Scrollarsi di dosso gli stereotipi è un lavoro estremamente faticoso, anche per chi li combatte. Lo conferma l’attenzione nei confronti di Melania Trump da parte di molte persone che si dichiarano antisessiste, se non femministe.
Non parlo dei beceri insulti di chi se la prende con lei per attaccare il marito, ma dei numerosi articoli, commenti e meme secondo cui la nuova First Lady sarebbe succube del suo consorte, tanto da sentire il bisogno di lanciare l’hashtag #FreeMelania (“Melania libera”).
Our favourite from the womens march against Trump! #freemelania pic.twitter.com/XaSpdidMbJ
— nicki grihault (@izzysilvester) 21 gennaio 2017
La presunta infelicità e sottomissione della moglie di Trump si basa su tesi tutt’altro che scientifiche, tra le quali:
- Melania non sorride quasi mai
- Melania non ama parlare alle folle
- Melania è schiva
E se questo non basta a convincervi, ecco spuntare come funghi video e foto in cui vengono confrontati i coniugi Trump ai coniugi Obama, della serie: “Ma che cafone Donald che non aspetta Melania! Non ci sono più i gentiluomini di una volta, signora mia!”.
You can tell a lot about a man from how he treats his wife #freeMelania pic.twitter.com/DIQKBvWGcs
— God’s Princess (@amberlockhert) 22 gennaio 2017
Ora, io mi chiedo, ma voi che alla Women’s March sbandieravate i cartelli con su scritto #FreeMelania, ma sul serio pensate che Melania Trump non sappia chi ha sposato?
Facciamo un passo indietro e basiamoci sui fatti (o perlomeno su Wikipedia).
Melania Knauss ha sposato Donald Trump nel 2005, ben dodici anni fa. A quei tempi l’attuale presidente Usa era già un miliardario esibizionista e sbruffone e aveva alle spalle due divorzi. Melania, invece, aveva 35 anni, parlava sei lingue ed era già arrivata ai gradini più alti della scala sociale lavorando come modella in ogni angolo del mondo da quando era sedicenne.
Tutto si può dire di Melania, insomma, tranne che fosse una ragazzina ingenua e sprovveduta.
E qua torniamo ai perniciosi stereotipi, che resistono a ogni dato di realtà: l‘idea che la signora Trump sia una povera vittima ricalca appieno il topos della “damigella in pericolo“.
Uno stereotipo così comune e dannoso (pensiamo, ad esempio, ad alcune deleterie campagne contro il femminicidio) che le femministe anglofone gli hanno dedicato un apposito acronimo, DID (“damsel in distress“, appunto), con cui indicare tutte quelle situazioni in cui le donne vengono rappresentate come persone che hanno bisogno di essere salvate.
Pensare che la signora Trump abbia bisogno di essere “liberata” è decisamente antifemminista.
Perché presuppone che Melania non sia responsabile delle sue azioni, ma solo una marionetta del marito. Presuppone che affiancarlo nella campagna elettorale e in ciò che ne consegue non sia una sua scelta, ma una costrizione. Vuole negare che Melania sia una donna che sa esattamente quello che fa.
In poche parole: è una tesi che nega la sua consapevole autodeterminazione.
Ossia ciò per cui, in teoria, dovremmo lottare noi femministe: la libertà di tutte le donne, anche quelle che non apprezziamo, ad autodeterminarsi.
Affermare che questa libertà non sia davvero tale se una donna compie delle scelte che noi reputiamo non femministe (come quella di stare un passo indietro rispetto al marito), ci fa cascare in un tranello molto pericoloso: pensare di avere il diritto di aiutare donne che non hanno nessun bisogno o nessuna voglia di essere aiutate.
Un passo falso che allontana molte persone dal femminismo.
Come dite?
Dovrei farmi due risate perché #FreeMelania era solo un gioco?
Ironizzare sulla moglie di un uomo di potere, e in particolare sulla sua autodeterminazione, non è esattamente ciò che ci si aspetta da chi si dichiara femminista. Che, come tutti sanno, è una particolare specie umana priva di senso dell’umorismo.
Per cui sarò guastafeste fino in fondo lanciando un nuovo hashtag: #LeaveMelaniaAlone (“lasciate in pace Melania”).