Che cos’è il femminismo islamico? Che rapporto c’è tra il velo e l’autodeterminazione?
Una volta al mese affrontiamo alcune delle questioni più controverse e meno indagate nell’ambito del femminismo intersezionale, dando la possibilità a lettrici e lettor* di fare direttamente le proprie domande a un* attivista che le vive in prima persona.
Questa volta è stata la volta di Sveva Basirah Balzini, femminista musulmana, che ha risposto a tutte le domande che gli avete lasciato su Facebook e sul sito, che abbiamo raccolto in questo articolo.
Femminismo islamico
Qual è lo stato attuale del femminismo islamico: quali sono le sue esponenti principali e le rivendicazioni più importanti? Si parla di intersezionalità?
Il femminismo islamico non ha raggiunto gli stessi livelli in ogni paese e non si può definire definire un blocco monolitico, poiché esistono molte correnti di esso, e in ogni zona geografica si è sviluppato in modo più o meno reattivo. Ad esempio in Arabia Saudita è molto sofferto ma sta andando avanti velocemente, in Iran è particolarmente reattivo e anche in Tunisia i movimenti sono molto attivi. Le lotte sono, ovviamente, diverse e impiegano energie e necessità differenti. Non sempre è intersezionale e a volte è poco inclusivo nei confronti delle persone queer, ci sono dei movimenti più rigidi e attaccati ad una visione arcaica della religione, meno propensi alla laicità.
Voglio consigliare qualche nome è una lista di libri interessanti, che il mio gruppo di lavoro SLUM ha accumulato nel nostro magazzino (e ringrazio in particolare Martina e Ginevra per avermi aiutata a selezionare più libri per l’occasione).
Vi consiglio di seguire Amina Wadud e di leggere “Il Corano e la donna” e “Inside the gender jihad” (lo stesso nome, “Gender jihad”, è stato dato a un libro di Marisa Iannucci, che a parte molti errori di editing è interessante). Seguendola su facebook ti collegherai ad un sacco di cosine. Segui anche pagine come My Stealthy Freedom, personalità come Linda Sarsour, gruppi come WE WANT WOMEN IMAMS.
Di Renata Pepicelli “Femminismi islamici” e “Il velo nel’Islam”, o ” Oltre il velo” di Leila Ahmed per rimanere in tema.
Ti segnalo Anna Vanzan, che molti leggono, e ti ricordo l’intramontabile Fatima Mernissi.
“Your fatwa does not apply here” di Karima Bennoune e “Quando abbiamo smesso di pensare?” di Irshad Manji. Se vuoi qualcosa sulle radici femministe dell’Islam “Lontano da Medina” di Assia Djebar.
Non è moltissimo ma è un’infarinatura!
Qual è il rapporto tra il femminismo islamico e la queerness, specie negli aspetti più “controversi” e meno “lineari” relativi alle identità di genere?
Il femminismo islamico, specie nelle sue correnti meno rigide, tende davvero a inserirsi sotto l’ombrello queer. Queer, in fondo, e anche ritornare sul tema della poligamia, discutendo il diritto che molti uomini pensano di avere nello sposare più donne secondo l’Islam.
La famiglia poligamica, intesa come un marito che sposa più donne indigenti con il solo intento di mantenerle, non è affatto parte dei precetti obbligatori e visto che i tempi cambiano, oggi sarebbe giusto addirittura di parlare di poliamore, anche se il focus è giustamente sull’abuso di potere da parte di società maschiliste e patriarcali sulle donne. L’argomento identità di genere è molto interessante poiché addirittura paesi in cui è in vigore la Shar’ia riconoscono che l’Islam tratti dettagliatamente la questione della transessualità, basti pensare all’Iran, il cui Stato paga ai e alle transessuali l’operazione per il cambio di sesso.
Alcuni hadith, detti del Profeta (pace e benedizione su di lui), descrivono grandi comprensione e tolleranza da parte dell’Inviato di Allah verso i eunuchi, che egli stesso lasciava che fossero se stess* anche in casa sua. La questione dell’orientamento sessuale è più complicata, poiché le interpretazioni standard sono omofobe, ma nel Corano non vi è alcun accenno alla omosessualità femminile né esplicita condanna nei confronti di uomini che hanno rapporti consenzienti tra loro. La storia di Sodoma e Gomorra parla di sodomia, quindi di violenza, e coloro che la praticano e che mettono in atto altri orribili abomini, sono chiamati “musifrun”, “coloro che esagerano”.
Paradossalmente il mondo islamico e il femminismo islamico islamico tendono ad accettare più di buon grado la transessualità piuttosto che l’omosessualità, ma le cose vanno piano piano cambiando.
La questione del velo
Il velo non è un simbolo di sottomissione (anche per le suore cattoliche è infatti così)?
Il velo può essere molte cose. Per me un’espressione della mia fede, per, ad esempio una donna iraniana un’imposizione, per una malese una tradizione, per una donna curda un segno di appartenenza alla propria comunità e così via.
Può essere tutto e niente e anche se si rilevano delle tendenze differenti tra località e località, dovremmo sempre interrogare la volontà del singolo. Da un punto di vista islamico il velo non è una imposizione, né un gesto di sottomissione all’uomo. Per alcuni interpreti, però, può essere un segno di sottomissione a Dio… ma io continuo a vederlo come un segno distintivo, come è chiaro nel Corano.
Come si pronuncia correttamente “hijab”?
Il termine “hijab” si pronuncia correttamente “igèb” ma lo sentirai spesso pronunciare “igiab” soprattutto dagli anglosassoni. Addirittura la pronuncia di questa parola varia da paese a paese anche nei paesi islamici. È un suono molto dolce in ogni caso!
Nel dibattito pubblico, sembra che il tema dell’autodeterminazione delle donne di fede islamica nei paesi occidentali non possa prescindere dal giudizio sui loro costumi in tema di abbigliamento, quasi che il diritto di ogni donna di vestirsi/svestirsi come più le aggrada senza essere oggetto di condanna sociale assurga a metro dell’emancipazione femminile. Perché, secondo te, tale principio non si estende a chi indossa hijab, burqa, burkini – rispetto ai quali sembra, viceversa, operare una presunzione di costrizione?
Il femminismo occidentale tende a escludere e discriminare le donne musulmane e/o straniere. Forse perché queste donne, agli occhi di altre donne bianche e forse un po’ borghesi, sembrano, con la loro stessa esistenza, voler sgretolare la rivendicazione del corpo scoperto e dell’abbattimento della sessualizzazione del corpo femminile. Vige il pregiudizio che dipinge la donna musulmana come oppressa, ma questo stereotipo non aiuta né le donne che si sono autodeterminate coprendosi e/o professando una religione, né chi ha bisogno di aiuto o di imboccare un percorso di consapevolezza (che solo le donne e soltanto loro dovrebbero poter gestire).
Questo orrendo vizio di presunzione e il poco femminista mansplaining verso le donne musulmane e/o straniere ha il solo effetto di irrigidire una minoranza, e lo identifico come una variante dell’abolizionismo.
Prendiamo un paese la cui situazione mi interessa molto, la Francia. Io, davvero, ho sempre avuto un certo occhio critico verso l’attuazione dei principi laici in questo paese, poiché tendono a sminuire e proibire l’identità religiosa delle persone, che hanno tutto il diritto di esprimerla sul proprio corpo, andando a colpire soprattutto le donne con, a volte, il pretesto di volerle salvare dalla sottomissione all’uomo. Ancora una volta, tra una scusa e l’altra, il corpo femminile diventa un campo di battaglia politico e viene messo uno spesso cerotto sulla bocca di tutte le donne, compromettendo la loro possibilità di autodeterminarsi e incoraggiando la sfiducia o, in certi casi, l’estremismo religioso come reazione alla violenza dello Stato.
Ogni donna deve essere libera di autodeterminarsi, fare il mestiere che vuole, vestirsi come le va, gestire autonomamente il proprio corpo senza leggi o stigmi sociali che la costringano.
Toglieresti il velo in un mondo di sole donne?
Non toglierei il velo in un mondo di sole donne poiché questo è prima di tutto un segno distintivo e un’espressione della propria fede.
Il femminismo si trova ad affrontare spesso due posizioni apparentemente contrapposte relative all’hijab. Da una parte le rivendicazioni delle donne che in alcuni paesi (Iran, per esempio) lottano per superare l’imposizione dell’hijab e dall’altra le rivendicazioni delle donne musulmane che vogliono liberamente indossarlo nei paesi Occidentali e che subiscono per questo innumerevoli pregiudizi. Il centro del dibattito a mio avviso è, in entrambi i casi, l’autodeterminazione, ma come possiamo affrontare le due tematiche nella maniera corretta garantendo l’appoggio a entrambe le posizioni in maniera equilibrata? Sono, secondo te, due temi da affrontare separatamente?
Credo che il femminismo possa affrontare la questione del velo in termini di autodeterminazione, e questo è un buon modo per comprendere le battaglie di chi lo vuole togliere e di chi desidera metterlo. Chiaramente in paesi dove la legge o la morale lo impongono, sarà molto più viva la lotta per per toglierlo.
Dobbiamo supportarci l’un l’altra dandoci visibilità e le musulmane devono ricordare che la la fede è una questione intima e privata e che, islamicamente parlando, sarebbe buono è giusto spogliare il velo dalle sue interpretazioni maschiliste. Lottiamo perché il corpo delle donne non sia più uno strumento politico (il velo lo è senza meno).
La vita di una femminisma islamica: fede, critiche, pregiudizi
Le pratiche religiose contribuiscono a rafforzare la tua identita’ femminista? E se sì, come?
La mia religione mi sostiene moltissimo nella mia autodeterminazione, poiché l’Islam è riuscito, in una realtà complicata e patriarcale, ad inserire molti diritti per le donne e parla di figure femminili variegate e forti in tutte le loro sfaccettature, da una coraggiosa Maria a una una forte e indipendente Khadija, da una curiosa e imperfetta Eva a una paziente Fatima o una intelligente Aisha.
L’Islam lancia tutti i presupposti per creare una società femminista, e ritengo che anche i precetti siano adattabili al nostro presente, viste e comprese le circostanze della società in cui è scesa la Parola di Dio. Inoltre il fatto che Islam significhi “sottomissione ad Allah”, massima espressione della vita, mi fa pensare che io non debba essere sottomessa assolutamente a nessun altro. E questo mi dà una grande forza.
Come vive l’Islam una femminista? Come riescono a coniugarsi i messaggi del Corano e del femminismo? Con una lettura del Corano contestualizzata? E, in tal caso, viene accettata e accolta da qualche corrente o ne è una lettura personale? E come vengono viste le femministe musulmane dai musulmani? Ci sono alcuni correnti che appoggiano di più o di meno il femminismo?
Ti capita mai di confrontarti con dei conservatori (o di vedere le loro opinioni online) che magari usano l’Islam per perpetuare una visione sottomessa della donna e condannare le realtà lgbt e cosa ne pensi di loro.
Mio malgrado ho a che fare con i conservatori tutti i giorni è più di una volta sono stata presa di mira da piccoli gruppi di estremisti che hanno cercato di assalire la mia bacheca o la mia pagina Facebook.
Il femminismo e la lotta alle discriminazioni contro le persone lgbt a molti proprio non va giù, e ho perso anche delle amicizie non virtuali a causa di queste mie battaglie. Molti per screditarmi mi dicono che i convertiti, e i musulmani detti “progressisti”, spesso non sono veri musulmani bensì persone che vogliono cambiare l’islam a proprio piacimento, ma è soltanto una maniera di imporsi e non una critica oculata è corretta, infatti ho notato che ci si aggrappa anche alle differenze di nazionalità o di percorsi di studio.
A me viene molto criticato il fatto che io sia una danzatrice orientale, e vengo appellata bellydancer, danzatrice del ventre che per molti è sinonimo di svergognata, e mi viene così fatto slutshaming (della serie se ti mostri non hai né fede né cervello, e le donne e gli uomini “effeminati” risentono molto di questo genere di aggressioni). Spesso i conservatori sono i matti che inventano hadith e versetti, che uniscono politica e religione, che non riconoscono la dinamicità della religione e tendono, così, ad escludere qualsiasi contestualizzazione. Vedi, io faccio molta fatica a comprendere in quale Dio credano coloro che si dimostrano giudicanti, mai misericordiosi e bellicosi, e che tipo di spiritualità e gioia traggano da una religione così professata. Questo mi suscita molta tristezza, pena ed a volte anche rabbia, ma prima o poi anche il loro odio e le loro frustrazioni passeranno di moda e spero anche dai loro cuori.
La fede islamica di per sè incontra innumerevoli pregiudizi, non oso immaginare quanto sia faticoso quindi per una femminista islamica. Qual’è il pregiudizio “più limitante” a tuo parere?
Ci sono un paio di pregiudizi riguardo l’Islam che musulmani e non musulmani tendono a sviluppare: che questa religione non sia contestualizzabile e che sia poco interpretabile. Troppo spesso ho sentito dire che il Corano è chiarissimo e mai vago, quando nello stesso Allah rassicura sulla validità di alcuni versetti che possono apparire vaghi, quasi come se ci lasciasse un margine di interpretazione.
Il Corano non è così chiaro, poiché in esso sono contenuti concetti scientifici, episodi bellici relativi al tempo in cui la parola è scesa, considerazioni provocatorie e ironiche verso alcuni nemici dell’Islam, versetti e soprattutto parole che hanno interpretazioni e significati plurimi e molto altro. L’Islam va studiato col cuore aperto e le migliori intenzioni, e di certo nessuno può pretendere che non venga adattato al tempo presente.
Educare alle differenze
Secondo te quali sono i modi più efficaci per insegnare ai giovanissimi (tipo bambini delle elementari o addirittura della materna) il femminismo, l’accettazione del diverso e l’apertura mentale?
La tua domanda é molto interessante. Mi interesso ai sistemi educativi e insegno italiano ai bambini stranieri da diversi anni, cercando di fare del mio meglio per trasmettere dei buoni insegnamenti sulla base di femminismo e uguaglianza. Ho scoperto che i più piccoli e le più piccole sono molto comprensivi e curiose perché nelle loro teste non ci sono invadenti e opprimenti costruzioni culturali, o almeno nella parte di loro non influenzata violentemente dalla famiglia. La famiglia, bene o male!, è il primo nucleo sociale in cui si sviluppa se stessi, e quindi anche una vasta gamma di costruzioni culturali, ma la scuola, i centri ricreativi e, in generale, le frequentazioni esterne alla famiglia, specialmente quando si sarà alla ricerca gruppo in cui integrarsi, senonché i media, potranno offrire un confronto e/o condizionare.
Chiunque abbia modo di educare, che sia il caregiver o la scuola, deve cercare, secondo me, di spiegare la realtà in modo semplice, anche quando questa si dimostra cruda, o per noi imbarazzante, e cercare di favorire una visione critica, la mente si apre coi dubbi!, e colma di valori come rispetto e accettazione. Parlando di educazione sessuale e al genere a delle bambine mi sono accorta che queste erano pronte ad accogliere le mie parole e che il mio imbarazzo per loro era poco significativo e poco comprensibile.
Mi sono guardata bene dal parlare loro di verità assolute, anche della religione, e ho cercato di dimostrare speranza, fiducia, energia nel cambiare il presente. Senza mai sostituirsi alla persona ognuno di noi può fare molto, tramite un linguaggio e un atteggiamento dolce e accogliente.