rinuncino anche al loro ruolo per rimettere tutto in gioco.
Per quanto riguarda le implicazioni sociali, distinguo, con licenza, tra “uomini” non binari e “donne” non binarie. Uso il termine uomo o donna per indicare come si è percepiti dalla società e non riferendomi all’identità di genere. Per le donne è lievemente più facile, poiché non è malvisto il fatto di “appropriasi” di ruoli, comportamenti o espressioni di genere maschile, ma si deve tenere conto che non si rispecchia più l’estetica femminile, andando incontro a pressioni sociali, critiche, molestie. Anche a livello di partner si possono vedere ridotte le possibilità… ma poco male, direi, se non si è accettati per quello che si è.
Più difficile è la condizione per chi viene percepito uomo e assume aspetti femminili. In questo caso si possono avere ripercussioni più serie sul lavoro, si può essere molestati o aggrediti. Un uomo che assume aspetti femminili viene spesso scambiato per omosessuale e questo aumenta ancora il grado di discriminazione.
Sugli aspetti psicologici: per quanto mi riguarda, dopo un iniziale periodo di confusione e rifiuto della mia identità, trovo di essere veramente molto più libero fisicamente e mentalmente.
In che misura è utile una definizione come quella del genere non binario, che sembra fatta apposta per scardinare gli stereotipi e quindi le definizioni stesse?
Rispondo dicendo che non vivo le identità non binarie come definizioni ma come pensiero in movimento. Le ritengo figlie del grande processo critico degli anni ’70, ammazzato dalla banalizzazione del pensiero della differenza. Queste realtà sovvertono i meccanismi di potere della parola e della narrazione.
Siamo già oltre Preciado e Butler. Quindi, è l’esercizio delle identità a sovvertire perché se le volessimo definire, come sono definite nelle varie pagine online e nei testi che ne parlano, perderemmo tutta la carica rivoluzionaria e costruttiva di questo esistere.
Trovo che queste esistenze siano vitali per ridisegnare la società e per arrivare anche alla parità dei sessi binari. Sono identità che, rielaborando e riducendo le differenze riducono la conflittualità. E sono odiate perché dimostrano che le differenze non sono biologiche.
Si può essere persone transgender e non binarie? Essere non binaria fa sì che tu non sia abbastanza trans?
Molte persone non binarie si definiscono anche transgender – persone che non si riconoscono nel sesso assegnatogli alla nascita – e questo non implica una contraddizione né una ridondanza. Dichiararsi non binari non solo rafforza la definizione di transgender ma aggiunge un modo profondo di vivere ed esprimere lo spettro di genere, di non limitarlo ai due: uomo e donna.
Il rapporto delle identità non binarie con e all’interno della narrazione di identità transgender è complesso e talvolta conflittuale. La narrazione transgender riguarda principalmente le persone binarie, ovvero, quelle che hanno un’identità appartenente a uno dei due generi e che affrontano l’iter di transizione per conformarsi il più possibile al sesso opposto a quello attribuitogli alla nascita.
Tale narrazione, sostenuta dalla definizione patologizzante – tuttora accettata da molte persone trans– basata sulla disforia di genere e sul percepirsi “nati nel corpo sbagliato” contribuisce a spingere le identità non binarie ai confini – se non fuori – del termine ombrello dell’identità transgender, a considerarle non “abbastanza trans”.
Molte persone non binarie, infatti, come ho già scritto, soffrono di disforia di genere in maniera ridotta, o non ne soffrono affatto e per questo, ma occorre tenere sempre presente che si sta parlando di una realtà difficilmente classificabile, spesso non ricorrono all’iter di transizione medicalizzata, ma vivono socialmente il genere cui sentono di appartenere. Questo può contemplare il cambio di nome, di pronomi nel riferirsi a se stessi ed una espressione di genere corrispondente alla propria identità.
Ti piacerebbe che il genere non binario fosse riconosciuto legalmente?
Sarebbe un passo fondamentale. Il riconoscimento legale, solitamente, viene a seguito della formazione di consenso dietro ad una richiesta. Questo significherebbe che, a livello culturale e sociale, si è arrivati ad un livello di familiarità con questa identità e con le conseguenze che porta, ovvero con un avvicinamento alla parità dei sessi. L’identità non binaria ha una natura intrinsecamente femminista! :)
Tale riconoscimento “riparerebbe” alla cancellazione delle identità altre rispetto alle binarie e riparerebbe, in parte, al danno culturale apportato dal femminismo della differenza, specialmente da quello degli ultimi anni.
Per rispettare il genere non binario quando si scrive generalmente si usano segni come l’asterisco, la x o la @, ma nel parlato come ci si può regolare?
Sarebbe fondamentale che la lingua italiana trovasse un modo per permettere alle persone non binarie che ne hanno bisogno di usare un genere neutro. Pensiamo per un attimo alla difficoltà di usare perifrasi per evitare il maschile o il femminile. O l’impossibilità di descriversi, di non poter qualificarsi. È una menomazione dell’esistenza.
Detto questo, alcuni non binari mescolano maschile e femminile. Io uso il maschile perché socialmente sono uomo. Nel parlato c’è chi usa la u come vocale finale o chi usa la ə che, foneticamente, è presente in molti dialetti italiani. La lingua italiana, tuttavia, si basa sulla distinzione sessuale binaria. Cambiare questa struttura in maniera ordinata e armoniosa richiederà un lungo lavoro.
In che misura ritieni che il tuo non riconoscerti in un genere binario sia influenzato dalla società: se è vero che il genere è per molti aspetti una costruzione socio-culturale, in cosa esattamente non riesci ad identificarti dell’essere uomo o donna?
Riusciamo a definire cosa è un uomo e cosa è una donna solo se accettiamo una definizione. E la definizione si contratta con la società. Quindi, sicuramente, anche la mia identità è figlia della cultura, dei tempi e della esperienza personale. Credo che la mia identità si sia formata come un puzzle, scegliendo, ovvero interiorizzando, quello in cui mi riconoscevo, quello che mi affascinava e sentivo più affine o che mi riusciva meglio.
Per riuscire meglio intendo proprio come capacità del corpo di muoversi e sentire. E questo mi porta a dirti che il mio essere non binario, e queer, non mi fa riconoscere la differenza sessuale come determinante tra i due sessi. Per me è solo un dato fisico. Non parlo a livello politico ma a livello di fare il genere, fare il sesso, fare il corpo.
Posso dirti che socialmente mi sento a mio agio nel riconoscermi nel maschile, ovvero in quello che viene riconosciuto al maschile, così come sessualmente e a livello relazionale. C’è poi un lato profondo che è intensamente femminile, ed anche qui mi riferisco a ciò che viene attribuito culturalmente alla donna. Dirò ancora, tutti questi aspetti sono così intimamente legati che a volte sono uomo, a volte donna e a volte sono oltre.
Per terminare, ma credo che la tua domanda meriterà un approfondimento in vari articoli, sono convinto che queste identità abbiano trovato modo e parole per esprimersi grazie anche al grande lavoro del femminismo radicale, quello degli anni ’70. Non è un caso che finalmente ora femminismo intersezionale e queer stiano dialogando.
![genere non binario](https://pasionaria.it/wp-content/uploads/2017/06/genderbinary.jpg)
Anche certe persone cisgender hanno difficoltà a definire quali siano intrinsecamente le caratteristiche del genere femminile e del genere maschile, che non siano influenzato dalla società. Che cosa ne pensi?
Le persone cisgender che esplorano i propri lati non conformi allargano la comunità non binaria e aumentano le sfumature del genere e tra i generi. Chi afferma che le persone cisgender non hanno “questioni di genere” sbaglia a livello sostanziale e politico e conosce ben poco la storia del femminismo.
Il superamento dei conflitti sociali tra i generi potrebbe passare proprio attraverso l’esplorazione e la critica delle norme e delle definizioni e le identità non binarie, sovvertendo i meccanismi di potere della parola e della narrazione, esercitando il genere, facendo il genere, facendo il corpo sono, con molta probabilità, la prosecuzione del discorso femminista radicale degli anni ’70.
Cosa pensi dello stereotipo secondo cui le persone non binarie sono in realtà donne cisgender che vogliono fare le “diverse” e soffrono di misoginia interiorizzata?
Spesso, specialmente per bocca di persone che aderiscono ad un’idea ormai obsoleta di femminismo, le donne non binarie – in questo caso uso il termine donne per indicare la percezione esterna e basata sullo stereotipo – vengono accusate di misoginia interiorizzata o di voler attirare l’attenzione.
Tale pensiero si fonda sulla convinzione che i generi siano due, non comprendendo che si è davanti, invece, ad un genere che agisce se stesso e che non si basa su stereotipi. Questo tipo di affermazione banalizza le questioni di genere, rafforza la conflittualità tra uomo e donna e nega l’esistenza di una identità di genere.
Inoltre, trovo questo pensiero altamente misogino perché sottintende che le donne non abbiamo certe qualità e che, quindi, debbano scimmiottare gli uomini. Ricordo però che le donne non binarie non sempre sono mascoline o androgine, ce ne sono di super femminili che vivono la loro identità non binaria attraverso altri aspetti.
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Come ti sembra vengano percepite all’interno della cosiddetta comunità LGBTI le identità non binarie? Siamo pronti, noi per primi, ad accogliere soggettività fuori dagli schemi?
La comunità accoglie queste identità a fortune alterne. A volte male, perché l’attaccamento ai confini identitari è forte ed è anche politicamente più facile e proficuo, a breve termine, mantenere identità ben definite.
Le considero, tuttavia, scelte politiche miopi e che non vanno minimamente ad intaccare i meccanismi di inclusione/esclusione su cui si basa l’attuale società. I manifesti dei vari pride di quest’anno mi fanno ben sperare e anche tutte le collaborazioni locali che sto vedendo nascere. La strada è ancora lunga.