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“Dedicato alle madri di merda come me: la maternità non ha niente di scontato”

Una nostra lettrice ci ha inviato un suo racconto dedicato alla maternità: ci ha molto emozionato e per questo abbiamo deciso di condividerlo con voi in occasione della Festa della Mamma. Auguri a tutte le madri imperfette del mondo

Una madre col suo bambino

Da e per madri di merda: si comincia con un incontro fortunato e si va avanti scoprendosi madri di se stesse. La maternità non ha niente di scontato. 

RESPIRI

Respiro. Respiro. Piano. Difficile. Sento sulla pelle. Cosa? Non so. Mi batte, addosso. Respiro. Freddo, freddo, gelo. Asciutto, bagnato, qualcosa nel naso, un odore. Sangue. Voci, voci forti, questa la conosco, ma è più acuta di prima. Chiede: come sta?

Mani, due mani, un’altra, un’altra ancora, quattro, sei, dieci. Acqua tiepida, troppo fredda, mani veloci nelle mie pieghe: sulla testa, sul naso, sugli occhi, tra le gambe. Mani ovunque, parole, respiri, fretta. Fretta. Eccola, mi tocca. Sto nell’odore del mio cibo, niente mani, solo un sussurro, bisbigli come quelli di prima: Come stai, amore? Pochi secondi e poi di nuovo via, di nuovo freddo, sul duro, tra le mani, trentacinque centimetri, tre chili trecentotrenta grammi, circonferenza del cranio? Sento pungere sul piede, urlo, mi arrabbio, mi lasciano solo. Lei non c’è più.

Mia mamma non mi guarda, mia mamma non mi vuole. Prima parlava con me, prima piangeva, rideva, mi chiamava per nome. Ora dice lei quando parla di me e poi si corregge. Mia mamma mi prende, mi spoglia, mi pulisce. Crema, unto, bagnato, baci, maledizione, si è sporcato tutto, e di nuovo mi spoglia, mi cambia, fretta, fretta, fretta. Sento il duro sulle labbra, apro, succhio, succhio veloce, dopo mi stacca e mi riattacca, altro duro, altro latte. Lenzuola. Solo.

Mia mamma non mi guarda, mia mamma non mi vuole. Dormo, mi sveglio, urlo di fame e di noia. La culla si scuote, mi infila in un coso caldo e grosso, il cappello, le calze spesse. Mi rotola sulla strada, avanti e indietro, la sento parlare, ma non a me. Ripete la lezione per l’esame. Dormo, mi calmo. Appena si ferma riprendo. Basta, fai il bravo, smettila, devo studiare. Oggi ha detto: non ne posso più. Mi ha preso, veloce, di fretta, di fretta, mi ha tolto il coso caldo e mi ha gettato lì, nella culla. Ha chiuso la porta. Non sento più niente.

Mia mamma non mi guarda, non mi vuole. Io rido se vedo altri bimbi dal passeggino. Lei lo tiene con una mano sola. Non ci sta dietro come gli altri, ma di fianco. E va veloce. Veloce. Sul prato mi fa giocare con l’erba, le foglie, io sto su a malapena, poi cado di lato. Lei legge, mi tira su, mi mostra qualcosa e poi di nuovo non c’è, è via nel libro, nei pensieri. Salgo sulle sue gambe, mi riposa giù, risalgo, mi spinge piano, rido ma risalgo, mi manda via, rido, lei ride, mi spinge ancora, ruzzolo giù. Piango, piango, mi sono fatto male. Scusa, amore, scusa, non volevo.

Mia mamma non mi guarda, non mi vuole. Ansimo, mi dimeno sul seggiolone, lei corre, di fretta, di fretta, la sento respirare, su bravo, aspetta, arrivo, arrivo. Mangio lento dal cucchiaino, gli zucchini sono amari, la pappa è troppo spessa. Sputo, mi ribello. Ho fame, ho sonno. Lei piange. Si appoggia alla sedia e tiene la testa nelle mani. La mamma è sempre sola, tutto il giorno. Siamo soli. La mamma non mi tiene mai in braccio, addosso, stretto. Mi porta solo di qua e di là.

Mia madre non mi guarda, non mi vuole. Mi urla, dormi, basta, stai zitto, smettila, devi dormire, hai capito, basta, smettila, stai zitto. Mi ha picchiato oggi. Basta, smettila, stai zitto, sono stanca, mangia, basta, basta. La dottoressa oggi ha detto lei è giovane, è difficile adattarsi a un bambino, lei è stanca, signora, si faccia aiutare. La mamma stava zitta, non ha risposto, poi ha detto: da chi?

Mia madre non mi vede, non mi vuole. Dice è bravo, sì, sembra bravo. Quando lo porto in giro. Quando dorme. Ride. La signora del negozio dice che bel bambino, la mamma dice sì, la signora complimenti. La mamma risponde: ho fatto niente io. Ci sono dei ragazzi giovani nella via dove abbiamo parcheggiato. Mi tira via dal passeggino, alza il sedile e mi mette dietro, veloce, di fretta. Di nascosto. Si vergogna di me.

Mia madre non mi vede, non mi ama. Oggi mangiavo bene, non ho sporcato niente. Ho dormito bene, credo, poi mi sono svegliato e l’ho chiamata. Lei però si è messa a urlare, a piangere, a urlare, sbatteva le mani sul muro, non la smetteva più. È arrivata una vicina e mi ha portato via. Più tardi è venuta, piangeva, diceva mi scusi, sono tanto stanca, non so cosa mi è preso. La vicina le ha fatto un tè, le ha dato dei biscotti. A me ha dato un grissino buono, morbido. Guardi, il primo dente, signora, che bello. Se vuole la aiuto io, qualche ora ogni giorno, no, non si preoccupi, io ho la mia pensione e ho tempo, tanto. Lei studi, si riposi.

Oggi la mamma mi ha abbracciato per la prima volta. Sei come me, ha detto, sei proprio come me. Piccolo e arrabbiato. Rumoroso e dolce. Ha gli occhi azzurri mamma. Hai gli occhi verdi tu, mi ha detto, sei così bello. Mi tocca, mi accarezza la pancia. Ho provato la pastina oggi, il sugo di pomodoro, con l’olio e il parmigiano. Abbiamo mangiato un po’ io un po’ lei. Io le mettevo in bocca il mio cucchiaino molle, lo mettevo storto su contro il suo palato. Mamma ha riso tutto il tempo. Ci siamo addormentati insieme, sul divano. Ho respirato con lei tutta la notte.

Vittoria Badaracco