«Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte».
Così recita l’emendamento Costa approvato al disegno di legge Zan contro l’omotransfobia. Dietro il paravento di tutelare la libertà di parola e di opinione (libertà già garantite dalla Costituzione e che la legge non scalfisce in alcun modo), di fatto questo emendamento rischia di far saltare l’impianto dell’intera legge.
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Dittatura del politicamente corretto?
Affermare cose come l’«omosessualità è una malattia» quando ormai la comunità scientifica afferma da decenni il contrario, dire che «la transessualità è contronatura», avvallare la possibilità di terapie riparative per “guarire” dall’omosessualità, sono tutte cose che rientrano nel “pluralismo delle idee”.
Chi si schiera contro la legge parla di un rischio censura, di una presunta “dittatura del politically correct”(quando il rispetto delle persone dovrebbe essere la base di tutto ciò che è politica), invoca con scarsa cognizione di causa il pericolo della cancel culture (che sembra diventata l’espressione di moda dell’estate), senza tenere conto che molto difficilmente le minoranze discriminate riescono a imporre nel dibattito pubblico la loro voce tanto da costringere istituzioni o realtà private a emarginare chi fa affermazioni apertamente discriminatorie e lesive.
Eppure sappiamo bene che per difendere il funzionamento della democrazia stessa, non possiamo permetterci di dire che tutto sia opinione, né che tutte le opinioni siano valide allo stesso modo. Ci sono opinioni che sono soltanto falsità, ma falsità pericolose, perché le parole possono ferire e addirittura uccidere.
In un mondo ideale non ci sarebbe bisogno di proteggere le minoranze, perché quasi tutte le persone parlerebbero e si comporterebbero rispettando le altre e chi ha il privilegio di trovarsi dalla parte della maggioranza non lo userebbe per opprimere chi maggioranza non è, non lo userebbe per fare carriera politica, per arricchirsi. Ma quel mondo ideale non esiste ed ecco che si rende necessario per lo Stato farsi garante dell’uguaglianza fra tutt*, come ci ricorda l’articolo 3 della nostra Costituzione.
Le leggi contro i discorsi che fomentano odio e violenza non sono certo l’unica via che lo Stato deve percorrere, non sono il fine, ma sono un mezzo per arrivare a qualcosa che almeno da lontano assomigli a quella società ideale.
I veri problemi sono ben altri?
Ci vuole molto altro?
Certo, ci vuole un’azione capillare di educazione e di cultura. Ma come si fa a promuovere l’educazione al rispetto e alle differenze se è considerato legittimo strillare al “complotto del gender”?
È chiaro, da come si stanno mettendo le cose, che anche questa legge sarà l’ennesimo compromesso al ribasso sulla pelle di cittadin* che già subiscono discriminazioni. Una storia che abbiamo già vissuto sulla nostra pelle con la mancata introduzione delle stepchild adoption nella legge sulle unioni civili.
Manca la volontà politica di fare un passo in avanti per una società civile, per la paura di alienarsi le simpatie di chi della discriminazione fa motivo di orgoglio politico, di chi continua a far carriera sulla pelle delle altre persone, di chi gioca con le paure di chi non sa, di una parte (molto influente) della chiesa cattolica.
Forse, oltre alla volontà politica, manca anche una classe politica (al netto delle singole persone meritevoli) che abbia il coraggio della responsabilità e delle proprie idee, che abbia a cuore davvero il livello di civiltà del nostro paese. Che voglia permettere non solo a chi vive nel qui ed ora, ma soprattutto alle generazioni future di sviluppare a pieno e vivere con serenità la propria identità e la propria soggettività, qualunque essa sia.