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Decreto immigrazione: la lotta è anche femminista

Immagine di lancio della manifestazione di Non Una di Meno Genova a Ventimiglia a luglio

I ministri hanno chinato la testa di fronte al populismo razzista di Salvini: è stato approvato, infatti, il decreto legge sull’immigrazione proposto dal ministro dell’Interno, che lo ha definito privo di “rilievi di incostituzionalità, di fascismo, razzismo, cattivismo”.

Nei fatti, in linea con la propaganda leghista e con gli intenti, palesi da tempo, di questo governo, il decreto erige un muro legale che non solo chiuderà sempre più le frontiere, ma renderà la vita delle persone migranti già presenti sul territorio italiano sempre più difficile.

Verrà ridata “l’Italia agli italiani”, ma a quale prezzo? Trattare i migranti come se non fossero persone e ridurli ancora più ai margini, senza diritti. Controllo e repressione sono infatti le parole chiave di questo intervento.

È chiaro che chi ha scritto questo decreto ignori che i fenomeni migratori sono ormai un fenomeno strutturale della nostra società e che, invece di costruire muri nel Sahara, sarebbe necessario iniziare a ragionare sulle migrazioni non in ottica emergenziale ma con progetti a lungo termine.

Sarebbe necessario provare a cambiare punto di vista e ad ascoltare la voce delle protagoniste e dei protagonisti della migrazione. Bisognerebbe pensare meno attraverso gli stereotipi, accantonare la propaganda, e provare a studiare in profondità questo fenomeno.

Invece, nella stessa seduta del Consiglio dei ministri non solo è stato approvato anche il decreto sicurezza che riguarda le “disposizioni in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa”, ma i due decreti son confluiti in un provvedimento unico: l’unione delle discipline di immigrazione e sicurezza conferma la visione dello straniero come problema di sicurezza pubblica che contraddistingue la politica italiana in materia fin dal 1931 quando fu promulgato il “Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza” che si occupava, tra le altre cose, del soggiorno, l’espulsione e il respingimento degli “stranieri”.

Perché il femminismo deve occuparsene?

In tutto il mondo sono sempre più numerosi i governi autoritari e reazionari che fondano le loro campagne elettorali sulla paura per il diverso e sulla retorica dell’invasione. Anche il nostro governo sta compiendo enormi passi indietro nella tutela e nel rispetto dei diritti delle persone migranti e gli attacchi di matrice razzista in Italia si stanno moltiplicando.

È per motivi come questi che oggi più che mai è necessario unire le lotte.

La recrudescenza razzista aggrava l’oppressione nei confronti di chi ha l’unica “colpa” di essere straniero e peggiora notevolmente la situazione di tutte le persone migranti che subiscono contemporaneamente anche altre oppressioni, ad esempio perché donne, Lgbt+ e/o disabili.

L’intersezionalità è la chiave per riuscire a contestualizzare le discriminazioni in un’ottica più ampia e realistica e può rappresentare uno degli strumenti fondamentali per fermare questa deriva autoritaria.

Le differenze esistono, è innegabile, ma facciamo in modo che queste differenze arricchiscano noi e le nostre pratiche di lotta. Facciamo che queste differenze, invece di frammentarlo, rafforzino un movimento dal basso, costruiscano una marea, che unita chieda a gran voce un cambiamento.

Che cosa dice il decreto legge sull’immigrazione

Intanto capiamo meglio di cosa stiamo parlando.

Articolo 1 – Abrogazione del permesso umanitario”

Secondo il Viminale esiste una “sproporzione tra il numero di riconoscimenti delle forme di protezione internazionale espressamente disciplinate a livello europeo” (il 7% dei richiedenti asilo ottiene lo status di rifugiato, il 15% la protezione sussidiaria) “e il numero dei rilasci del permesso di soggiorno per motivi umanitari” (ottenuto dal 25% dei richiedenti, 28% nell’ultimo anno). Si è deciso, quindi, di abolire quest’ultimo tipo di protezione e sostituirlo con un permesso di soggiorno da rilasciare “in casi speciali” più stringenti, che riguardano:

  • le “cure mediche”: il permesso avrà valore per un periodo limitato e solo se lo straniero è in condizioni così gravi che non consentono di espellerlo senza “arrecare un grave pregiudizio alla sua salute”;
  • le calamità naturali”: anche questo di durata limitata, sei mesi, non prorogabile. “Punto incomprensibile – spiega Annalisa Camilli – se si pensa a situazioni di calamità protrattesi per tempi lunghissimi che hanno investito alcuni paesi, vedi Haiti”;
  • gli “atti di particolare valore civile”, la cui concessione spetterà al ministro dell’Interno su proposta del prefetto competente;
  • le “vittime di violenza domestica e di grave sfruttamento lavorativo”, il cui permesso avrà la durata di un solo anno.

Non è quindi più riconosciuta la protezione umanitaria ai minori, ai casi psichiatrici, alle persone rese vulnerabili da un vissuto particolarmente violento o a chi dimostra di essere profondamente integrato in Italia. L’abolizione di questo tipo di protezione finisce quindi per colpire alcune tra le categorie più vulnerabili come confermano i dati che mostrano come la protezione umanitaria sia, per esempio, quella accordata al 59% dei minori richiedenti.

L’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari aumenterà solo il numero degli irregolari. Questo decreto, infatti, colpirà in particolar modo le persone già presenti sul territorio che, allo scadere, non potranno rinnovare il permesso di soggiorno o che, ora richiedenti, non potranno più ottenerlo.

Essere irregolari comporta numerosissimi problemi: difficoltà a ricevere le cure e mandare i bambini a scuola, impossibilità di trovare un lavoro e un alloggio regolari. E, con buona pace dei razzisti, il rimpatrio non è una soluzione facilmente eseguibile per varie ragioni: è molto costoso, è necessario che vi siano degli accordi con gli stati da cui proviene la persona migrante e che vi sia la certezza in quello stato che l’incolumità delle persone rimpatriate non sia a rischio.

È importante, inoltre, notare che se è vero che il numero di protezioni umanitarie rilasciate nei primi mesi del 2018 è aumentato in percentuale, è anche vero che il numero di migranti che le ottiene è diminuito a seguito della diminuzione del 79,8% (da 99.119 nell’agosto 2017 a 20.001 nell’agosto 2018) del numero di arrivi in Italia dovuto, tra le altre cose, agli accordi UE-Turchia del 2016 e Italia-Libia del 2017 che esternalizzano sempre di più le frontiere a scapito dei diritti umani, come ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Come spiega molto chiaramente Enrica Rigo, “la logica degli uffici legislativi del ministero rovescia, dunque, quelle che sarebbero domande di senso comune: invece di chiedersi come mai, in Italia, i casi in cui è riconosciuta la protezione internazionale siano così al di sotto delle medie di molti Paesi europei (secondo i dati dell’Eurostat), e perché i rigetti delle commissioni territoriali costringano i tribunali a farsi carico di un contenzioso così alto, la relazione lascia intendere che il problema da affrontare con “necessità e urgenza” sia l’utilizzo strumentale della domanda di protezione e l’esercizio del diritto di difesa, quest’ultimo già severamente limitato dagli interventi normativi del precedente governo.”

“Eliminare la possibilità dell’umanitaria, quindi, punta a uno scopo diverso. A far passare l’idea che non esistano migranti da proteggere, neanche i malati, neanche i ragazzini, neanche le vittime di abusi. A far passare l’idea che, qui da noi, chi non è italiano non ha più diritti. Neanche alle cure, neanche all’istruzione. Neanche alla vita.” Angela Tognolini

Articolo 2 – Prolungamento della durata massima del trattenimento dello straniero nei centri di permanenza per il rimpatrio

Il tempo massimo di trattenimento nei CPR raddoppia, passando da 90 a 180 giorni, aumentando ancora di più i costi già esorbitanti di trattenimento. La reputazione di questi centri – “di detenzione amministrativa, dove cioè si viene privati della libertà senza che si sia commesso un reato o che si sia pronunciato un giudice” – è tutt’altro che buona: gli ultimi rapporti confermano che i CPR (e i CIE, Centri di Identificazione ed Espulsione) operativi, al pari degli altri temporaneamente chiusi, risultano del tutto inadeguati, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, a garantire la dignità e i diritti fondamentali degli stranieri trattenuti.

Articolo 3 – Provvedimenti in materia di modalità di esecuzione dell’espulsione

All’articolo 3 si dichiara che, se non dovessero bastare i CPR già presenti e quelli che si apriranno in accordo con le regioni, le persone migranti in attesa di essere rimpatriate possono essere trannute anche in altri luoghi. Tra questi, secondo Enrica Rigo, figurerebbero anche i CAS, i Centri di Accoglienza Straordinaria (noti per le pessime condizioni, la corruzione e il sovraffollamento), “quasi a dar ragione alle critiche che, da sempre, denunciano come nell’umanitario le logiche assistenziali si confondano inevitabilmente con quelle di controllo e repressione”.

Articolo 4 – Disposizioni in materia di divieto di reingresso

Viene ampliato il divieto di reingresso, dal singolo stato a tutta l’area Schengen.

Articolo 5 – Disposizioni in materia di rimpatri

Con questo decreto-legge vengono destinati dei finanziamenti anche per l’istituzione di 30 sportelli comunali al fine di informare e dare supporto agli stranieri che intendono accedere ai programmi di rimpatrio volontario assistito.

Articolo 6 – Disposizioni in materia di diniego e revoca della protezione internazionale e di protezione sussidiaria

Viene ampliata la lista dei reati che destano “allarme sociale” e che comportano la revoca o il diniego dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, includendo reati come violenza sessuale; mutilazioni genitali femminili; produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti; rapina ed estorsione; minaccia, violenza o resistenza a pubblico ufficiale. È importante notare, spiega Claudio Paterniti dell’associazione Antigone, che “oltraggio a pubblico ufficiale è un reato contestato con moltissima facilità, specie alle persone che oppongono un minimo di resistenza durante l’arresto”.

Articolo 7 – Disposizioni in materia di cessazione della protezione internazionale

Si prevede la cessazione della protezione internazionale, se il rifugiato rientra nel suo paese d’origine, poiché ciò viene visto come la volontà di ristabilirsi nel paese o il mutamento delle circostanze che hanno determinato il riconoscimento della protezione.

Articolo 8 – Disposizioni in materia di domanda reiterata e presentata alla frontiera

Viene prevista una “procedura accelerata di frontiera per valutare le domande dei richiedenti asilo “fermati per aver eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera”.

Articolo 9 – Commissione di gravi reati da parte dei richiedenti asilo

Verrà sospeso l’esame della domanda di protezione e si verrà obbligati a lasciare il territorio nazionale, nel caso in cui, ancora richiedenti, si fosse sottoposti a un procedimento penale per reati che in caso di condanna definitiva possano comportare il “diniego della protezione internazionale”. Insomma, si viene sbattuti fuori dall’Italia prima di essere condannati, secondo il principio di innocenza fino a prova contraria.

Però “entro dodici mesi dalla sentenza definitiva di assoluzione, il richiedente potrà chiedere la riapertura del procedimento sospeso”. Sempre che sia ancora in grado di chiederla e nel frattempo non sia stato colpito da quelle persecuzioni da cui era scappato chiedendo asilo in Italia, per esempio.

Articolo 10 – Introduzione di sezioni della Unità Dublino

L’Unità Dublino, preposta a individuare lo Stato UE competente all’esame della domanda di protezione, opererà anche all’interno di alcune prefetture e non solo a livello centrale. Secondo la Convenzione di Dublino, infatti, la persona migrante è obbligata a effettuare la richiesta di protezione internazionale nel paese di primo approdo. In caso la richiesta avvenisse, invece, in un altro stato, si viene rimandati nel primo stato di arrivo.

Questo provvedimento è evidentemente ridondante, infatti “la quasi totalità delle richieste d’asilo avviate da immigrati arrivati sulle coste italiane, proprio secondo la normativa di Dublino, è di competenza del primo Stato d’arrivo, cioè l’Italia; inoltre, il vero ingorgo giudiziario si crea nella fase successiva, quella di studio e riconoscimento o respingimento delle richieste”, spiega Gianni Rosini.

Articolo 11 – Disposizioni in materia di accoglienza dei richiedenti asilo

Il cambiamento più importante e preoccupante, al pari dell’abolizione della protezione umanitaria, riguarda lo stravolgimento dell’attuale percorso di accoglienza. Ad oggi, il decreto legislativo 142/105 stabilisce un’iniziale accoglienza nei CAS, per poi, una volta avviata la richiesta di asilo, passare agli SPRAR. Il Sistema Per Richiedenti Asilo e Rifugiati è un sistema di “accoglienza diffusa” nell’ottica di un percorso di maggior indipendenza della persona beneficiaria. Solo in caso di mancanza di posti liberi, il richiedente resterebbe nel CAS per “il tempo strettamente necessario al trasferimento”.
Con questo decreto, invece, i richiedenti asilo verranno accolti “esclusivamente” nei CAS e solo i titolari di protezione e i minori non accompagnati potranno alloggiare negli SPRAR.

Dei 36 mila beneficiari alloggiati negli SPRAR, il 40% non è ancora titolare di una qualche forma di protezione e verrebbe quindi “progressivamente trasferito”nelle strutture ad hoc, i CAS, vanificando gli sforzi compiuti negli ultimi anni per un progressivo abbandono di un accoglienza in ottica emergenziale e, contemporaneamente, per un lavoro sempre più anticipato di integrazione, in particolar modo linguistica e lavorativa, per permettere ai richiedenti di avere un maggior grado di autonomia nel momento dell’ottenimento del permesso di soggiorno.

Articolo 12 – Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica

Secondo la bozza del Decreto sull’immigrazione, il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non consentirà più l’iscrizione all’anagrafe a causa della “precarietà del permesso per richiesta asilo” e della “necessità di definire preventivamente la condizione giuridica del richiedente”.

Nel frattempo come si accederà ai servizi per cui è richiesta l’iscrizione all’anagrafe?

Articolo 13 – Disposizioni in materia di acquisizione e revoca della cittadinanza

L’articolo 13 del decreto si occupa di limitare la concessione e, invece, introdurre nuovi motivi di revoca della cittadinanza per i discendenti degli emigrati italiani all’estero.

L’intervento normativo, si legge nella bozza, “mira a consentirne l’allontanamento dal territorio nazionale, altrimenti precluso dall’acquisizione dello status di cittadino italiano, e si rende necessario e urgente nell’ambito delle politiche di prevenzione della minaccia terroristica anche connessa al fenomeno dei cosiddetti foreign fighters”.

Articolo 14 – Disposizioni in materia di giustizia

Essendo obbligatorio in Italia avere un avvocato per partecipare ad un processo, in caso non lo si possa pagare, è lo stato che lo retribuisce. non si può partecipare a un processo senza avvocato. Da oggi non è più così. I richiedenti asilo non avranno più diritto al patrocinio gratuito per fare ricorso se la commissione dovesse rifiutare la richiesta di protezione e il giudice dovesse bocciare il ricorso. “E l’avvocato chi lo paga? Realisticamente, nessuno.” Ne consegue – spiega Carlo Paterniti – “che gli avvocati, sapendo che non saranno pagati, potrebbero portare avanti difese superficiali, che prendano meno tempo possibile.”

Articolo 15 – Disposizioni finanziarie

Saranno destinati 3,5 milioni di euro in più al fondo per i rimpatri (che si sommano ai 42 milioni spostati al fondo per i rimpatri da quello per l’accoglienza), ma per realizzare i piani presentati da Matteo Salvini in campagna elettorale (“500mila rimpatri di irregolari“) servirebbero molti più soldi. Un singolo rimpatrio, infatti, costa tra i 4 mila e i 10mila euro.

Secondo la previsione più ottimistica (al costo di 4mila euro l’uno), quindi, i 3,5 milioni andrebbero a finanziare non più di 875 rimpatri, al costo di 10mila euro l’uno, invece, i rimpatri sarebbero 350. “Per poter realizzare l’obiettivo che il ministro Salvini si è posto – spiega Il Fatto Quotidiano – servirebbero investimenti tra i 2 e i 5 miliardi di euro, cifra dalle cinque alle tredici volte superiore rispetto ai fondi stanziati dall’Unione europea con il Fondo asilo migrazione e integrazione 2014-2020 (circa 380 milioni di euro) che finanzia sia i rimpatri che i piani di accoglienza e integrazione”.