Il progetto Everyday Sexism, che raccoglie le testimonianze del sessismo, degli abusi e le violenze subite quotidianamente dalle donne, festeggia cinque anni. La fondatrice Laura Bates, ci parla però non del suo successo, ma di come questo progetto, abbia scatenato ulteriori violenze e abusi contro di lei, fino a essere oggetto di minacce di morte. Come tutti i progetti femministi condotti da donne che denunciano violenza e sessismo, anche questo ne ha scatenata altra contro la fondatrice.
In questi cinque anni Laura Bates ha ricevuto insulti e minacce da uomini nascosti dietro le loro tastiere, durante eventi è stata avvicinata da mansplainner che le hanno ‘spiegato’ come il suo progetto contro la violenza quotidiana subita dalle donne non sia necessario perché il sessismo non esiste più e sia solo la manifestazione della sua ipersensibilità. Magari le hanno anche consigliato di farsi una bella risata. Come Laura Bates anche noi di Pasionaria, nel nostro piccolo, siamo oggetto di attacchi di troll e di insulti, perché chi parla per i diritti delle donne, che parla di femminismo intimorisce quegli uomini che sentono la loro mascolinità minacciata o messa in discussione dall’emancipazione femminile. Come le minacce, gli insulti e gli abusi non hanno messo a tacere la fondatrice di Everyday Sexism, essi non ci ridurranno al silenzio perché insieme siamo più forti di qualsiasi forma di violenza e solo continuando a denunciare, possiamo sconfiggere il sessismo quotidiano. E quel giorno sì che ci faremo una bella risata. Liberatoria.
Qui di seguito pubblichiamo la traduzione dell’articolo di Laura Bates apparso sul Guardian per celebrare i cinque anni di Everyday Sexism.
Cosa ho imparato da cinque anni di Everyday Sexism
Durante la primavera del 2012, una settimana dopo aver creato un sito per raccogliere le esperienze di disuguaglianza di genere, ho chiesto a Lady Gaga tramite Twitter di sostenere la mia iniziativa, con l’intenzione di attirare l’attenzione verso il mio nuovo progetto, Everyday Sexism, e nella speranza che lei lo condividesse con i suoi milioni di follower.
Il mattino seguente, ancora assonnata, ho preso il mio telefono trovando più di 200 nuove notifiche. Ho aperto il primo messaggio e sono rimasta pietrificata. Non era, come avevo sperato, la prima di tante altre testimonianze di donne che hanno subito molestie o violenze. Era una minaccia di stupro brutalmente grafica. Questo è stato il momento in cui ho preso coscienza della violenta forza dell’odio che attende le donne che parlano contro il sessismo.
Dal quel momento le minacce hanno sempre continuato ad arrivare. La tenacia e la determinazione di chi minacciava era sorprendente. Chi sono questi uomini, che possono passare giorni, settimane e perfino anni a bombardare una donna che non hanno mai conosciuto con una minuziosa descrizione di come la torturerebbero?
Con il tempo le cose sono diventate più chiare. Ho incontrato in diverse situazioni uomini che si oppongono al femminismo e ho cominciato a riconoscere le loro diverse tattiche. In qualche modo gli abusatori online, che si nascondono dietro uno schermo, sono i meno minacciosi. La ripetitività dei loro argomenti (se si può chiamare un argomento “scendi dal tuo cavallo e cambiati l’assorbente”) ha mostrato chiaramente che la loro furia si basava sui pregiudizi ed era radicata nella paura priva di fondamento delle femminiazi da web-forum, distruttrici della società e odiatrici di uomini.
Più sinistre però sono le persone piene di sé e intelligenti che dicono sempre no e che si celano sotto il naso. Uomini che ti deridono agli eventi, che con confidenza affermano che il sessismo in Gran Bretagna è una cosa del passato e dovrei guardare ad altri paesi per trovare i ‘veri problemi’. Uomini che chiedono a mio marito, con un tono di commiserazione, come faccia a sopportare di essere sposato con me. Politici che mi hanno detto che sono ‘negativa senza motivo’ e che le ragazze oggi giorno non sanno quanto sono fortunate. Il caporedattore del giornale che senza guardare il contenuto della mia intervista ha annunciato che la sua priorità era farmi sembrare ‘più sexy possibile’. Persone con il potere di cambiare le cose che vogliono conservarle esattamente come sono.
Nonostante questo, il sito è stato un successo e nei successivi cinque anni è stato inondato da centinaia di migliaia di commenti. Quasi ogni donna o ragazza che ho incontrato mi ha raccontato la sua storia. Una ragazza di nove anni che ha ricevuto una foto di un pene. Una donna più anziana che è stata assalita dal migliore amico del suo defunto marito. Una giovane donna di colore a cui è stato rifiutato l’accesso in un nightclub mentre le sue amiche bianche sono state lasciate entrare. Una donna in sedia a rotelle a cui è stato detto che sarebbe stata fortunata a essere violentata.
Le mie ipotesi sul tipo di persona che subisce determinate forme di abusi e la separazione tra i diversi pregiudizi sono state presto demolite. La tristezza delle storie è un pesante macigno da sopportare e anche i continui abusi che ricevo. Un uomo che mi aveva dato delle indicazioni ha attraversato la strada disgustato dopo che gli avevo detto che stavo andando a parlare a una conferenza sulle molestie sul lavoro dicendo “Ma per favore, dobbiamo pure divertirci!”. Un giornalista in onda mi ha chiesto se era difficile non avere amici perché non ho senso dell’umorismo. Un commentatore americano ha scritto un blog avvertendo pubblicamente mio marito che un giorno tornerà a casa per trovare che ho bruciato la casa, ucciso i nostri bambini e mi sono unita a una “congrega di streghe lesbiche”. Durante lo stesso periodo in cui ho ricevuto una minaccia di morte sono stata accusata di spargere del veleno che dovrebbe essere eradicato dal mondo, ho deciso allora di vedere un terapista. E in molti momenti ho seriamente considerato di unirmi alla congrega.
Ma c’è stata una sorpresa più piacevole. Non avevo previsto il supporto emotivo e pratico che avrei ricevuto da altre donne, la solidarietà delle donne della mia età e l’inarrestabile supporto delle femministe della vecchia leva che non avevo mai visto prima. Nulla può superare il privilegio di ricevere la fiducia di custodire così tante storie, alcune mai raccontate prima. Ho sentito un grande senso di responsabilità nel garantire che le voci delle donne fossero ascoltate. Ho cominciato a lavorare con scuole, università, aziende, politici e forze di polizia per provare ad assicurare che le storie di una generazione possano cambiare in positivo la situazione per la prossima. Mi ha aiutato molto vedere che il cambiamento concreto potesse scaturire direttamente dal progetto.
Un’altra gioia è far parte di una nascente ondata femminista, essere affiancata da altre che combattono in tutti i campi, dal sessismo dei media alle mutilazioni genitali femminili. Forse la lezione più importante che ho imparato è come tutte le forme di discriminazione sono strettamente collegate. È vitale combattere le persone che prendono in giro e criticano, combattere contro le manifestazioni ‘minori’ di pregiudizio, perché queste normalizzano il trattamento delle donne come cittadini di serie B e aprono le porte a tutto il resto, dalla discriminazione sul lavoro alla violenza sessuale.
Essere una femminista, ho imparato, è essere accusate di ipersensibilità, isteria e di piangere come un agnello. Ma insieme agli abusi il progetto ha svelato la forza, l’ingenuità e l’umorismo delle donne che hanno brillato come esempi. La ballerina che si è esibita per ore sulla metropolitana per reclamare lo spazio nella quale è stata assaltata. La donna che ha aspettato cinque anni per presentare il suo contratto e una saliera per il consulente sul lavoro che le aveva detto che avrebbe mangiato i suoi documenti se fosse mai diventata un’ingegnera. La passante che ha rimosso lentamente la scala del costruttore che la fischiava, lasciandolo bloccato sul tetto.
E’ per questo che posso onestamente dire che le esperienze degli ultimi cinque anni mi lasciano più speranze che disperazione. Non posso esattamente celebrare questo traguardo, perché rappresenta una montagna di sfoghi di dolore, rabbia e traumi. Ma penso alla capacità di resilienza, la solidarietà, la resistenza, e non posso nemmeno lamentarmi. In cinque anni, ho imparato che il problema è immenso, ma il volere di combatterlo è ancora più grande.