Dopo la bella esperienza del 2015, anche quest’anno Pasionaria.it ha avuto l’onore di partecipare a Educare alle Differenze, meeting nazionale dedicato a insegnanti, formatori, attivisti e chiunque si occupi di educazione di genere, organizzato da Scosse, Progetto Alice e Stonewall LGBTI.
La terza edizione si è tenuta questa volta a Bologna e l’affluenza è stata straordinaria, con oltre novecento partecipanti. Un segnale importante di fronte ai continui attacchi al rispetto delle differenze – tra omofobia, sessismo e cyberbullismo – e la mai sopita lotta contro la fantomatica teoria del gender, recentemente rinvigorita dagli anatemi di Papa Francesco.
Come sempre Educare alle Differenze è stata un’occasione per ascoltare, riflettere e comprendere come le discriminazioni non arrivino mai da sole. Proprio questa è stata la prospettiva del nostro workshop “Femminismo intersezionale: dalla teoria alla pratica“, a cui hanno preso parte oltre 70 persone.
Perché parlare di intersezionalità?
Se l’anno passato avevamo avuto un approccio più tecnico, parlando di come lanciare una campagna femminista online, questa volta abbiamo deciso di presentare e far riflettere i partecipanti sul principio che guida tutte le azioni del nostro progetto.
Per noi infatti non può esserci avanzamento dei diritti delle donne (di tutte le donne, non soltanto quelle cisgender) senza giustizia sociale, senza lavorare per una società non solo ispirata all’uguaglianza, ma all’equità.
Nessuno di noi è estraneo ai sistemi di oppressione, spesso siamo oppressi per più di un motivo (che sia il genere, la classe sociale, l’orientamento sessuale…) e la maggior parte di noi si trova dalla parte dell’oppresso per qualche caratteristica, ma dalla parte del dominio e del privilegio per altre.
Se sono donna, ma ho un lavoro stabile con un salario dignitoso, incontrerò discriminazioni di genere, ma avrò un privilegio di classe. Non solo: la stessa oppressione agirà diversamente su una determinata persona a seconda che questa sia oppressa a causa di uno o più fattori.
Ad esempio: una legislazione restrittiva sull’interruzione volontaria di gravidanza non affliggerà ugualmente una donna di classe alta e con un buon livello di istruzione e una precaria o una migrante. Se la prima potrà facilmente accedere a soluzioni alternative sicure (andare all’estero, per esempio), le seconde saranno più facilmente costrette a ricorrere all’aborto clandestino, mettendo a repentaglio la propria salute.
Per noi, dunque, non ha senso un femminismo che non si intrecci con le altre lotte di giustizia sociale ed economica.
Intersezionalità e attivismo
Il concetto di femminismo intersezionale non è ancora entrato nella cultura di massa, ma di certo la consapevolezza di questa prospettiva è diffusa tra attiviste/i e militanti.
Non si tratta, però, soltanto di considerare le questioni di genere in una prospettiva intersezionale, ma anche di dare spazio a coloro che sono maggiormente oppressi e oppresse attraverso le loro stesse parole, facendo un passo indietro.
Molto spesso il problema è come passare dalla teoria alla pratica: per questo abbiamo proposto diversi scenari basati sulla tecnica del gioco di ruolo e del problem-solving, che simulassero diverse situazioni dove era richiesto un approccio intersezionale.
Lo scopo era quello di rendere conto del beneficio che questa visione può generare nell’affrontare le tematiche di genere, ma anche della complessità che tale approccio comporta.
Cosa abbiamo imparato
Il lavoro dei sette gruppi che hanno partecipato a questo esperimento è stato molto produttivo e sono venute fuori considerazioni e spunti molto interessanti.
Soprattutto è venuta fuori la necessità di riformare linguaggi e categorie e di organizzare un’azione capillare di informazione ed educazione affinché le pratiche intersezionali diventino condivise e diffuse.