L’artista Diane Goldie, è stata intervistata per il progetto Stylelikeu, il cui motto è “il vero stile è l’accettazione di sé” e raccoglie storie di donne che parlano del proprio corpo. Donne che, mentre parlano, si spogliano davanti alla telecamera per dimostrare che lo stile non corrisponde ai vestiti che indossiamo.
Come si legge nell’introduzione del video, infatti:
“Lo stile non è una facciata, è sapere chi sei, essere a proprio agio con la tua pelle, è ciò che c’è sotto”.
In questo video Diane Goldie, artista che realizza arte indossabile e fondatrice di c.Art, si toglie i suoi vestiti colorati, raccontando il rapporto con il proprio corpo e come la società e gli abusi subiti durante l’adolescenza l’hanno portata per gran parte della propria vita a pensare di dover essere un’altra persona.
Durante la sua vita ha ricoperto diversi ruoli: figlia, madre, moglie, amante, perdendo in realtà la sua vera identità. Solo dopo molti anni, e grazie al vero amore, ha imparato ad amarsi.
L’artista in questo video, spogliandosi, oltre a togliere i propri vestiti, si libera dei suoi ruoli. In un atto che la rende libera, in pieno controllo di se stessa, senza i condizionamenti della società che la circonda.
Ecco la traduzione integrale della sua intervista: è lunga ma vale davvero la pena leggerla fino in fondo!
Io sono un’artista. Non rientro nelle categorie. Io non faccio parte del sistema, sono un outsider del sistema patriarcale dell’industria della moda.
Chiaramente non puoi comprare questi vestiti nei negozi mainstream.
Non importa cosa indosso le persone guardano sempre in basso e dicono amo le tue scarpe. Sono Adidas da uomo, è una marca riconoscibile, mentre guardano il resto di me e non sanno cosa rispondere.
Per circa 25 anni mi sono uniformata. Mi sono sposata, ho avuto dei figli. Questo è diventato importante perché volevo essere una buona madre, perché ho avuto a mia volta una madre difficile. Volevo essere l’opposto di come era lei. E mi sono persa. Ho perso la mia identità. E’ quando ho realizzato che questa è la perdita di molte donne.
Questo è quello che accade quando seguiamo questi ruoli, quando ci facciamo carico di questi ruoli. Lungo la strada perdiamo il senso di chi siamo. Perché siamo così impegnate a ricoprire un ruolo. E in verità devo riconoscere al mio ex marito che l’aveva detto: “non sei la donna che ho sposato, non sei la stessa persona”.
Sul momento mi ha fatto molto arrabbiare. Perché ho pensato: chiaramente non lo sono. Devo ricoprire tutti questi ruoli e cosa fai tu, ti incarichi di fare il marito, mantenendo integra la tua identità.
Non mi aspettavo di seguire questa strada. Questo è interessante. E questo è stato l’inizio del mio femminismo. Quando ho cominciato ad analizzare dove fosse andata la mia identità.
Credo con fermezza che il femminismo non sia finito. E’ analizzare come abbiamo figli e chi se ne prende cura, questo per me è il problema principale che dobbiamo affrontare. E’ una tortura per ogni donna. Alcune donne si convincono che vada bene. Sono felici prendendosi cura della casa. Ma cosa succede quando i figli vanno via?
Dopo che il mio matrimonio è finito, tutto il mio mondo è andato in pezzi. Come se il matrimonio fosse un paracolpi. Mi ha tenuta lontana dal dolore. Mi ha tenuta lontana dal guardarmi dentro. Perché ero impegnata a prendermi cura di tutti gli altri, invece di prendermi cura di me stessa.
Stavo sinceramente impazzendo. Bevevo. Uscivo con molti uomini. Usavo gli uomini come un mezzo per darmi valore. E’ stato in quel momento che ho cominciato a scrivere la storia della mia vita. Perché era l’unico modo con il quale potevo conservare la mia vita.
Ho cominciato a scrivere di quando avevo 13 anni ed il mio ragazzo ne aveva 36. Hai avuto un ragazzo quando avevi 13 anni che ne aveva 36? Non è un ragazzo vero? Si chiama pedofilo. Ed è quando ho capito che il mio corpo non mi apparteneva.
Pensavi fosse il vero amore al tempo? Sì, lo pensavo. Mia madre, mi ha accompagnato al cinema. I miei capelli al tempo erano della stessa lunghezza di ora. Era buio. E’ strano, ero da sola, al cinema. Qualcuno dietro di me ha cominciato a giocare con i miei capelli. Io ho pensato che fosse meraviglioso. Mi sono sentita deliziosamente monella. Come ci si sente a tredici anni.
Mi ricordo quel momento quando camminando per la strada gli uomini e le macchine hanno cominciato ad accorgersi di me. Ed io ero qualcuno. Mi ha fatto sentire bene. Ho notato che lui era quasi della stessa età di mio padre, ma non mi importava. Ho pensato che lui non se ne fosse accorto che ero giovane, e questo è un complesso della pedofilia. I bambini vogliono sempre essere più grandi di quello che sono. Così ho pensato: vittoria, non se ne è accorto.
Quello che non avevo processato al tempo è che lui mi veniva a prendere a scuola con la sua macchina. Io ero in uniforme scolastica. Io vivevo un’ora dalla scuola, era un viaggio in treno, e lui per risparmiare tempo mi accompagnava in macchina. Al tempo vivevo vicino alla costa. Quindi ci parcheggiavamo vicino alla spiaggia. Metteva la musica e mi comprava un gelato e stavamo seduti lì.
Non ha provato a fare nulla per molto tempo. Mi aveva solo baciato. Fino ad un giorno quando mi ha detto che doveva andare via in un campo militare. Quindi mi ha offerto da bere. Poi è entrato nella macchina nella parte anteriore si è messo tra le mie gambe e mi ha detto che mi voleva fare felice. Non mi è piaciuto per niente. Ho pensato: che cos’è? Non mi piace per nulla. Non sapevo come dire no. Così mi ha fatto uscire dalla macchina mi ha messo contro al muro e mi ha stuprato.
E’ quando ho perso la proprietà del mio corpo.
Dopo quest’episodio sono diventata ridicolmente promiscua. Mia madre ha scoperto un diario, dove scrivevo tutti questi incontri che avevo. Lo ha trovato, lo ha letto e lo ha rimesso al suo posto. Solo quando ho menzionato che stavo fumando marijuana, che mi ha tolto da scuola. Mi ha fatto scegliere: potevo andare al collegio o nel convento vicino. Dovevo essere allontanata dai ragazzi perché chiaramente il problema erano i ragazzi. Perché ero una “sgualdrina”. Il problema era la mia identità.
Usare l’orgasmo è un modo di provare sentimenti. Quel momento di stordimento che viene con l’abuso. Lo stordimento che ti connette con la tua vulnerabilità. Mi mettevo in situazioni estreme come per esempio essere nella casa di uno sconosciuto, con altri sei uomini nell’altra stanza. Che parlavano di cosa mi avrebbero fatto.
A 38 anni ero al punto nel quale la bolla era esplosa. Questo matrimonio che mi proteggeva dall’essere una “sgualdrina”, che non pensavo fosse perché ero stata una bambina danneggiata. Pensavo fosse normale essere “cattive”. La bolla è esplosa e sono tornata a quello che conoscevo. Quello che pensavo di essere.
Cosa ti ha aiutato alla fine dei tuoi trent’anni a cambiare?
Cosa mi ha aiutato? Ho incontrato qualcuno con il quale sono ancora oggi. Siamo stati insieme per 12 anni. Lo chiamo il ‘mio specchio di confronto’. Mi ha fatto guardare verso me stessa.
Mi ha detto: non ti sto giudicando. Non mi ha assolutamente giudicata. Ma mi ha detto: “Ti piace cosa vedi? Tu sei quella che sta facendo questo. Come ti senti a riguardo?”. Ho guardato e ho detto: “Non mi sembra corretto, ma per te”. Mi ha aiutato ad analizzarlo con il suo amore incondizionato. Quello che non avevo in tutti quegli anni era amore incondizionato. Lui mi amava e basta e ancora mi ama.
E’ ridicolo cosa mi è costato. La cosa più difficile è stata sentirmi degna di questo amore. Perché mi chiedevo perché mi amasse, io che sono un tale pasticcio. Ma mi amava e ancora mi ama.
Puoi parlare della relazione con il tuo corpo durante gli anni?
Occupo spazio. Sono una donna abbondante, in menopausa. Ho 51 anni ora. Sono qui. Sono presente. Non sono assolutamente invisibile. Sono furiosa contro il concetto delle donne come ornamento, decorazione. I miei vestiti sono chiaramente decorativi. Quella è la mia performance.
E’ una cosa mia, per me stessa. Vestita così quando cammino per strada ricevo commenti dagli uomini. Ma non è assolutamente quello che pensi. Ora te lo mostro: “woooooohhh!” [con faccia sorpresa, ndr]. Questo è quello che mi dicono. Poi mi dicono “girati, girati” e mi stringono la mano.
Com’era prima? Prima era catcalling e se non rispondevi ti chiamavano “puttana” o “lesbica” o qualsiasi altra cosa. Ma non me lo dicono più perché forse non sono più “scopabile”. Va bene!
Non sono qui per voi per essere scopata!
Quando ti senti al top della tua bellezza?
Quando sono con mia nipote. Quando dorme da me e il giorno dopo facciamo il bagno. Quando vede i miei peli. Perché la madre si rade dappertutto ed è molto magra. E io non lo sono. Lei è molto interessata al mio corpo. Perché è diverso, allora parla di peli pubici e quelli sotto le ascelle. Io le spiego che è normale, mamma li ha e li rade.
Poi mi vesto e indosso vestiti colorati, gioielli vistosi. E lei mi guarda e mi dice: nonna sei bellissima. Mi abbraccia. E questo è tutto, non c’è nient’altro. Perché è quella vista dei bambini. Che cosa gli è successo? Prima del condizionamento.
Anche se il condizionamento è già successo. Ma sto cercando di contrastarlo per lei perché continua a dirmi: i ragazzi indossano il blu, le ragazze il rosa. Io le dico no, no, no, Il rosa è solo un colore. Le gonne e gli abiti sono solo stoffa. Non so come lo accettiamo, è solo una presa in giro è stoffa in un design.
Qual è la parte preferita del tuo corpo?
Tutto. Non voglio essere una parte. Perché dividere in parti è “oggettificare”. Sono una, non pezzi.
C’è stato un momento in cui hai accettato di più la tua figura o ci stai ancora lavorando?
Quando sono andata in menopausa. Sai come si dice che quando si va in menopausa, si diventa un po’ matte, in realtà si diventa sagge. Perché si abbandonano le costruzioni. Si lascia andare ciò che è imposto dagli altri. Si diventa più centrate.
Perché è un buon motivo essere nel tuo corpo?
Perché finalmente mi conosco. Il mio corpo mi appartiene. Non è per nessun altro. Non può essere diviso. Ora so che ne ho finalmente la proprietà. Il tuo corpo funziona. Smetti di darti addosso. E’ bellezza anche solo il fatto di essere vivi.
Smetti di preoccuparti di diventare vecchia. Significa che sei ancora qui, ed è un privilegio.