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Family Day: “Io, lesbica, in un paese di indifferenti”

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L’indifferenza è il peso morto della storia […] è la materia bruta che strozza l’intelligenza. […] Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? (A. Gramsci)

 

Caro Paese degli Indifferenti,

delle compagne e dei compagni, che pensate che i miei diritti non sono temi di cui occuparsi,

del signore, che non ha nulla contro i gay, ma insomma “hanno un po’ scocciato”,

della signora, che ti piacciono “le checche” dei programmi tv, perché sanno tutto delle ultime tendenze e guardi con invidia queste coppie di omosessuali, senza figli e sempre con tanti soldi a disposizione,

care e cari del “non mi riguarda”,

care giornaliste e cari giornalisti che va bene la prima pagina sul Family Day, ma sui gay pride neanche mezza parola (eppure le cifre sono le stesse),

scrivo a voi che lo scorso sabato non eravate in piazza al Family day a Roma, ma che in fondo avete guardato quella manifestazione con indifferenza, con “è libertà di pensiero”, con simpatia.

Tante persone hanno scritto per dimostrarvi ciò che basterebbe il buon senso a dire, cioè che la teoria del gender non è “sterco del demonio”, ma un fantasma inesistente, che gioca sull’ignoranza e la sessuofobia di una certa parte del mondo cattolico.

La manifestazione di sabato scorso a Roma non era una manifestazione “in difesa della famiglia tradizionale” (ché, di tradizionale, la famiglia, che è un’istituzione sociale, non ha nulla, basterebbe aprire un libro di storia per capirlo). Quella era una manifestazione contro la mia famiglia, contro me e mia moglie (già, siamo sposate, per i paesi civili). E quella di svariate altre persone in Italia.

E allora vi racconto come ci si sente.

Preciso: non sono andata in piazza San Giovanni, non sono così masochista, ma, per quelle coincidenze improbabili che a volte accadono, mi sono trovata a Termini nel momento in cui i manifestanti tornavano verso i treni e i pullman. Una fiumana di gente. Tanti cartelli violenti.

Su quello con su scritto “Gender sterco del demonio”, posso anche farmi una risata (quanta energia sprecata per qualcosa che non esiste!), ma sui cartelli contro il decreto Cirinnà sulle unioni civili (un decreto già monco) rido meno. Le magliette con due uomini e un bambino, due donne e un bambino e quella ics sopra, perché sarebbe qualcosa di sbagliato, qualcosa da cancellare (e che esiste già!), è doloroso.

E insieme alle bandiere delle associazioni cattoliche, ovviamente l’estrema destra, Fratelli d’Italia, ma anche la destra al limite dell’apologia di Fascismo, Forza Nuova, Militia Christi. E, mi chiedo, se c’è qualcuno là dentro che si ritiene un vero cattolico, si dovrebbe fare due conti: com’è possibile che fascisti e cattolici marcino a braccetto? Non vi offende?

Qualcuno ha scritto: “Bella scoperta, che ci siano gli omofobi in questo paese”. Certo che lo so, certo che noi persone lgbti lo sappiamo, lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle almeno una volta. Spesso lo sperimentiamo direttamente da chi ci sta più vicino, i genitori, i parenti, i datori di lavoro. Lo impari presto, che c’è gente che ancora ti reputa anormale, metti su la corazza, diventi sempre più bravo a difenderti.

È diverso quando una piazza intera si mobilita contro di te, che non hai altre colpe che essere te stessa o te stesso. Perché io devo ancora capire in cosa la mia aspirazione a essere una cittadina come gli altri leda dei tuoi diritti. Che tu, Chiesa, non voglia riconoscermi un sacramento, non mi interessa, è questione vostra. Saranno i cattolici lgbti a fare certe battaglie. Ma che tu, Chiesa, pretenda che il mio Stato, quello di cui sono parte attiva, quello a cui pago le tasse esattamente come te, continui a considerarmi cittadina di serie B, questo mi fa rabbia. E mi fa paura. Lo trovo disumano.

E mi fa paura, soprattutto, perché su quel palco c’erano tante persone che siedono in Parlamento e che, evidentemente, non hanno ben chiaro il concetto di laicità dello stato. O peggio, lo rifiutano.

Mi fa paura perché so che dietro quelle centoventimila persone c’è un’organizzazione potente come la Chiesa, che conta di più di tutte le persone che noi, cittadine e cittadini lgbti, potremo mai portare in piazza. Conta perché in fondo a chi ci governa, a chi ci ha governati da quando si comincia a parlare di diritti delle persone lgbti, non è mai interessato nulla di metter fine a una discriminazione, ma solo di conservare il proprio potere e non mettersi contro la Santa Romana Chiesa.

Mi fa paura e infinita tristezza perché penso che io, a trent’anni, riesco ad attutire il colpo e dopo qualche ora a respirare di nuovo, pensando a quanto amore c’è nella mia vita, ma so anche che per un ragazzo o una ragazza non è così facile.

Ripenso alla mia adolescenza, di violenza omofoba e solitudine, alla voglia di morire. Penso a quelle giovani e quei giovani lgbti che soffrono, che a volte non ce la fanno, che porteranno addosso cicatrici per sempre a causa di chi li ritiene sbagliati. Con che coraggio possiamo raccontare loro che “le cose cambiano”?

Mi fa paura, perché quei centoventimila fascisti e fanatici hanno dietro una massa grigia di gente che per indifferenza,  per ignoranza, per pigrizia, non si schiera, se ne lava pilatescamente le mani, “i problemi sono ben altri”, “non è un’urgenza”, “non mi riguarda”.

Sappiate, allora, che in quella piazza c’eravate anche voi. Siete tutti colpevoli di mantenere la situazione com’è. Siete tutti colpevoli di contribuire a uno Stato che non è di fatto laico, che è razzista e discriminante. Chi è indifferente, si schiera sempre dalla parte di chi è reazionario, di chi è conservatore.

Non venite a lamentarvi, allora, quando restringeranno il diritto all’aborto. Quando non potrete scegliere quando morire. Quando voi, cittadino e cittadina che state insieme da anni ma non siete sposati, non potrete assistervi l’un l’altra in ospedale. Non venite a lamentarvi che l’Italia è un paese razzista, sessista, intollerante.

Siete voi la causa del vostro stesso male e del male del paese.